TARANTO – Gli assenti di oggi sono i dimenticati di ieri. Alla manifestazione di sabato scorso, più delle numerose presenze, hanno fatto rumore coloro che, per scelta, non hanno partecipato. Il nutrito corteo di persone che ha attraversato le vie principali del quartiere Tamburi, il più colpito dall’inquinamento, ha visto il coinvolgimento di una città attiva, pronta a difendere il diritto alla salute, non più barattabile. I negozianti dei Tamburi in maniera compatta, hanno condiviso le ragioni del corteo pacifico, mantenendo per tutta la mattinata le saracinesche abbassate in segno di vicinanza. Tuttavia lungo il percorso, tanti manifestanti sono rimasti, attoniti, con il naso all’insù: increduli nel vedere parecchi abitanti del quartiere all’ultimo posto d’Europa per vivibilità, affacciati alle finestre, e non per le strade a gridare, più degli altri, il diritto a morire di vecchiaia.
Una ritrosia ad unirsi alla manifestazione che neanche i numerosi appelli, lanciati via megafono dagli organizzatori, sono riusciti a scalfire. Difficile entrare nella mente di chi è costretto ad abitare le case infestate dai fumi e dalla polveri dell’Ilva. Certo è che non si è trattato di pochi casi isolati; ad occhio nudo, in ogni palazzo almeno la metà dei balconi, con l’affaccio sulla strada principale, erano popolati. Una presenza-assenza di cittadini forse illusi per troppi anni dalle istituzioni ed oggi, in parte, apatici di fronte alle epocali trasformazioni in atto. Non si può ignorare che in tutto questo tempo i Tamburi sono stati dimenticati dalle istituzioni che hanno consentito, con colpevole cecità, lo scempio: far respirare un’aria mortale.
E allora, di fronte allo spettro sempre presente della morte, le priorità cambiano e si cerca di racimolare un pezzo di pane oggi che domani potrebbe essere già tardi. Per questo dal corteo si è cercato di fare appello al senso civico, invitando i cittadini del quartiere a riappropriarsi del diritto di voto consapevole, qui spesso svenduto per una 50 euro. Da Napoli, è intervenuta anche una delegazione in rappresentanza del comitato “No discariche” che ha rivolto l’invito a seguire l’esempio della lotta alla mafia; “se non volete scendere in piazza, allora stendete sui vostri balconi un lenzuolo bianco in segno di adesione”, ha ripetuto al megafono con un marcato accento campano. Ma tutti hanno lasciato sugli stendini i panni del bucato appena steso, ben presto annerito dalle polveri nere. Qui il confine tra bene e male è assolutamente impercettibile: la fabbrica entra dentro le case e se da una parte taglia il respiro, dall’altra è l’unica fonte di sostentamento. Eppure in tanti dei Tamburi c’erano. Una folla silenziosa di persone, la maggior parte con i capelli bianchi, che tanto avrebbero da raccontare su un quartiere sorto prima della grande fabbrica e da quest’ultima distrutto senza pietà. Il segno che la speranza è ancora presente.
Fabiana Di Cuia