Anche perché, come abbiamo più volte sostenuto su queste colonne, il discorso è viziato sin dalle sue fondamenta: riesaminare un’autorizzazione concessa meno di un anno fa ad un’azienda che ha ricorso al TAR contro le prescrizioni più “stringenti” in essa contenute (soltanto dopo l’intervento della magistratura istituzioni e sindacati hanno avuto il coraggio di dire che quel testo altro non era che un compromesso politico, a scapito dell’ambiente e della salute aggiungiamo noi), e che oggi vede l’intera area a caldo e ben sei impianti diversi sotto sequestro preventivo per il reato di disastro ambientale colposo, i cui proprietari sono agli arresti domiciliari, ci sembra abbastanza per poter sostenere la tesi secondo cui non andava assolutamente presa in considerazione un’eventualità del genere.
Se poi a questo aggiungiamo altri pesanti dettagli, si capirà bene come ancora una volta assisteremo all’ennesima farsa della storia di questa città. L’azienda, ad oggi (ieri per chi legge), non ha presentato il proprio contributo conclusivo al lavoro del gruppo istruttore incaricato dal ministro Clini: come se la questione non le riguardasse affatto, l’Ilva placidamente osserva e nel frattempo continua a produrre e a riempire le “scorte”, nel caso in cui dovesse essere realmente costretta ad interrompere l’attività produttiva. Non solo. Quello che si discuterà oggi nella Conferenza dei Servizi, sarà un riesame a metà: non solo perché nel testo redatto dal gruppo istruttore l’applicazione delle migliori tecnologie disponibili riguarda soltanto le aree ghisa ed acciaieria, e non l’agglomerato, l’altoforno e i parchi minerari, ma anche e soprattutto perché il sistema di gestione ambientale, il monitoraggio nonché gli aspetti di gestione dei rifiuti e delle acque di processo, saranno analizzate ed introdotte in un secondo e futuro provvedimento. Molto semplicemente, siccome siamo in Italia, procediamo di nostra iniziativa infischiandocene delle regole: che esistono e non ce le siamo inventate noi su due piedi.
L’AIA è stata ideata appunto per evitare che “approcci distinti nel controllo delle emissioni nell’aria, nell’acqua o nel suolo possano incoraggiare il trasferimento dell’inquinamento tra i vari settori ambientali, anziché proteggere l’ambiente nel suo complesso”. Tutto ciò è previsto nelle varie direttive sulla prevenzione e riduzione dell’inquinamento (direttiva 96/61/CE recepita dal D. Lgs. 59/2005) ed in quelle successive (direttiva 2008/1/CE). Altro aspetto fondamentale della questione: il riesame dell’AIA prevede che l’Ilva debba ridurre le emissioni inquinanti applicando le migliori tecnologie disponibili, sulle quali la scelta finale, per legge, spetta all’azienda, anche e soprattutto da un punto di vista economico. Il che vuol dire che l’Ilva, se mai dovesse intervenire, sceglierà le tecnologie meno costose e meno impegnative tecnicamente parlando.
Ma la perizia dei chimici ha posto come parametro di valutazione di base le migliori tecnologie in assoluto, previste dall’articolo 8 della normativa sull’AIA (d. lgs. 59/2005), che recita testualmente: “Se, a seguito di una valutazione dell’autorità competente, che tenga conto di tutte le emissioni coinvolte, risulta necessario applicare ad impianti, localizzati in una determinata area, misure più rigorose di quelle ottenibili con le migliori tecniche disponibili, al fine di assicurare in tale area il rispetto delle norme di qualità ambientale, l’autorità competente può prescrivere nelle autorizzazioni integrate ambientali misure supplementari particolari più rigorose, fatte salve le altre misure che possono essere adottate per rispettare le norme di qualità ambientale”. Altro aspetto ritenuto pregiudiziale, era che nelle prescrizioni del riesame dovesse essere previsto il piano di dismissione e ripristino ambientale “con annessa valutazione economica e relativa stipula di fideiussioni bancarie” come previsto dalla normativa di riferimento che prende in esame anche l’ipotesi di arresto definitivo dell’impianto.
Questi sono soltanto alcuni degli aspetti per cui oggi, a Roma, non dovrebbe svolgersi alcuna Conferenza dei Servizi. Perché non dovrebbe esistere alcun riesame per l’autorizzazione all’esercizio di impianti che hanno dimostrato di essere del tutto incompatibili con il rispetto dell’ambiente e della salute di operai e cittadini di tutte le fasce d’età. Fu un errore concedere l’AIA nell’agosto 2011: confezionarne un doppione oggi, con un’inchiesta in corso, con l’imminente arrivo di nuovi dati sanitari (Registro Tumori 2006-2008 e progetto Sentieri 2003-2009) ed un altro filone d’inchiesta che promette di provocare un vero e proprio terremoto politico, ci appare un diabolico perseverare da parte di istituzioni che hanno, da tempo, deciso di stare dalla parte dell’ingegnere dell’acciaio. Del resto l’Ilva, mentre da un lato continua a produrre facendo spallucce del sequestro e dei vari provvedimenti dei custodi giudiziari, dall’altro promette collaborazione totale per poi, un giorno sì e l’altro pure, presentare una serie di ricorsi che altro obiettivo non hanno se non quello di posticipare nel tempo qualunque conseguenza negativa.
Inoltre, è sin troppo chiaro come per l’Ilva l’AIA rappresenti una vera e propria merce di scambio. Accettare di iniziare una serie di interventi per risanare gli impianti è subordinato ad una questione fondamentale, dalla quale il Gruppo Riva non prescinderà mai: la possibilità di proseguire nell’attività produttiva. Tutto il resto, se mai ci sarà, è un aspetto secondario. Non è un caso del resto se tutti, Procura esclusa, ritengono possibile il risanamento degli impianti continuando la produzione. Non è un caso se tutti, Procura esclusa, sostengono che lo spegnimento degli impianti (a partire guarda caso dall’AFO 5) comporterà la fine del siderurgico tarantino. Ma non è un caso soprattutto un aspetto sul quale nessuno ha volutamente posto attenzione. Nell’ultimo piano di risanamento degli impianti, l’azienda ha dichiarato di voler spegnere l’AFO 5 a partire dal 1 luglio 2015 per poi riaccenderlo entro il 31 dicembre 2015.
Che strano, però. Perché proprio a partire dal 1 gennaio 2016 l’Ilva, come tutte le altre aziende europee, sarà obbligata a rispettare i nuovi parametri sull’inquinamento previsti dall’ultima direttiva europea dello scorso marzo. Che incredibile coincidenza, vero? Il Gruppo Riva sa molto bene cosa fare: oggi, domani e dopo domani. Ha un piano preciso da tempo. Ed ha la grande fortuna di essere in Italia e di avere a che fare con delle istituzioni e dei sindacati impresentabili, sotto ogni punto di vista. Ed una popolazione lontanissima dall’aver preso coscienza del fatto che un altro futuro ed un’altra economia sono davvero possibili. Ma la Storia è strana ed imprevedibile. E per nostra grande fortuna, non ha mai guardato in faccia nessuno al momento della resa dei conti. Sono caduti i più grandi imperi e gli imperatori apparentemente più invincibili. Vuoi vedere che alla fine cadrà anche il più grande impero economico dell’acciaio del nostro paese? Ad maiora. E buona Conferenza.
Gianmario Leone (TarantoOggi del 18 ottobre 2012)
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