Statte, tra Cemerad e Italcave – Non solo inquinamento Ilva

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TARANTO – Chi pensa che il dramma dell’inquinamento sul nostro territorio sia da addebitare soltanto alla grande industria, commette un grave errore. Ovviamente, è indubbio come l’Ilva (sino al ’95 Italsider, lo specifichiamo perché altrimenti rischiamo una nota stampa in cui lo si specifica) si sia guadagnata negli anni il “privilegio” di essere la prima responsabile del disastro ambientale che ha avvelenato la nostra terra; a ruota, seguono la raffineria Eni e la Cementir della famiglia Caltagirone. Un ruolo da protagonista spetta anche alla Marina Militare con l’Arsenale ed ai cantieri navali Tosi, pur se entrambi i siti hanno da tempo dismesso la loro “opera” industriale, non prima di aver inquinato a morte il I ed il II seno del Mar Piccolo. Ma ad un tiro di schioppo dal capoluogo ionico e dal suo carico di veleni, c’è un paese, Statte, che proprio per la sua vicinanza è stato inserito nel Sito di Interesse Nazionale di Taranto con il decreto ministeriale del 10 gennaio del 2000. Statte, oltre ad aver pagato in malattia e morte un dazio altissimo per le emissioni del siderurgico (salasso che continua a tutt’oggi a pagare) come testimoniano gli ultimi dati del progetto Sentieri (2003-2009) e la perizia redatta dagli esperti epidemiologi, deve fare i conti con altri due “mostri” che hanno contaminato e continuano a contaminare l’aria e il suolo: la Cemerad e l’Italcave.

Cemerad, radioattività all’aria aperta

Proprio in questi giorni, infatti, sono stati scritti gli ultimi due capitoli di queste annose vicende che in troppi non conoscono e in molti continuano ad ignorare colpevolmente. Prima di procedere, riannodiamo i fili del passato. La storia della Cemerad di Statte infatti, rappresenta quanto di peggio ci sia in questo paese e quanto la giustizia e la politica, quando si tratta di colpire l’interesse di pochi per tutelare la salute di un’intera popolazione, siano capaci di perdersi nelle nebbie della burocrazia, in cui tutto resta congelato in un eterno presente. Per fortuna, in questa città e in questa provincia, esistono ancora persone perbene ed associazioni che provano a squarciare quella nebbia di cui sopra e nello stesso tempo immaginano con fatica un futuro migliore dell’attuale presente. L’area in questione fu posta sotto sequestro preventivo il 19 giugno del 2000, per poi vedere applicati i sigilli dei Nas dei Carabinieri il 4 luglio successivo “dell’intera area comprensiva di locali, impianti, depositi e terreni pertinenziali recintati”. Il procedimento penale numero 5.662/2000 GIP, elencava la presenza nel sito di “30.000 fusti metallici arrugginiti, 60 container, mentre 42 silos risultano esposti alle intemperie in un’area di 4.000 metri quadrati a cielo aperto. Contengono scorie a media radioattività con tempi di dimezzamento ultratrentennali”.

Inoltre, “in un capannone abusivo di 5.000 metri quadrati, vengono stoccati circa 18.000 fusti di rifiuti radioattivi”. Dopo la condanna del proprietario, venne disposto il dissequestro del deposito e la bonifica del sito “entro sei mesi dalla pubblicazione della sentenza”. All’epoca dei fatti, la gravità della situazione venne evidenziata anche dal Comando provinciale dei Vigili del Fuoco e dall’Azienda sanitaria locale Taranto/1, che denunciarono “gravissimi rischi per la salute e l’incolumità pubblica e privata, gravissimi rischi di inquinamento e contaminazione ambientale a causa delle notevoli quantità di rifiuti radioattivi, speciali e tossico nocivi stoccati nella struttura Cernerad”. Ricordiamo che il sito in questione si trova in località masseria Vocchiaro-Grottafornara, a ridosso della Statale 172 per Martina Franca, dove da sempre non esiste alcuna vigilanza a protezione dello stesso. Come denunciò nel 2003 il giornalista Gianni Lannes, “l’Enea è a conoscenza della situazione, come documenta una sua nota epistolare risalente al 29 novembre 1990; e il ministero dell’Industria lo è addirittura dal 28 luglio 1984. E così la Presidenza del Consiglio dei ministri di cinque Governi che si sono succeduti in questi anni”. Così come giacciono negli archivi impolverati della Camera diverse interpellanze parlamentari sulla vicenda, a partire dal 1995. Negli anni, si sono poi rincorse denunce allarmanti sul fatto di come “a Statte muoiono o si ammalano di patologie tumorali cittadini dai 15 ai 50 anni”.

Poi, con la delibera CIPE n.35/05 (triennio 2005-2008), veniva previsto il finanziamento di 3.700.000 euro per la bonifica del sito ex Cemerad, cifra poi dirottata, come spesso avviene dalle nostre parti, verso altri interventi individuati in accordo con le amministrazioni provinciali, di cui non siamo a conoscenza. Soltanto nell’ultimo anno, grazie all’attenzione ed alle continue pressioni dei Verdi di Statte e del comitato ‘Legamjonici’, la questione è finalmente tornata in auge. Ad esempio, si é scoperto che la Regione Puglia nel 2008 stanziò dei fondi per la caratterizzazione e la bonifica del sito, che poi vennero destinati “altrove”. Inoltre, ‘Legamjonici’ attestò che l’avvio della bonifica attendeva l’autorizzazione dell’ASL per la nomina di un esperto in radioprotezione necessario anche nella fase di caratterizzazione del contenuto dei fusti. Dopo la nomina dell’esperto, si attese la fase di apertura di un bando di gara per l’appalto dei 1.500.000 stanziati dalla Provincia. Nel Consiglio Comunale del 22 dicembre 2011, l’assessore all’ambiente di Statte, Vincenzo Chiarelli, dichiarò che l’avvio del bando di gara attendeva l’autorizzazione dei Vigili del Fuoco (confermando come la fase di caratterizzazione avesse ancora diversi ostacoli da superare).

Questi ultimi, nel gennaio scorso, davano il loro parere favorevole con prescrizioni. Nell’aprile scorso, effettuata l’ennesima ispezione e presa visione della relazione tecnica allegata al bando di gara del Comune, NAS e ISPRA chiesero l’integrazione di una specifica normativa per non inficiare l’intero progetto. Oggi però, si scopre qualcosa di poco piacevole riguardante i 1,5 milioni di euro che la Provincia ha stanziato e che il Comune di Statte deve utilizzare entro la fine dell’anno per far partire i lavori di caratterizzazione, pena la perdita del finanziamento. I Verdi infatti, hanno denunciato che dopo i ripetuti annunci dell’assessore Chiarelli, il quale ha dichiarato che le operazioni di caratterizzazione dei fusti (da noi sempre contestata per ragioni di sicurezza, ma anche perché il vero problema è quello della bonifica del sito, al quale non si notano soluzioni) sarebbero iniziate quanto prima, durante il consiglio comunale di giovedì mattina c’è stata l’amara scoperta: tra i punti all’ordine del giorno, vi era infatti l’assestamento di bilancio.

Nella sua relazione la dott.ssa Palma, responsabile del servizio finanziario, ha dichiarato che della somma destinata alla Cemerad, l’ente finanziatore avrebbe anticipato solo un milione: per la parte restante, sarebbe venuta meno la disponibilità, causa patto di stabilità. “Se così fosse – si legge in una nota dei Verdi – l’operazione caratterizzazione non sarebbe più possibile visto che il bando prevedeva 1,500.000 di euro”. Il problema ed il sospetto posto da almeno un anno da parte dei Verdi e di Legamjonici, è che il sito della Cemerad non sia adatto ad effettuare nemmeno la fase di caratterizzazione. La struttura del sito è abusiva sia da un punto di vista strutturale e autorizzativo, che ambientale, vista la vicinanza con abitazioni civili e all’ospedale “G. Moscati”. Un intervento di questo tipo, sarebbe dannoso e pericoloso per l’incolumità dei cittadini e farebbe sprecare soldi pubblici, mentre i fusti potrebbero rimanere in quel sito ancora per molti anni, visto che per la bonifica completa dello stesso ci sarebbe bisogno di 8 milioni di euro a tutt’oggi difficili da reperire. Per queste ragioni, Verdi e Legamjonici hanno chiesto il trasferimento di tutti i fusti in un sito temporaneo di stoccaggio idoneo alle operazioni di caratterizzazione ed una volta completate le operazioni di analisi, destinare i rifiuti nei siti più appropriati per la loro destinazione finale. Intanto, i fusti con tutto il loro carico di radioattività, sono ancora lì. A danno dell’ambiente. E della salute dei cittadini di Statte. Con le istituzioni colpevolmente latitanti. Come sempre del resto.

Italcave, tra rifiuti campani e ristoro ambientale

Il secondo mostro per Statte, risponde invece al nome di “Italcave”. Come si ricorderà, la struttura gestita dall’imprenditore Caramia (proprietario tra l’altro del rinomato stabilimento balneare “Fatamorgana”), rimase coinvolta nel dicembre del 2010 e per tutto il 2011, nella vicenda dei rifiuti campani. Che un gruppo di 30 indomiti cittadini, nelle freddissime giornate del gennaio 2011, bloccò all’ingresso della discarica. Furono giorni di grande tensione, vissuti con la solita indifferenza da parte di istituzioni, sindacati e dell’intera collettività tarantina-stattese. Addirittura, nel settembre del 2011, la Regione Puglia (che firmò nel dicembre del 2010 il protocollo con la Regione Campania per il conferimento dei rifiuti nella discarica Italcave) sospese per 15 giorni le attività del sito per “conferimenti di rifiuti non conformi alla normativa vigente”. Poi, il Tar di Lecce, con un decreto urgente del presidente, accolse il ricorso dell’Italcave contro il provvedimento della Regione e riaprì i cancelli della discarica.

Ma i riflettori non si sono di certo spenti. Lo scorso 17 settembre presso la città slovena di Lubiana, la federazione ambientalista Alpe Adria Green, Greenaction Transnational e il comitato Legamjonici, tennero una conferenza stampa per illustrare la denuncia congiunta presentata alla Commissione Europea sulla gestione italiana dell’emergenza rifiuti della Campania. Dopo un’inchiesta durata oltre un anno, i movimenti ambientalisti hanno raccolto le prove di quella che è in realtà “una clamorosa e colossale operazione di traffico e smaltimento di rifiuti incontrollati condotta dalle autorità italiane in violazione della legislazione comunitaria a danno dell’ambiente e della salute pubblica. Danni estesi ai Paesi confinanti Slovenia e Croazia investite dai fumi inquinanti dell’inceneritore di Trieste dove i rifiuti delle ecomafie vengono smaltiti in grandi quantitativi (oltre 25.000 tonnellate ad oggi)”.

L’Italcave, è tornata a fare discutere proprio in questi giorni. Il sindaco Miccoli, all’indomani delle dimissioni dell’assessore al Bilancio, pare infatti essersi deciso a firmare l’accordo con Italcave in merito al famoso “ristoro ambientale”. L’altra mattina infatti, una delegazione dell’amministrazione comunale (il sindaco Angelo Miccoli, il suo vice e l’assessore all’Ambiente) hanno incontrato i vertici dell’azienda per definire i termini della tassa di ristoro. Il comune di Statte pare voler chiedere all’Italcave circa 500 mila euro all’anno per l’attività della discarica ubicata  vicino al popoloso quartiere Feliciolla. “Statte – denuncia ancora una volta Vincenzo Conte dei Verdi – uno dei comuni più inquinati d’Europa, ha scelto la strada della monetizzazione del danno ambientale, anche se nel nostro ordinamento, ad oggi, non esiste alcuno strumento legislativo che indichi la reale incidenza del danno ambientale”. Taranto, è anche Statte. Taranto, la sua provincia, ha anche questi problemi. Da non seppellire nel dimenticatoio delle nostre coscienze. Il nostro futuro, passa anche da qui.

Gianmario Leone (TarantoOggi del 3 novembre 2012)

 

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