Il ministero dello Sviluppo ha invece chiesto una “verifica sulla compatibilità economica degli interventi”, tra cui la parte più importante che riguarda la copertura dei parchi: ma questo nulla toglie all’iter di approvazione del documento. Ieri mattina poi, sono stati fissati anche altri piccoli paletti: entro il 31 gennaio 2013 dovrà essere perfezionato il riesame riguardante il provvedimento sulle discariche interne all’Ilva, la gestione rifiuti e la gestione acque. Per la gestione energetica e il sistema di gestione ambientale, il termine fissato é stato invece fissato al 31 maggio 2013.
Secondo quanto affermato lo stesso Clini, la nuova AIA sarà operativa tra qualche giorno, dopo la pubblicazione del decreto sulla Gazzetta Ufficiale. Inutile, dunque, ribadire ancora una volta su queste colonne cosa prevedono le prescrizioni del riesame. Perché la vera notizia del giorno, oltre alla bocciatura del provvedimento da parte dei custodi avvenuta due giorni fa ed inviata a tutte le istituzioni che nonostante ciò ieri hanno firmato il provvedimento, riguardano le parole pronunciare dal presidente del Cda dell’Ilva. Che una volta uscito dall’audizione concessa all’azienda ieri mattina, ha chiarito a tutti qual è e quale sarà nell’immediato futuro, la posizione del Gruppo Riva in merito alle nuove prescrizioni.
Ma prima ancora di entrare nel merito del discorso, Ferrante lancia un messaggio sinistro, che contraddice quanto sino ad ora sostenuto dall’azienda: “Per il momento, non è ipotizzabile che l’Ilva lasci Taranto”. Il che, di fatto, apre le porte alla possibilità che nel prossimo futuro il Gruppo Riva decida di chiudere baracca e burattini: non prima però, di aver dato battaglia in tutte le sedi, istituzionali e non. Perché è certo che l’Ilva ricorrerà al Tar anche contro le prescrizioni del riesame, così come avvenuto per quelle inserite nell’autorizzazione del 2011. Ieri mattina a Roma infatti, l’azienda ha posto tutti i suoi paletti: primo, ha ricordato ai presenti come l’attuale produzione minima del siderurgico di Taranto sia di 8,6 milioni di tonnellate di acciaio l’anno e non 8 milioni che rappresenta il tetto massimo imposto dalla nuova AIA.
Inoltre, è stato sottolineato che anticipare di un anno dal luglio 2015 al luglio 2014 la fermata per il rifacimento dell’altoforno 5, comporterà inevitabilmente riflessi negativi sull’occupazione, perché questi lavori all’impianto “richiederanno adeguati tempi di progettazione, fornitura e costruzione di componenti”. Non solo: l’azienda ha anche dichiarato che il fermo immediato e contestuale di quattro batterie delle cokerie – 3, 4, 5, e 6 – non sarebbe compatibile con la marcia dei restanti altiforni, perché verrebbe a mancare il coke necessario. Come non bastasse, è stato richiesto più tempo per progettare la copertura parziale o totale dei parchi minerali: sei mesi, anziché i due previsti dall’AIA con l’ultimazione dei lavori previsti a marzo del 2016. “Abbiamo posto delle riserve – ha dichiarato Ferrante – che riguardano la sostenibilità economica e tecnica del parere della commissione. Ci siamo riservati di fare una valutazione, come ho detto, sul piano della sostenibilità economica oltre che tecnica del parere, anche alla luce dell’andamento del mercato mondiale di questo settore”.
Per il Gruppo Riva infatti, le prescrizioni contenute nel riesame dell’AIA comporterebbero “una minore competitività” che favorirebbe i concorrenti europei specie in relazione ai limiti di produzione imposti dalla commissione ministeriale. Otto milioni di tonnellate all’anno che secondo il legale rappresentante dell’Ilva, è un elemento da valutare soprattutto in relazione “all’impegno finanziario che ci viene richiesto”. Tutto chiaro, dunque. Il Gruppo Riva, molto semplicemente, non ritiene “conveniente” rispettare la tempistica delle nuove prescrizioni in merito ai lavori di risanamento degli impianti. Perché perderebbe competitività sul mercato rispetto ai produttori d’acciaio rivali. Inoltre, come se non fosse in corso il sequestro dell’intera area a caldo e avesse ottenuto la facoltà d’uso degli impianti per produrre, o peggio ancora la Procura avesse detto sì alla richiesta di continuare a sfornare acciaio con una minima capacità produttiva, si contesta anche il limite di 8 milioni di tonnellate annue. La tattica, quindi, è sempre la stessa: continuare a gestire la produzione senza impedimenti di sorta, allungando il più possibile i tempi d’intervento.
La chiara dimostrazione di come quest’azienda non abbia il minimo scrupolo di coscienza verso questo territorio. Di come non abbia nel suo dna il rispetto dell’ambiente e della salute di operai e cittadini. Di come si ragioni ancora seguendo principi economici oramai vetusti come gli impianti presenti nel siderurgico tarantino. La prova provata di come le nostre istituzioni non abbiano la minima capacità di opporsi ad un potere che negli anni ha inglobato tutto e tutti. Così come totale è l’incapacità, non solo di progettare, ma anche solo di immaginare un futuro diverso, senza più la grande industria sul territorio. Per questo, ancora una volta, ribadiamo come l’unica alternativa possibile la potranno costruire soltanto i cittadini di Taranto, se avranno il coraggio di osare ciò che oggi appare impossibile. Tutto il resto, conta meno di zero.
Gianmario Leone (TarantoOggi del 19 ottobre)
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