Aia Ilva, ok il piano è “giusto”
TARANTO – E’ arrivato, come ampiamente previsto, il via libera della commissione istruttoria dell’Autorizzazione integrata ambientale all’Ilva al piano tecnico presentato dall’azienda al ministero dell’Ambiente, per ottemperare le prescrizioni contenute nell’AIA stessa. La commissione, della quale fanno parte anche Comune e Provincia di Taranto e Regione Puglia, ha ritenuto “coerenti” i tempi fissati per le varie prescrizioni. All’incontro di venerdì era presente anche una folta delegazione in rappresentanza dell’azienda guidata dal direttore dello stabilimento di Taranto, Adolfo Buffo.
Tuttavia, secondo quanto siamo riusciti ad apprendere, dal dicastero sarebbero arrivati diversi rilievi e richieste di correzioni sul piano presentato dall’azienda. La commissione ministeriale ha inoltre incontrato una rappresentanza aziendale e ha risposto quali punti del piano sono conformi alle prescrizioni, quali non sono del tutto conformi e quali hanno bisogno di essere ritoccati. La maggior parte degli interventi proposti dall’Ilva, che ha presentato un documento di appena 15 pagine, sono sembrati comunque idonei dal ministero. L’ISPRA, l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale invece, si occuperà di monitorare in modo continuativo gli sviluppi del piano per il risanamento dell’impianto di Taranto, con verifiche continue e non più periodiche.
Come oramai scritto più volte, gli interventi previsti, che dovrebbero essere finalizzati al contenimento delle emissioni inquinanti nell’aria, saranno attuati nell’arco di tre anni e prevedono un impegno di spesa a carico dell’azienda di circa 3,5 miliardi di euro. Peccato però che l’Ilva anche ieri ha nuovamente sottolineato e ricordato ai presenti il “principio” secondo cui la permanenza del sequestro giudiziario dell’area a caldo, disposto dalla magistratura lo scorso 25 luglio nell’ambito dell’inchiesta per disastro ambientale, costituisce un “impedimento” all’attuazione di quanto l’AIA prevede. Per fortuna anche la commissione, raccomandando all’Ilva di andare avanti, ha precisato che “il sequestro non può essere in alcun modo un alibi” perché gli interventi posti nell’AIA non trovino attuazione immediata. Anche perché la commissione ministeriale ritiene che su questi interventi non può che esserci condivisione da parte della stessa magistratura se il fine “è quello di migliorare e risanare l’ambiente e ridurre significativamente tutte le emissioni nocive nell’aria”. Ricordando all’azienda che, a fronte di ritardi, scatteranno le prime diffide del ministero. Inoltre, il 26 e 27 novembre prossimi, la Commissione AIA si riunirà a Taranto per passare alla seconda fase relativa all’Autorizzazione integrata ambientale, quella che riguarda la gestione dei rifiuti e delle acque.
Ciò detto, quello che per molti può avere le sembianze di un viatico decisivo verso una soluzione positiva della vicenda Ilva, altro non è invece, che il primo passo verso uno scontro che sembra oramai arrivato al suo snodo cruciale. Perché l’Ilva ha legato il suo piano d’interventi all’accettazione da parte della Procura dell’istanza di dissequestro degli impianti dell’area a caldo. Evento che mai si verificherà per il semplice motivo che è proprio la Procura, attraverso l’azione dei custodi, a dover monitorare giorno per giorno la reale attuazione dei provvedimenti e dei vari interventi tecnici che l’azienda dovrà attuare. La gestione degli impianti non potrebbe mai ritornare nelle mani dell’Ilva, specie dopo le mai attuate promesse previste nei vari atti d’intesa sottoscritti negli ultimi 10 anni, sia perché l’azienda continuerebbe a produrre riprendendo di fatto in mano il controllo della situazione. Inoltre l’azienda, spalleggiata dal ministero e dalle istituzioni locali con il silenzio assenso dei sindacati confederali dei metalmeccanici, confida ancora in un’apertura da parte della Procura in merito alla possibile concessione di una minima capacità produttiva. Anche questo non sarà mai possibile, visto che accettarlo vorrebbe voler dire il venir meno all’essenza stessa del sequestro, che appunto prevede la non facoltà d’uso degli impianti, la loro fermata, il loro risanamento e soltanto dopo previa verifica sui lavori svolti, il ritorno all’attività produttiva.
Bastano questi due semplici esempi per intuire come l’Ilva sia in realtà spalle al muro. E abbia trascinato con sé, in un vicolo cieco senza uscita, anche le istituzioni e i sindacati. Perché la realtà dei fatti, è molto più semplice di quanto si voglia credere: non c’è alternativa alcuna alla fermata ed all’eventuale spegnimento degli impianti inquinanti; il loro risanamento però, può iniziare sin da subito, perché nessuno ha mai impedito e impedisce tuttora all’Ilva di avviare i lavori. Impianti la cui salvaguardia preme non soltanto al GIP o alla Procura, ma anche ai custodi, come si evince anche dalle ultime disposizioni di ieri, che hanno autorizzato lo scarico di 45 mila tonnellate di materie prime destinate ai parchi minerali, proprio per consentire quella marcia minima agli impianti che dovranno essere solamente fermati e non spenti. Del resto, il provvedimento dello scorso 7 novembre sulle materie prime, chiariva come i custodi avrebbero valutato di volta in volta l’autorizzare o meno l’approvvigionamento dei minerali. Non è un caso se lo stop arrivato tra fine ottobre e primi di novembre, riguardava il carico di materie prime atte alla carica dell’agglomerato, ovvero all’attività produttiva dell’impianto. Ipotizzare la possibilità di ottenere il dissequestro degli impianti e la possibilità di continuare a produrre anche al minino della capacità, è soltanto un voler continuare a tirare una corda che a breve si spezzerà definitivamente. La prossima settimana dunque, potrebbe essere quella della definitiva chiusura del cerchio.
Gianmario Leone (TarantoOggi, 17 novembre 2012)
Gianmario Leone