Leggendo i vari interventi, è sin troppo evidente che la difesa del progetto, altro non è che un difendere i propri interessi a scapito di un’intera comunità e del suo ambiente. Ma se ciò può avere una sua logica, prettamente economica e per questo totalmente avulsa dalla realtà, certamente non si può non sottolineare come tale presa di posizione sorvoli volutamente sulla questione ambientale. Anzi: la stessa viene derubricata come del tutto inesistente in merito a tale progetto, partorita dalla mente di chi “non conosce come stanno realmente le cose” o “ha il posto di lavoro assicurato”. Non è chiaro a chi siano indirizzate tali accuse sparate nel mucchio: certamente non a questo giornale, che ha sempre documentato tutto ciò che ha affermato negli anni e che è abituato a fare sempre nomi e cognomi. Inoltre, la sponsorizzazione di “Tempa Rossa”, poggia sull’idea di un possibile ritorno economico per il territorio: ma così come avvenuto sull’impatto ambientale, anche in questo caso il tutto non viene documentato dati alla mano, ma citando esempi di comunque limitati vantaggi che, guarda caso, iniziano e finiscono per quelle imprese che lavorano unicamente nel e per lo scalo ionico.
Ora, per l’ennesima volta, vediamo come stanno realmente le cose. Per il progetto in questione, l’Eni ha stanziato ben 300 milioni di euro che serviranno per la costruzione di due enormi serbatoi (oltre ai tanti già presenti che si affacciano su Mar Grande) per stoccare i 180 mila metri cubi di greggio che arriveranno dalla Basilicata e l’ampliamento del pontile della raffineria per ospitare dalle 45 alle 140 petroliere l’anno in più previste. Stranamente però, né il buon Gennarini, né Confindustria Taranto, citano il bando di gara “Progetto Tempa Rossa Impianti Off-Shore” pubblicato sul supplemento della Gazzetta ufficiale dell’Unione Europea (Prot. 2011/00426 del 04.02.2011) per l’aggiudicazione dell’appalto dei lavori, che prevedeva per le aziende che avessero voluto parteciparvi, un profitto annuale minimo di 250 milioni di euro. Cifre irraggiungibili per le aziende del nostro territorio, che al massimo potranno accontentarsi di qualche lavoretto in sub appalto, ma niente di più. Sarebbe questo il ritorno economico per la città di Taranto? Inoltre, proprio l’aumento delle navi nella rada di Mar Grande, che per Gennarini e Confindustria Taranto altro non è che una semplice questione numerica/economica, è uno dei punti meno chiari del progetto, visto che nello Studio d’Impatto Ambientale manca l’analisi di rischio di incidente rilevante, prioritaria in questi casi. Perché i sostenitori del progetto non citano questo aspetto della questione? Perché non s’indignano di fronte ad una tale mancanza? Perché non la pretendono come sostegno alla loro tesi secondo cui l’aumento delle petroliere non comporterà alcun incidente rilevante?
Il progetto dell’Eni, inoltre, produrrà un 12% in più di emissioni diffuse, che si distinguono dalle altre per il fatto che si disperdono in atmosfera senza l’ausilio di un sistema di convogliamento delle stesse dall’interno verso l’esterno. Emissioni diffuse che, come senz’altro sapranno Gennarini e Confindustria, rientrano nella normativa sull’inquinamento prodotto dagli impianti industriali, emanata con D.P.R. 24 maggio 1998 n°203, che all’art.2, comma 4, recita testualmente: “Emissione, ovvero qualsiasi sostanza solida, liquida o gassosa introdotta nell’atmosfera, proveniente da un impianto, che possa produrre inquinamento atmosferico”. Dato (12% in più) confermato dai tecnici di ARPA Puglia che l’Eni non smentisce, anche se nel SIA (Studio d’Impatto Ambientale) presentato dall’azienda, la percentuale scende all’8%. Possibile che per Gennarini e Confindustria Taranto l’aumento delle emissioni diffuse non sia grave da un punto di vista di impatto ambientale? Perché affermano che il progetto non avrà impatti sull’ambiente? Eppure, dovrebbero sapere che soprattutto a causa delle emissioni diffuse e fuggitive del tutto incontrollate e incontrollabili, l’Ilva è finita sotto inchiesta ed i suoi impianti sono sotto sequestro giudiziario.
Inoltre, appare del tutto fuorviante e fuori luogo legare il progetto “Tempa Rossa”, al futuro del porto di Taranto, che soffre di ben altri problemi ed altre mancanze, come abbiamo più volte documentato e denunciato. Ciò detto, torniamo a chiederci come sia possibile giudicare un progetto del genere “compatibile con l’ambiente” e soprattutto di “pubblica utilità”. E’ compatibile con l’aria di Taranto l’aumento del 12% delle emissioni diffuse? E’ compatibile con l’ecosistema di Mar Grande l’aumento annuale di enormi petroliere? E’ compatibile con la vita dei cittadini il sicuro aumento della dispersione delle emissioni odorigene che già oggi avviene sistematicamente quando sono in corso operazioni di caricamento di greggio dalla Raffineria ENI su nave? E’ compatibile con l’ambiente lucano la perforazione di otto pozzi petroliferi nel cuore di uno degli scenari naturali più belli che abbiamo in Italia? E’ di pubblica utilità un progetto che farà aumentare solamente il bilancio delle multinazionali del petrolio come Total, Shell, Exxon Mobil, Eni? E’ di pubblica utilità un progetto che per la costruzione di tutte le sue opere affiderà i lavori ad aziende in grado di supportare quanto scritto sopra e lasceranno solo le briciole alle aziende presenti sul territorio lucano e ionico? Il dibattito è aperto. Restiamo fiduciosi di ottenere pronta risposta ai nostri quesiti. Nella speranza che non si tiri fuori per l’ennesima volta, la formula che senza industria questo territorio non avrebbe più alcuna speranza di vita. Perché anche questo assunto, come quelli su citati, manca di prove reali e, finché non viene dimostrato, resta pura demagogia da parte di chi vuole continuare a difendere i propri interessi a scapito dell’ambiente e della salute dei cittadini, come avvenuto negli ultimi 60 anni.
Gianmario Leone (TarantoOggi del 31 ottobre 2012)
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