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L’Aia non salverà l’Ilva

TARANTO – Ad iniziare dal ministro Clini sino ad arrivare agli “amici” di Genova, in molti si chiedono se il riesame dell’Autorizzazione integrata ambientale (AIA) con le nuove prescrizioni per l’Ilva pensate dalla commissione IPPC, possa evitare e quindi fermare le procedure di spegnimento degli impianti avviate giovedì da parte dei custodi giudiziari. Domanda e pensiero sbagliati: perché basta semplicemente confrontare i tempi di attuazione degli interventi previsti dall’AIA con quelli del provvedimento dei custodi per rendersi conto di come, ad esempio nel caso dell’altoforno 5, il ministero dell’Ambiente altro non abbia fatto che trovare una mediazione tra la proposta dell’Ilva (spegnimento a luglio 2015) e l’ordine dei custodi (spegnimento immediato): l’AFO 5 va spento entro la prima metà del 2014.

Ciò detto, è inutile aspettarsi interventi immediati da parte della magistratura, che si esprimerà soltanto quando il decreto sarà firmato dal ministro dell’Ambiente Corrado Clini dopo la conferenza dei servizi di giovedì 18. A chiarirlo è stato il procuratore capo della Repubblica, Franco Sebastio, che ha candidamente dichiarato che “quando l’atto sarà ufficiale, lo studieremo e valuteremo”. Ma al di là dei dettagli tecnici, che abbiamo già analizzato, il nodo cruciale della vicenda, resta sempre lo stesso: e cioè che mentre la Procura sostiene che gli impianti vanno fermati perché inquinanti e pericolosi per la salute di lavoratori e cittadini, Governo, sindacati, Confindustria, Federacciai, istituzioni locali e tutti coloro che sono interessati a che l’Ilva non cessi la produzione dell’acciaio perché ad esse legati economicamente, sostengono che gli impianti sotto sequestro possono essere risanati senza interrompere la loro marcia produttiva. Asserzione che nessuno dei soggetti su citati ha spiegato però come attuare realmente.

Il che lascia supporre che tale presa di posizione nasconda un tentativo peraltro mal riuscito, di lasciare al Gruppo Riva una via di fuga, giocando sul fattore tempo e legandolo al peso che la produzione del siderurgico tarantino ha sull’economia nazionale. Lampanti, a tal proposito, le dichiarazioni che Sebastio ha rilasciato ieri al Sole24Ore: “Bisogna anche intendersi sulla realtà che abbiamo di fronte. Ovvero se pensiamo che lo stabilimento non sia pericoloso, allora gli diamo tempo, anni e forse anche decenni per mettersi a norma: ma se tutti conveniamo, come mi pare, che il pericolo c’è, allora la situazione è diversa”. Difatti, qualora qualcuno lo avesse dimenticato, l’ordinanza del GIP Todisco in questo è chiarissima: “Solo la compiuta realizzazione di tutte le misure tecniche necessarie per eliminare le situazioni di pericolo potrebbe legittimare l’autorizzazione – previa attenta ed approfondita valutazione da parte di tecnici dell’efficacia, sotto il profilo della prevenzione ambientale, delle misure eventualmente adottate – ad una ripresa della operatività dei predetti impianti. Deve, dunque, ordinarsi il sequestro preventivo, senza facoltà d’uso dell’Area Parchi, Area Cokerie, Area Agglomerato, Area Altiforni, Area Acciaierie, Area GRF (Gestione Rottami Ferrosi)”.

Inoltre, è bene ricordare come tale problema non dovrebbe nemmeno porsi, visto che l’azienda non ha la facoltà d’uso per gli impianti delle aree sequestrate, AFO 5 compreso. Con il Tribunale del Riesame, la cui pronuncia non è stata appellata dall’azienda in Cassazione, che ha confermato in pieno tale aspetto. Dunque, il problema delle tonnellate che l’Ilva ha prodotto nel passato e potrebbe produrre con la nuova AIA non si dovrebbe porre nemmeno. Dunque, di cosa stiamo parlando? Del nulla. Quel vuoto che contraddistingue da decenni la nostra classe politica e dirigente, ancora oggi incredibilmente ferma in attesa degli eventi. Incapace di abbozzare anche soltanto una timida reazione, proprio mentre la magistratura ha offerto su un piatto d’argento ad un’intera comunità, la possibilità di iniziare a pensare e costruire un futuro diverso senza la grande industria.

Ma forse, la verità, è che in troppo pochi credono davvero in un futuro diverso. Slegato dall’acciaio, dal petrolio, dal cemento e dai rifiuti. In troppo pochi hanno la voglia e il coraggio di rischiare il conflitto frontale con l’arroganza dei poteri forti e di chi da decenni ci ha relegato a provincia dell’impero economico italiano, togliendoci l’aria, l’acqua, la terra: oltre che la salute e la possibilità di vivere una vita sana, lontana il più possibile dal dolore che ha colpito ognuno di noi. Per decenni siamo rimasti silenti, immobili, distratti, complici: oggi non è più possibile rinviare la scelta sul cosa fare. O ci prendiamo il futuro e lo ridisegniamo lontano dalla grande industria, o resteremo per sempre ostaggi dell’inquinamento e di una classe politica che inserita nel sistema, non potrà che continuare ad essere complice.

Gianmario Leone (TarantoOggi del 15 ottobre 2012)

 

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