L’Ilva vive in una realtà parallela

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TARANTO – Non ci sarà la tanto temuta cassa integrazione per i 942 operai dichiarati in esubero a seguito dello spegnimento programmato per il prossimo 1 novembre per l’altoforno 1 e per le batterie ad esso collegate 5 e 6, dello stabilimento siderurgico Ilva di Taranto. Il presidente del Cda dell’Ilva, Bruno Ferrante, lo ha ribadito ieri mattina nel corso dell’incontro con le segreterie territoriali dei sindacati metalmeccanici di Fiom Cgil, Fim Cisl e Uilm Uil. I 942 operai dell’area interessata, dunque, “saranno ricollocate o utilizzate in maniera differente nello stesso stabilimento di Taranto”, come era scritto già nell’ordinanza del GIP Patrizia Todisco e ribadito dagli stessi custodi giudiziari nell’ultimo provvedimento dello scorso 17 settembre.

Durante l’incontro, Ferrante ha confermato ai sindacati di aver inviato la comunicazione formale alla Procura in cui, rispondendo all’ultimatum di sabato sera in cui si intimava da parte del procuratore capo Franco Sebastio di iniziare le procedure di spegnimento entro cinque giorni (che scadono oggi), si mette a disposizione il personale interno all’azienda siderurgica (e non prendendolo dall’esterno come prefigurava la Procura) che dovrà collaborare nelle procedure seguendo le direttive dei custodi. Perché è bene ricordarlo ancora una volta: l’Ilva può presentare tutti i piani che meglio crede, può annunciare la fermata degli impianti che ritiene non “utili” al proseguo della produzione, ma le aree sequestrate sono sempre e comunque sotto la gestione dei custodi. Che hanno redatto lo scorso 17 settembre il loro piano, indicando quali impianti andranno spenti e quali aree risanate. Se poi l’Ilva vuole seguire un’altra strada, è libera di farlo: ma sa a cosa va incontro. Anche per questo, i sindacati hanno chiesto che le affermazioni dell’azienda circa la promessa di adeguamento degli impianti alle disposizioni che verranno impartite dalla nuova autorizzazione integrata ambientale (AIA), la cui approvazione è prevista il 17 ottobre in sede di conferenza dei servizi, siano confermate poi dai fatti. Peccato che né l’Ilva, né il Governo, né i sindacati e le istituzioni abbiano capito che un’AIA non può sostituirsi all’azione della magistratura, né fermarla o addomesticarla.

Il ministro dell’Ambiente Corrado Clini si sta assumendo la pesantissima responsabilità di autorizzare l’esercizio di impianti posto sotto sequestro giudiziario per disastro ambientale doloso: anche il ministro, dunque, sa a cosa va incontro. L’Ilva, comunque, continua a guardare la realtà unicamente da una sola angolatura: “Da parte nostra c’è sempre stata una volontà collaborativa ed io personalmente desidero dare sempre risposte puntuali ai provvedimenti dell’autorità giudiziaria, che si possono discutere e contestare nelle sedi giudiziarie ma poi vanno applicati e noi abbiamo il dovere preciso di applicare quelle disposizioni, cosa che stiamo facendo”. Ma il presidente dell’Ilva Bruno Ferrante, forse dimentica che l’azienda ha predisposto lo spegnimento dell’AFO 5 non prima del 1 luglio 2015, quando invece i custodi chiedono di avviare le procedure di spegnimento dell’impianto a partire da oggi.

Così come “ignora” che sempre l’azienda che lui rappresenta in qualità di presidente del Cda, ha candidamente dichiarato che le centraline per il monitoraggio, “ben” 10 per un’area di 2.500.000 quadrati, saranno pronte non prima di 8 mesi: quando invece l’AIA rilasciata nel 2011 dal ministero dell’Ambiente, prevedeva la loro installazione entro e non oltre l’agosto di quest’anno. Stessa cosa dicasi per la copertura dei parchi minerali: spostamento di appena 55 metri e copertura entro il 2016. In questo modo, si certifica carte alla mano come l’Ilva abbia tutta l’intenzione non solo di continuare a produrre, ma anche e soprattutto di continuare ad inquinare, nell’attesa che vengano predisposti e redatti i vari studi di fattibilità per capire come, se e quando intervenire per abbattere le emissioni inquinanti che il GIP Todisco, i custodi giudiziari e la Procura vogliono invece siano eliminate sin da subito.

Ma Ferrante proprio non vuole vedere, e recita la parte di chi continua a non capire: “C’é un impegno da parte nostra serio e responsabile. Abbiamo dato la risposta che l’autorità giudiziaria si attendeva”: sarà. Sui tempi entro cui ottemperare alle varie prescrizioni della Procura, Ferrante ha spiegato che “nella risposta che ho formulato all’autorità giudiziaria parlo sia di AFO 1 che di AFO 5: cioè di entrambi gli altiforni. Mentre per il primo abbiamo presentato già un progetto di spegnimento che era già pronto, nel frattempo abbiamo anche dato un ordine preciso alla Paul Wurth di dirci quali sono le specifiche per lo spegnimento di Altoforno 5. Quando questa società ci risponderà, ci darà anche la tempistica. Quando ciò succederà avremo anche elementi concreti per poterne parlare. Bisogna fare degli scenari che possono essere differenti.

Bisogna vedere in che condizioni e in che tempi è necessario provvedere anche ai lavori su Afo5”. Come a dire: finché non entrate e non spegnete con la forza gli impianti, noi continueremo a fare ciò che meglio crediamo: ovvero, l’AFO 5 non lo spegniamo e continuiamo a produrre. L’Ilva, poi, ha anche improvvisamente cambiato idea sul ruolo che gli operai possono svolgere all’interno dello stabilimento: soltanto sino a pochi giorni fa, lo stesso Ferrante riteneva improbabile il loro possibile utilizzo in merito alle operazioni di risanamento e bonifica.

Oggi, invece, miracolosamente gli stessi potranno essere “distribuiti nello stabilimento: molti di loro saranno anche impegnati nell’attività di risanamento e sistemazione dell’altoforno, altri verranno utilizzati in settori diversi ma sempre all’interno di questo stabilimento”. Poi, Ferrante lancia anche un messaggio enigmatico ai sindacati: “Abbiamo bisogno che siano sempre vicini ai lavoratori  e comunichino con loro nella maniera più corretta possibile. Una vicenda complessa e difficile come questa merita da parte dei sindacati grandissima attenzione, come stanno dimostrando, e grande capacità di comunicare correttamente a tutti i lavoratori”. Domanda: ma questo vuol dire che sino ad oggi non hanno saputo comunicare o hanno comunicato cose non vere ai lavoratori? Chissà.

Infine, Ferrante volge lo sguardo al prossimo futuro: che per l’Ilva si chiama AIA. Che di fatto, a sentire il presidente dell’Ilva, polverizza il bellissimo piano d’investimenti di 400 milioni di euro presentato in pompa magna dall’azienda appena un mese fa. “Il programma che noi avevamo presentato alla Procura della repubblica era un programma di primissimi e immediati interventi il cui valore era stimato intorno ai 400 milioni di euro. Oggi stiamo parlando di una cosa diversa. Parliamo di un’AIA, che speriamo possa arrivare presto, dove sono previsti non soltanto i primissimi interventi ma di iniziative più a lungo termine, quindi è evidente che parliamo di due cose completamente diverse”. Bella scoperta. La speranza dell’Ilva, dunque, è sempre la stessa: riuscire, in un modo o nell’altro, a continuare a produrre.

G. Leone (TarantoOggi, 11 ottobre 2012)

 

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