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Ilva, la notte più lunga

TARANTO – Chissà in quanti avranno preso sonno con facilità questa notte. Alla mezzanotte infatti, scadeva l’ultimatum della Procura di Taranto, con il quale si intimava all’Ilva di avviare la fase di spegnimento degli impianti, unica e logica conseguenza di quanto previsto nell’ordinanza di sequestro preventivo dell’area a caldo del siderurgico più grande d’Europa, firmata lo scorso 25 luglio dal GIP Patrizia Todisco.

L’attesa è dunque finita, ed è molto probabile che finalmente oggi conosceremo le reali intenzioni del Gruppo Riva, che negli ultimi due mesi si è divertito opponendo una strenua resistenza attraverso ricorsi, presentazioni di “roboanti” piani finanziari, e disseminando il solito terrore con lo squallido stratagemma del ricatto occupazionale, evitando abilmente di assumersi le sue responsabilità e di affermare con chiarezza le reali intenzioni sul futuro dello stabilimento tarantino, alla cui produzione è legata l’intera industria metalmeccanica italiana, oltre che gli stabilimenti liguri di Genova Cornigliano, Novi Ligure e Racconigi. Non che non fossimo preparati o non ci aspettassimo tale atteggiamento da parte di chi, per anni e anni, ha preferito inquinare consapevolmente per inseguire una precisa logica del profitto, coperto da omissioni e complici di varia natura e a tutti i livelli istituzionali.

Sfortuna ha voluto che un GIP e una Procura abbiano deciso di dire basta, dando ragione ai pochi che negli anni hanno denunciato quanto tutti sapevano da decenni. “Il quarto custode giudiziario dell’Ilva, il prefetto Bruno Ferrante, con un ordine di servizio ha messo a disposizione dei custodi il personale che dovrà attuare le disposizioni previste dalla Procura. Ora spetta ai custodi stabilire come attuare le nostre direttive che sono scritte in un italiano corretto”. Con la consueta graffiante ironia il procuratore di Taranto, Franco Sebastio, ha commentato ieri il proseguo della fase d’attuazione dei provvedimenti disposti nei confronti dell’Ilva con il sequestro degli impianti inquinanti. Sottolineando con quell’italiano “corretto” che quanto scritto nei vari provvedimenti non può essere non compreso dall’azienda e dai suoi vertici, che ricordiamo essere ancora agli arresti domiciliari. Ieri mattina, il presidente del Cda dell’Ilva Bruno Ferrante ha incontrato oltre 200 capi reparto per svolgere una riunione operativa: “si è analizzata l’attuale situazione dell’azienda, oltre a spiegare nel dettaglio come l’azienda stia collaborando con i custodi giudiziari”, si legge in una breve nota del gruppo Riva.

“Vogliamo rispettare le disposizioni dell’autorità giudiziaria con atteggiamenti collaborativi”, ha ribadito ancora una volta Ferrante parlando ai capi reparto. Aggiungendo che “è nostro dovere di cittadini rispettare le disposizioni che l’autorità giudiziaria dà anche attraverso i custodi”: frasi di circostanza il cui peso lo si vedrà soltanto quest’oggi. Perché le solite belle parole da sole non chiariscono cosa avverrà davvero dentro l’Ilva. Al centro di tutto, ancora una volta, c’è l’altoforno 5: perché i custodi che torneranno nel siderurgico quest’oggi, lo faranno anche per avviare le procedure per lo spegnimento del suo cuore produttivo; ma l’Ilva, lunedì, ha annunciato che i tecnici della Paul Wurth che l’azienda metterà a disposizione dei custodi, avranno il compito di eseguire gli ordini per quanto riguarda l’altoforno 1. Non certo per l’AFO 5 che l’azienda ha previsto di spegnere non prima del 1 luglio 2015, così come sarebbe tra l’altro previsto nelle prescrizioni presenti nella nuova AIA.

Non è un caso infatti se il procuratore Sebastio ieri ha volutamente lanciato un chiaro avvertimento: “Se ci saranno “resistenze” da parte dell’azienda, i custodi dovranno comunicarlo alla Procura, che deciderà eventuali provvedimenti”. Del resto, annunciare di voler spegnere l’AFO 5 soltanto nel luglio del 2015, così come affermare che le centraline per il monitoraggio delle emissioni inquinanti saranno installate entro 8 mesi (quando avrebbero dovute essere già state installate da agosto secondo quanto prescritto nell’AIA del 2011), la dice lunga sulle reali intenzioni dell’Ilva. E stupisce come ancora in tanti, dai sindacati alle istituzioni, dal Governo a molte associazioni cittadine, non abbiano ancora contezza della logica seguita dal Gruppo Riva: lo scriviamo da mesi e lo ribadiamo ancora una volta oggi. Il Gruppo Riva non risanerà nemmeno un metro cubo dell’Ilva se non avrà la possibilità di continuare a produrre acciaio (al massimo o al minimo è una questione che ci interessa relativamente).

Logica per logica, non bonificherà un ettaro a queste condizioni. Stante queste premesse, si evince il perché il Gruppo Riva e la Procura siano distanti anni luce: “La nostra stella polare è fare cessare le emissioni inquinanti: tempi e modi dovranno essere stabiliti dai custodi tecnici garantendo la sicurezza degli impianti”, ha ribadito Sebastio. Eppure, istituzioni e sindacati continuano a recitare la parte di chi non sa di che pasta è fatta un’azienda che ha trattato questo territorio, i suoi lavoratori e i cittadini alla stregua di una colonia dell’800, in sprezzo al più elementare e basilare diritto universale: quello alla salute e alla vita. E mentre fanno finta di indignarsi per la “poca chiarezza” del Gruppo Riva, attendono con spasmodica trepidazione, la nuova autorizzazione integrata ambientale su cui hanno deciso di puntare tutta la posta in palio.

Il ministro dell’ambiente Corrado Clini, ha assicurato che entro stanotte sarà conclusa a Roma la procedura istruttoria della revisione dell’AIA, che sostituirà quella rilasciata ad agosto 2011. Oggi, quindi, dovrebbe essere presentata formalmente la proposta che poi verrà analizzata nella Conferenza dei servizi prevista per il 17 ottobre. Ma anche in questo caso, ci sono differenze sostanziali tra le prescrizioni previste dal ministero e le indicazioni dei custodi. Più sui tempi che sui modi. Per esempio, la nuova AIA stabilisce la fermata dell’AFO 5 e i lavori della batteria 12 della cokeria, “per gli interventi strutturali”, a partire dal luglio del 2015 (proprio come indicato dall’azienda). Si prevedono anche interventi strutturali da avviare prima del gennaio del 2014 per il “rifacimento della batteria 11 della cokeria”. Sei mesi dopo, “rifacimento delle batterie 7 e 8 della cokeria”. Per quanto riguarda i parchi e la movimentazione minerali, l’AIA prevede che l’azienda presenti entro due mesi lo studio di copertura dei parchi.

E a partire da gennaio, dia il via ai lavori per “installazione e utilizzo di rete idranti; di “fog cannons”, della chiusura nastri movimentazione minerali”: insomma, sempre i soliti rimedi poco incisivi. Visto che l’ultimatum scaduto alla mezzanotte di ieri, prevede che da oggi sia attuato quanto previsto nel provvedimento notificato all’azienda lo scorso 17 settembre: “stop agli altiforni 1 e 5, rifacimento delle batterie 3,4,5,6,9,10 e 11 e rifacimento di AFO 3, fermo da anni; spegnimento dell’acciaieria 1 e rifacimento della 2 e dell’area gestione rottami ferrosi”. A questo punto, vista l’aria che tira, potrebbe rivelarsi più saggia del previsto la scelta del ministro della Sanità, Renato Balduzzi, atteso a Taranto per la presentazione ufficiale dei dati presenti nello studio Sentieri 200-2008, con l’aggiornamento dei dati al 2009: la discesa del ministro in riva allo Ionio è rimandata a data da destinarsi, anche se dovrebbe avvenire entro questo mese.

Intanto, anche questa notte, i cittadini di Taranto sogneranno una città senza più la grande industria; senza i camini, le emissioni velenose, le polveri, le fiamme, i rifiuti, il cemento ed il petrolio. Lo faranno in silenzio, per la grande dignità che li contraddistingue da decenni nell’affrontare un dolore che non potrà mai essere giustificato o tollerato. Ma oltre ai sogni, è bene che questa città trovi il coraggio di prendersi il futuro senza più chiedere il permesso a nessuno: lavorando insieme per costruire un’economia basata unicamente su alternative economiche vere e pulite, come lo sono le risorse innate che questo territorio presenta e che per decenni abbiamo colpevolmente ignorato e sepolto nelle nostre coscienze oltre che sotto quintali di polveri e cemento. Perché per cambiare la propria vita e il mondo, purtroppo, i sogni, così come le parole, alla fine non bastano mai.

Gianmario Leone (TarantoOggi, 12 ottobre 2012)

Nella foto l’Afo 5 in piena attività

 

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