Del resto, una volta che il ministero dell’Ambiente, della Salute, del Lavoro e delle Politiche Sociali, degli Interni, dello Sviluppo Economico, delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali e dell’Ambiente, con l’ok da parte di Regione, Provincia e Comune di Taranto, ti autorizzano all’esercizio degli impianti e delle aree poste sotto sequestro dallo scorso 26 luglio, per la produzione annua di otto milioni di tonnellate d’acciaio, la minaccia si trasforma in un ragionamento economico che non fa una piega. Se le istituzioni per prime, se ne infischiano delle prescrizioni indicate da un GIP, che custodi e Procura stanno provando ad applicare giorno dopo giorno nonostante il continuo ostruzionismo da parte dell’azienda, per quale motivo l’Ilva dovrebbe agire diversamente? Se le istituzioni per prime, se ne infischiano delle perizie chimica ed epidemiologica, che hanno fornito una marea di prove inconfutabile di un incidente probatorio nel quale l’Ilva ha pensato bene di recitare la parte dell’attore silenzioso non presentando alcuna difesa, per quale motivo l’azienda dovrebbe agire diversamente? Se le istituzioni per prime, in questo caso con l’appoggio dei sindacati, se ne infischiano dei dati drammatici che attestano non solo una mortalità, ma soprattutto un’incidenza da brividi nella popolazione di Taranto per tutti i tumori ed altre cause di morte provocate dell’inquinamento della grande industria (Ilva in primis), per quale motivo l’azienda dovrebbe agire diversamente? Se il Presidente della Repubblica, il governo, i sindacati, le istituzioni e tutto il mondo economico nazionale, sostiene la ridicola tesi che gli impianti possono essere risanati continuando la loro attività produttiva, per quale motivo l’azienda dovrebbe pensarla diversamente? Se le istituzioni e i sindacati fanno finta di ignorare che l’azienda non ha alcuna facoltà d’uso degli impianti, nemmeno per una minima capacità produttiva, il che rende del tutto inutile il riesame e il rilascio di una nuova autorizzazione ambientale, visto che gli impianti in questione non sono stati in grado di rispettare nemmeno le prescrizioni più blande contenute nel testo dell’atto dell’agosto 2011 contro le quali l’Ilva aveva peraltro ricorso al TAR di Lecce giudicandole troppo severe, perché mai l’azienda dovrebbe porgere l’altra guancia?
Difatti, qualora qualcuno lo avesse dimenticato, di fronte a tutto questo, l’ordinanza del GIP Todisco è chiarissima: “Solo la compiuta realizzazione di tutte le misure tecniche necessarie per eliminare le situazioni di pericolo potrebbe legittimare l’autorizzazione – previa attenta ed approfondita valutazione da parte di tecnici dell’efficacia, sotto il profilo della prevenzione ambientale, delle misure eventualmente adottate – ad una ripresa della operatività dei predetti impianti. Deve, dunque, ordinarsi il sequestro preventivo, senza facoltà d’uso dell’Area Parchi, Area Cokerie, Area Agglomerato, Area Altiforni, Area Acciaierie, Area GRF (Gestione Rottami Ferrosi)”. Ma gli esempi non finiscono di certo qui, perché potremmo continuare all’infinito. Intanto però, il Gruppo Riva, come dimostrato ieri, da tempo ha dato il via ad una serie di operazioni economiche atte a tutelare i propri interessi: mettere al riparo gli enormi capitali incassati negli ultimi 20 anni da qualsiasi inconveniente. D’altro canto, appare certa la prossima bocciatura della Procura di Taranto nei confronti del testo della nuova autorizzazione ambientale. Che arriverà a stretto giro di posta, visto che giorni addietro il Procuratore capo Franco Sebastio, seraficamente assicurò che “una volta che il provvedimento sarà firmato dal ministro dell’Ambiente, lo analizzeremo e ci esprimeremo nel merito”.
Dopo di che, come scriviamo dallo scorso agosto, l’approdo finale di tutta questa vicenda sarà la Corte Costituzionale. Ma al di là di ciò che accadrà, con un’inchiesta che non si ferma e che sfocerà in un lungo processo, resta di fondo un concetto sin troppo chiaro: il Gruppo Riva ha iniziato da mesi una lunga e silenziosa ritirata. Comunque vadano le cose, presto o tardi, lascerà Taranto e la gestione del siderurgico più grande d’Europa. Sarà compito della società tarantina, impedire che ciò avvenga nella più completa impunità. Ma nello stesso tempo, si dovrà finalmente dare il via alla ideazione e costruzione, giorno dopo giorno e con tutte le migliori espressioni del territorio, ad un futuro economico realmente alternativo alla grande industria. Che è comunque destinata a concludere il suo ciclo vitale in riva allo Ionio (anche per l’Eni il petrolio, poiché non infinito, prima o poi terminerà). Ecco perché costruire da ora piattaforme credibili di alternative economiche, oltre all’inizio delle necessaria bonifica del territorio e ad una massiccia operazione di prevenzione sanitaria, è l’unica via d’accesso per un futuro migliore. Per tutti, nessuno escluso.
Gianmario Leone (TarantoOggi, 27 ottobre 2012)
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