Ma c’è poco di che stupirsi: qui siamo a Taranto, pieno Sud Italia, città nella quale queste due grandi aziende hanno sempre avuto mano libera nell’inquinare, così come nel decidere autonomamente il se, il come e il quando rispettare o meno la legge. Perché anche stavolta, di questo si tratta: si dia il caso infatti che il Decreto Legislativo 17 agosto 1999, n. 334 (238 del 2005 e 139 del 2009) obbliga le aziende a dotarsi di tale piano, per evitare i così detti casi di “incidente rilevante”: ovvero un evento quale “un’emissione, un incendio o un’esplosione di grande entità, dovuto a sviluppi incontrollati che si verificano durante l’attività di uno stabilimento, che dia luogo ad un pericolo grave, immediato o differito, per la salute umana o per l’ambiente, all’interno o all’esterno dello stabilimento, e in cui intervengano una o più sostanze pericolose”. Attualmente, è vigente un unico Piano di Emergenza Esterno, adottato con Decreto Prefettizio n.4213 del 30/06/2008 in aggiornamento della precedente pianificazione provvisoria risalente all’anno 2003 (Decreto Prefettizio n. 31/2003 del 21.11.2003).
Il medesimo Piano con decreto prefettizio n.23727 del 9.11.2011, informa la nota della Prefettura, “è stato già oggetto di revisione/aggiornamento per quanto riguarda le modalità di intervento in condizioni di emergenza anche con specifica informazione alla popolazione, comprensiva della campagna divulgativa curata dal Comune di Taranto. Relativamente alle parti d’interesse della popolazione il Piano in questione è pubblicato sul sito istituzionale di questa Prefettura”. Il Prefetto di Taranto, Claudio Sammartino, a tal fine ha costituito un gruppo di lavoro del quale fanno parte anche tre funzionari inviati, dallo scorso 5 settembre, in missione presso questa Prefettura direttamente dal Ministero dell’Interno.
Perché qui non stiamo parlando di un qualcosa di secondario rispetto al problema ambientale o sanitario. La mancanza di un Piano di Emergenza Esterno, è di una gravità assoluta. E’ bene ricordare infatti, che la Pianificazione di Emergenza Esterna ha come obiettivo primario quello di rispondere in modo tempestivo ad una emergenza industriale, senza far subire alla popolazione esposta gli effetti dannosi dell’evento incidentale occorso, ovvero mitigando le conseguenze di quest’ultimo attraverso la riduzione dei danni: cosa che a tutt’oggi non sarebbe evitata alla popolazione tarantina. Ad essere ancora più precisi, ci preme sottolineare che gli effetti di un evento incidentale di natura chimica, ricadono sul territorio con una gravità di norma decrescente in relazione alla distanza dal punto di origine o di innesco dell’evento in questione.
In base alla gravità degli effetti, il territorio esterno allo stabilimento è suddiviso in zone con diversi livelli di rischio. C’è la zona di massima esposizione (o di sicuro impatto): rappresenta la zona immediatamente adiacente allo stabilimento ed è generalmente caratterizzata da effetti sanitari gravi, irreversibili (ad esempio il quartiere Tamburi, dove vivono ben 18 mila persone); poi la zona di danno: rappresenta una zona dove le conseguenze dell’incidente sono ancora gravi, in particolare per alcune categorie di persone (bambini, anziani, malati, donne in gravidanza, ecc.); infine la zona di attenzione: rappresenta la zona più esterna all’incidente ed è caratterizzata da effetti generalmente non gravi.
Dalla Prefettura di Taranto sono stati previsti due distinti piani per ciascun stabilimento. In particolare, il piano di emergenza esterna riguardante l’ILVA è in fase di aggiornamento sulla scorta della conclusione del procedimento di valutazione, ai sensi dell’art. 21 del D.Lgs. 334/1999, del Rapporto di Sicurezza, da parte del Comitato Tecnico Regionale della Puglia; il piano di emergenza esterna riguardante l’ENI è in aggiornamento sulla scorta della conclusione di analogo procedimento di valutazione da parte del Comitato Tecnico Regionale della Puglia.
Chi risponderebbe dunque nel caso in cui oggi si verificasse in uno dei due stabilimenti in un incidente ben più grave di quelli a cui abbiano assistito negli ultimi mesi? Inoltre, come riportammo mesi addietro, esiste un’informativa della Prefettura che indica come per quanto riguarda l’Eni siano ben 143 gli eventi incidentali ritenuti credibili emersi dall’analisi incidentale, di cui 12 potrebbero interessare aree oltre i confini dello stabilimento nel caso in cui si verificassero; mentre per quanto concerne l’Ilva, dei 17 eventi incidentali ritenuti credibili emersi dall’analisi incidentale, solo tre sarebbero tali da poter creare possibili danni oltre i confini dello stabilimento. Un numero sin troppo elevato a cui esporre una popolazione di oltre 190.000 anime, che oltre a respirare ogni giorno veleni, viene esposta alla reale possibilità di una catastrofe di cui nessuno oggi potrebbe dire la portata e la gravità.
Può sembrare grottesco, allucinante o paradossale, ma è la realtà che vive questa città da sempre. Ad esempio, vogliamo ricordare in questa sede come nello Studio di Impatto Ambientale per il progetto “Tempa Rossa” dell’Eni, guarda caso manca proprio l’analisi di incidente rilevante: cosa gravissima, visto l’aumento di petroliere previsto nella rada di Mar Grande (si prevede un aumento del traffico di petroliere di circa 90 unità in più all’anno) e l’aumento delle emissioni fuggitive del 12%. Eppure, nonostante questo, il ministero dell’Ambiente, la Regione Puglia, la Provincia ed il Comune di Taranto tra l’estate e l’autunno del 2011, hanno dato il loro assenso al progetto. Per poi oggi compiere la solita ridicola “ritirata spagnola” attraverso un insignificante ordine del giorno in Consiglio Comunale in cui si chiede (ma a chi se lo hanno dato loro stessi?) di riverificare i vari ok conferiti al progetto che in Basilicata, tra l’altro, è già partito con le prime perforazioni da parte della Total Italia.
I piani in questione saranno elaborati in base alle indicazioni contenute nelle linee guida predisposte dal Dipartimento della Protezione Civile emanate con D.P.C.M. 25.02.2005 (“Linee Guida per la predisposizione del piano d’emergenza esterna di cui all’art. 20, comma 4, del decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 334”), che rappresenta lo strumento operativo per l’elaborazione e/o l’aggiornamento dei PEE degli stabilimenti a rischio di incidente rilevante nonché ai sensi del Decreto del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, n. 139 del 24 luglio 2009, riguardante la disciplina delle forme di consultazione della popolazione.Infine, informa sempre la nota della Prefettura, “a breve, come previsto dall’art. 2, comma 2, del richiamato Decreto verrà avviata, a cura di questa Prefettura, d’intesa con il Comune di Taranto, la fase di consultazione della popolazione, fra l’altro, mediante la pubblicazione delle informazioni previste su siti istituzionali nonché all’albo pretorio del detto Ente per consentire a chiunque ne abbia interesse di presentare, nei successivi trenta giorni, osservazioni, proposte o richieste”.
Anche perché, ma questo è purtroppo scontato, nessun cittadino di Taranto saprebbe come comportarsi in caso di incidente rilevante. E qualcosa ci dice che non saprebbero come agire e cosa fare nemmeno le nostre istituzioni. Nonostante l’art. 14 D.lgs. 334/99, integrato con l’aggiunta del comma 5 bis, individui un ruolo essenziale degli enti locali “nella pianificazione urbanistica, quale strumento di controllo dell’urbanizzazione nelle zone interessate da stabilimenti a rischio d’incidente rilevante”. Morale della favola: siccome ancora oggi il Piano d’Emergenza è provvisorio, a Taranto provvisorio lo è anche il rispetto della legge. Ma solo per alcuni, non per tutti.
Gianmario Leone (TarantoOggi del 18 ottobre 2012)
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Due Piani di Emergenza Esterni ?
Siamo alla Follia Pura...
l'Ilva dichiara a pag 26 del Piano di Sicurezza presentato in autocertificazione al Prefetto che mai e poi mai Nubi Tossiche possono valicare i confini dello Stabilimento; e' un chiaro FALSO ed entra in azione l'art 27 comma 4 del DL 334/99 che prevede l'immediato fermo degli impianti fuori-legge.