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Aiuto all’Ilva? Il governo ci prova

TARANTO – In attesa di un futuro scontro alla Consulta della Corte Costituzionale, a meno che la Procura di Taranto non giudichi perfetta l’AIA che il ministero dell’Ambiente si appresta a concedere all’Ilva, il governo prova a giocare d’anticipo. Ovviamente siamo ancora nel campo delle ipotesi: ma il dubbio c’è ed è forte, specie in funzione delle prese di posizione del ministro dell’Ambiente Corrado Clini e del ministro dello Sviluppo Economico Corrado Passera, che a più riprese hanno ribadito come il governo farà di tutto per impedire il fermo della produzione per l’Ilva di Taranto. La seconda prova, invece, la troviamo nella bozza del testo del “Pacchetto Semplificazioni Decreto Sviluppo Bis”: esattamente negli articoli 24 e 25, da pagina 24 a pagina 26, giusto per la precisione.

Nell’articolo 24 (Gestione acque sotterranee emunte), che riprende l’articolo 243 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, al comma 1 il governo inserisce il seguente testo: “Nei casi in cui le acque di falda contaminate determinano una situazione di rischio sanitario, oltre alla eliminazione della fonte di contaminazione ove possibile e economicamente sostenibile, devono essere adottate misure di attenuazione della diffusione della contaminazione conformi alle finalità generali e agli obiettivi di tutela, conservazione e risparmio delle risorse idriche stabiliti”.

In pratica, se ad esempio l’Ilva dovesse giudicare economicamente insostenibile per le sue casse l’eliminazione della fonte inquinante, continuerebbe a farlo: al massimo, come si legge, potrà comunque dire di aver intrapreso “misure di attenuazione”. Il comma 2, invece, è forse ancora più grave: “Gli interventi di conterminazione fisica o idraulica con emungimento e trattamento delle acque di falda contaminate, sono ammessi solo nei casi in cui non è altrimenti possibile eliminare, prevenire o ridurre a livelli accettabili il rischio sanitario associato alla circolazione e alla diffusione delle stesse”. E chi lo stabilisce quando è possibile e quando no, eliminare, prevenire o ridurre? E quali sono i parametri per delimitare un livello accettabile del rischio sanitario? Per non parlare del fatto che, a priori, il governo scelga arbitrariamente di esporre gli operai e la popolazione ad un rischio sanitario.

Nell’articolo 25 (Semplificazioni delle procedure di bonifica siti contaminati), invece si parte da un principio rassicurante: “tutti gli interventi disciplinati dal titolo V del D.lgs. 152/06 hanno l’obiettivo di tutelare la salute (prevenire, eliminare e ridurre i rischi sanitari derivanti dalla contaminazione) e non la riparazione delle matrici ambientali”. L’effetto principale di questa impostazione è quello di porre sullo stesso piano gli interventi di messa in sicurezza operativa, messa in sicurezza permanente e bonifica: tutti sono parimenti finalizzati a tutelare la salute. Ciò che continua a differenziare detti interventi però, sono “gli obblighi che restano in capo al titolare/gestore dell’area, in particolare la messa in sicurezza operativa e la messa in sicurezza permanente impongono una continua verifica delle misure di tutela della salute interna ed esterna al sito tramite attività di monitoraggio”.

Cosa sulla quale l’Ilva è ancora oggi del tutto latitante. Subito dopo però si legge: “La disposizione modifica la definizione di “messa in sicurezza operativa” limitando tale insieme di interventi ai siti “industriali” in quanto si ritiene che la messa in sicurezza operativa sia quella più compatibile con un utilizzo ai fini produttivi del sito. Infatti, in tali siti la permanenza e il lavoro delle persone è e può essere sottoposto a particolari modalità e precauzioni”: questo aprirebbe dunque le porte alla possibilità, da parte dell’Ilva, di circoscrivere le aree da mettere in sicurezza operativa, continuando a produrre. Consentendo ai lavoratori la permanenza nel sito, con “particolari modalità e precauzioni”: ma non si specifica quali, ovviamente. Inoltre, all’Ilva si imporrà di “presentare l’analisi di rischio dei progetti contestualmente ai risultati della caratterizzazione effettuata sul sito”: ma non si era svolta una Conferenza dei Servizi sul tema il 15 marzo del 2011 nella quale si ordinava all’Ilva di intervenire per la messa in sicurezza della falda, all’interno del cui verbale si trovava una nota dell’azienda che certificava l’inquinamento da lei prodotto nel corso del tempo? Ah, no: è vero.

Ancora una volta il Tar di Lecce era giunto in soccorso del Gruppo Riva, sostenendo la tesi che la Conferenza dei Servizi non fosse stata al passo con le modifiche di legge nel corso degli anni: per questo non si poteva stabilire con assoluta certezza che l’inquinamento della falda fosse da addebitare interamente all’attività industriale del siderurgico. Per non parlare del fatto che la Regione dovrebbe spiegare dov’è finita la legge per la bonifica delle falde, il cui iter è stato misteriosamente bloccato nel giugno 2011, immediatamente dopo la diffusione del verbale della Conferenza dei Servizi del marzo 2011: misteri della politica. Infine, si proverà a modificare anche l’articolo 242 del D. Lgl. 252, aggiungendo un comma 13-bis, che così recita: “Nei siti contaminati, in attesa degli interventi di bonifica e di riparazione del danno ambientale, possono essere effettuati tutti gli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, di infrastrutturazione primaria e secondaria, nonché quelli richiesti dalla necessità di adeguamento a norme di sicurezza, e più in generale tutti gli altri interventi di gestione degli impianti e del sito funzionali e utili all’operatività degli impianti produttivi ed allo sviluppo della produzione”. In pratica, la tesi sin qui portata avanti dal governo, dall’Ilva, dalle istituzioni locali e dai sindacati: ovvero, risanare gli impianti continuando a produrre. Non c’è dubbio: per salvare la produzione dell’Ilva e limitare i danni economici al Gruppo Riva, le proveranno davvero tutte. Ed hanno già iniziato.

Gianmario Leone (dal TarantoOggi dell’8 ottobre 2012)

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