TARANTO – Chissà perché quando avviene un incidente all’Eni, la notizia scompare nell’arco di 24 ore o giù di lì. E’ come se la raffineria fosse protetta da una specie di segreto di Stato per cui tutti tacciono e nessuno interviene: a cominciare dalle istituzioni, del tutto silenti. Eppure, nell’ultimo mese tre operai sono finiti in ospedale, l’Eni annuncia verifiche su quanto accaduto, l’ARPA certifica superamenti del limite di benzene nell’aria, la popolazione subisce l’invasione di emissioni di gas che rendono l’aria irrespirabile, ed ogni volta si rischia un effetto domino che sarebbe devastante per l’intera area industriale, oltre che per gran parte della città di Taranto.

Ma niente di tutto questo sembra smuovere le nostre istituzioni, oltre che la quasi totalità del mondo ambientalista tarantino (tranne che per il comitato “Legamjonici”) da sempre concentrate unicamente sul grande nemico, nonché vicino dell’Eni: l’Ilva Spa. Eppure, tutti sanno che anche le emissioni della raffineria, anche se in maniera certamente ridotta, hanno contribuito all’avvelenamento dell’aria di Taranto. Oltre che delle acque di Mar Grande, dove confluiscono gli scarichi dell’Eni, vicini a quelli dell’Ilva.

Per fortuna però, questa volta non siamo soli nel tenere alta l’attenzione su quanto accade all’interno della raffineria: perché dopo l’ennesimo incidente, alzano la voce anche le RSU dell’appalto Eni con un duro comunicato, che mette in guardia tutti da continuare a sottovalutare quanto avviene all’interno della raffineria. “Quello che sta accadendo nella Raffineria Eni di Taranto merita una profonda e seria riflessione. Mercoledì c’è stato un secondo infortunio gravissimo: stessa dinamica, stessa azienda, stessa tipologia di lavoro a distanza di un mese nel quale altri due lavoratori dell’appalto sono rimasti avvolti dalle fiamme. O è un problema di carenti procedure operative della ditta d’appalto o ci sono grossi problemi organizzativi da parte dell’Eni”. Eppure, come sempre avviene in questo paese, ed in questa città, è come se si aspettasse l’irreparabile. O magari l’ennesimo intervento della magistratura. Anche perché, nel loro comunicato, le RSU lasciano intendere che dentro la raffineria, non tutto avviene secondo le regole: “Non è più possibile aspettare che qualcosa di più grave possa accadere!

Non si può pensare di garantire la sicurezza ingaggiando aziende preposte alla vigilanza sui posti di lavoro (Simam), se al tempo stesso non si abbandonano logiche di lavoro che privilegiano innanzitutto il concetto del risparmio. Non si può, infatti, continuare a svolgere lavori di manutenzione nei tempi e nelle condizioni imposte dalla Raffineria senza rischiare l’incidente”. Evidentemente, l’ordinanza del GIP Todisco sull’Ilva, ha fatto scuola: anche dalle parti dell’Eni infatti, pare che a regnare sovrana sia sempre e soltanto la logica del profitto (non che la cosa ci sorprenda). “Uno degli aspetti che ci preoccupa moltissimo è il radicarsi, in questo sito, della cultura che ha come fine quello di soddisfare incondizionatamente le esigenze della Committente, perché è ritenuta condizione indispensabile per salire la classifica dell’affidabilità (in termini di disponibilità) da parte delle Aziende appaltatrici”.

Fare il lavoro prima degli altri per dimostrare di essere più affidabili e continuare a vincere appalti: la sicurezza, ancora una volta, all’ultimo posto: e a pagare, così come avviene nel caso dell’Ilva, sono sempre e soltanto gli stessi: i lavoratori con gli infortuni, anche gravi, ed i cittadini con le esalazioni e il rischio di saltare in aria da un momento all’altro. “E’ un gioco al massacro le cui conseguenze inevitabilmente le pagano i lavoratori. Mostrare sensibilità in materia di ambiente e sicurezza non significa soltanto investimenti per innovazioni tecnologiche ma al tempo stesso devono essere accompagnate dalla volontà reale di tutelare l’incolumità delle persone.

Tutto questo ha un prezzo, perché non è conciliabile il concetto della sicurezza con quello del risparmio. Noi proponiamo un maggior coinvolgimento di tutti i protagonisti che operano all’interno della Raffineria, senza delegare a soggetti più o meno interessati la nostra incolumità, perché siamo convinti che attraverso questo meccanismo si possa raggiungere la reale possibilità di ridurre al massimo i fattori di rischio”. La speranza è che questo appello non resti inascoltato, in attesa di un prossimo incidente. Sul quale nessuno può prevedere l’intensità e gli eventuali danni: ai lavoratori ed alla popolazione.

G. Leone (TarantoOggi del 13 ottobre 2012)

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