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Porto di Taranto, altro che l’hub del Mediterraneo

TARANTO – “Intendiamo fare del porto di Brindisi un hub”. L’annuncio lo ha dato ieri il direttore commerciale della compagnia armatrice partenopea Grimaldi, in occasione della presentazione della nuova linea “ro-ro” (acronimo inglese che sta per roll-on/roll-off termine che indica una nave-traghetto vera e propria con modalità di carico del gommato in modo autonomo e senza ausilio di mezzi meccanici esterni) che collegherà Brindisi con le città di Ravenna e Catania, inaugurata ieri.

Alla presentazione presso la sede dell’autorità portuale di Brindisi, ha partecipato anche il commissario straordinario l’ammiraglio Ferdinando Lolli, che ha illustrato i dati sul traffico realizzato dalle navi ‘Sorrento’ e ‘Florentia’ della Grimaldi nel porto adriatico da aprile ad ottobre. Sono 113.439 passeggeri da e per Igoumenitsa, 22.088 tir e 25.486 veicoli. Per il futuro, invece, si guarda alla Turchia e alla Spagna. I dati sul traffico container del porto di Taranto del trimestre agosto-settembre-ottobre invece, non sono stati ancora stati resi noti dall’Autorità Portuale di Taranto. Detto questo, restiamo davvero basiti di fronte all’annuncio del direttore commerciale Grimaldi: non perché la compagnia partenopea commetta un reato ad essere ambiziosa, anzi: ma perché sino a ieri, stante anche le promesse del governo, delle nostre istituzioni e dei sindacati, quello che sarebbe dovuto diventare il più grande porto hub del mediterraneo, era lo scalo ionico.

Ora, è evidente a chiunque che con un concorrente a pochi km di distanza, l’obiettivo di cui sopra diventa un semplice miraggio. Il collegamento trisettimanale della nuova “autostrada del mare”, sarà garantito con le ultime due navi acquistate da Grimaldi, ‘Eurocargo Catania’ e ‘Eurocargo Brindisi’: la volontà futura è quella di collegare l’Adriatico con le rotte che poi arriveranno a Libia e Malta. I collegamenti con Catania e Ravenna, in realtà, rappresentano già una certezza: l’aspettativa, secondo la stima della Grimaldi, è quella di avere almeno 600 camion a settimana, in tutto 30 mila all’anno. L’Autorità Portuale di Brindisi si è detta entusiasta di questa nuova opportunità, mentre grande collaborazione e massima disponibilità è stata garantita anche dalla Capitaneria di porto: sinergie e sintonie sconosciute dalle nostre parti.

Non è tutto qui, purtroppo. Perché all’incontro di ieri a Brindisi, hanno partecipato anche i presidenti delle Autorità portuali di Bari e Taranto, Francesco Mariani e Sergio Prete, testimoniando, secondo i report della giornata, “una comunione di intenti che si traduce, nei fatti, con una diversificazione del traffico portuale pugliese”. Nei fatti, ciò si traduce con l’arrivo dei crocieristi a Bari, delle merci a Brindisi e dei container a Taranto. In pratica, tutto rischia di restare così com’è adesso: se non di peggiorare. Del resto, non è un caso se le ultime due riunione svolte a Roma presso il Dipartimento dello Sviluppo Economico e Territoriale della presidenza del Consiglio dei Ministri sull’accordo per lo sviluppo dei traffici containerizzati e sulla Delibera CIPE inerente la Piastra Logistica Portuale, si sono concluse con una serie di “condizionali” che non fanno ben sperare.Specie dopo quanto successo ieri a Brindisi. Ad esempio, i lavori relativi all’adeguamento del Molo Polisettoriale, “dovrebbero avere inizio nel marzo 2013”, mentre quelli relativi ai dragaggi ed alla vasca di colmata “nel successivo mese di giugno”.

Il I lotto funzionale della diga foranea “dovrebbe invece essere realizzato nei primi mesi del 2014”. Per quanto attiene le opere della Piastra Logistica, le opere di cantierizzazione sono state già avviate sull’area ex Soico e, nei prossimi giorni, dovrebbero essere “avviate le”. Inoltre, “a breve” dovrebbe avvenire il perfezionamento del bando per l’affidamento della realizzazione della Strada dei Moli. Per quanto attiene le opere marittime invece, “nei prossimi giorni” il Ministero dei Trasporti sottoscriverà il Decreto di approvazione con prescrizioni del progetto di realizzazione della vasca di colmata. Sarà poi necessario “attendere le ultime approvazioni del Ministero dell’Ambiente”, prima di dar corso anche ai lavori relativi “all’ampliamento del IV sporgente, alla darsena, ai dragaggi e alla vasca di colmata”.

Nonostante le rassicurazione del presidente dell’Authority ionica Sergio Prete, non c’è ancora nulla di concreto e certo. Ed il nostro, credeteci, non è affatto allarmismo o disfattismo: solo una visione critica della realtà attuale. Che negli ultimi tempi si è anche dovuta scontrare con l’annuncio dell’Autorità Portuale di Rotterdam, che ha deciso di non sottoscrivere più sottoscrivere la joint-venture con lo scalo ionico annunciata in pompa magna lo scorso 19 aprile. Venendo meno l’acciaieria più grande d’Europa, verrebbe meno anche il carattere industriale del porto di Taranto: un pilastro giudicato fondamentale da Rotterdam, che vede lo scalo ionico unicamente da un punto di vista industriale. Gli stessi olandesi, infatti, non hanno mai dichiarato di essere interessati ai traffici container del porto di Taranto. Ovvero proprio quello che siamo destinati a restare: un semplice scalo con funzione di transhipment (carico e scarico di container da una nave all’altra).

Del resto, non è un caso se dal 2001 ad oggi le uniche opere pianificate e realizzate sono il Varco Nord ed il gate di TCT. Per Rotterdam, e non soltanto per loro, Taranto senza l’Ilva è destinato a diventare un luogo “no clear business opportunity”: ovvero, senza alcuna possibilità di business chiaro. Senza dimenticare lo spostamento di due delle quattro linee internazionali di Evergrenn da Taranto al porto del Pireo, che ha ridotto della metà il traffico annuale dei suoi 800 mila Teu (gli ultimi dati disponibili, luglio 2012, evidenziano un calo del 63% rispetto al 2011). A tratteggiare un futuro tutt’altro che roseo, del resto, sono i freddi numeri dello scalo ionico: nel 2011, l’89% dei traffici è stato generato dalle rinfuse solide, liquide e merci varie movimentate da ILVA, Cementir ed ENI. Soltanto l’11% è costituito da merci che viaggiano in contenitori. Nella classifica nazionale, il porto di Taranto è infatti al 1° posto per la movimentazione delle rinfuse solide, al 9° posto per la movimentazione delle rinfuse liquide e al 3° posto per la movimentazione totale delle merci.

Ed ecco che, tirando i fili degli eventi degli ultimi mesi, tutto inizia ad essere più chiaro. Del resto, non è credibile che la Regione Puglia non sapesse i progetti in cantiere a Bari e Brindisi. Ed infatti, guarda caso, è stato proprio l’ente regionale lo scorso 3 agosto ad aver chiesto, ottenendola, la possibilità di definanziare il progetto della realizzazione del distripark a Taranto, dirottando i 35 milioni di euro previsti a favore della realizzazione del Molo polisettoriale dello scalo, avendo scelto da tempo di puntare su Bari e Brindisi, non solo come scali turistici, ma anche commerciali grazie ai vari corridoi europei. Tutti sanno infatti, a cominciare dall’Autorità portuale di Taranto, che senza il Distripark tutte le opere su citate in fase di progettazione e realizzazione, non avranno alcun senso. Eppure, sono proprio le parole usate negli ultimi tempi che avrebbero dovuto aprirci gli occhi.

Un hub, infatti, è per definizione un “terminale di traffico oceanico che non necessita di collegamenti diretti con il sistema terrestre perché opera il trasbordo (transhipment o traffico mare-mare) dalle navi portacontainer madre alle navette feeder dirette verso le varie destinazioni locali”. Il distripark, invece, altro non è che un “complesso logistico retroportuale, dotato di strutture di stoccaggio e di distribuzione delle merci, in grado di fungere da elemento di interscambio fra diverse modalità di trasporto e da anello di congiunzione fra industria e servizi. Di solito è localizzato in una zona franca”. Taranto rischia di non essere né l’uno né l’altro. Le tante belle parole sprecate sino ad oggi dai tanti esponenti di quella che si definisce “classe dirigente” svegliatasi soltanto dopo il sequestro dell’area a caldo dell’Ilva, dalla classe politica e sindacale, sono vuote di contenuto, oltre che di futuro. Semplicemente perché oltre a non aver fatto nulla per decenni per questo territorio, oggi abbiamo l’ennesima, inconfutabile prova, del fatto che non hanno cognizione alcuna di ciò che dicono. Ad maiora.

G. Leone (TarantoOggi del 9 novembre 2012)

 

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