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Mesotelioma pleurico, il giudice condanna azienda dell’appalto Ilva al risarcimento

TARANTO – Andiamo subito dritti al punto: non esiste cifra economica che possa compensare, anche solo per un lungo istante, la mancanza di un padre, di un marito, di un figlio. Specialmente poi se tale assenza non sia dipesa da un evento esterno improvviso, ma si sia insinuata giorno dopo giorno, silenziosamente, all’interno di un corpo di un uomo che ha avuto l’unico “torto” di fare il suo dovere sul posto di lavoro. Il problema, allora, è il luogo in cui si è svolto il proprio mestiere: gli altiforni dell’Ilva, ex Italsider. E pensare che negli ultimi anni, l’azienda del Gruppo Riva ha ottenuto più di un riconoscimento proprio sulla sicurezza sul lavoro. Si dirà, come al solito, che la malattia è sorta nel passato, quando l’azienda non era ancora griffata “Ilva”, quando ancora non era stato investito il famoso invisibile miliardo di euro per “ambientializzare” gli impianti. Sarà. Ma gli incidenti di questi ultimi giorni, ci parlano di un’azienda con diverse aree sotto sequestro, dove un giorno sì e l’altro pure, accade qualcosa che mette a repentaglio non solo la salute, ma anche e soprattutto la sicurezza di ogni singolo operaio. Basterebbe questo, per chiudere qualsiasi altro tipo di discorso. Tornando alla stretta attualità, sono oltre 250mila gli euro riconosciuti lo scorso 28 settembre dal Giudice del Lavoro di Taranto in favore degli eredi di un lavoratore della SIFI Spa, azienda che vinse l’appalto per il rifacimento degli altiforni ILVA, deceduto per mesotelioma pleurico da esposizione all’amianto nel gennaio del 2007.

A darne comunicazione è stato l’avv. Massimiliano Del Vecchio, legale della FIOM CGIL di Taranto e punto di riferimento della FIOM nazionale per le tematiche sulla sicurezza e la salute. “La sentenza – ha dichiarato l’avvocato Del Vecchio – è quanto mai attuale e pare confermare la grave negligenza del datore di lavoro e la situazione di pericolo che è insita nello stabilimento siderurgico di Taranto specie per chi vi lavora all’interno”. Pericolo del tutto attuale, con buona pace di tutti coloro i quali sostengono che il siderurgico tarantino non sia più quello dell’epoca statale: sarà anche vero, ma gli operai sempre in situazione di pericolo sono. Il risarcimento, si riferisce esclusivamente al danno biologico e morale subìto dal lavoratore che mosse le sue accuse, attraverso la FIOM e il suo ufficio legale, quando era ancora in vita: non anche al grave danno subito dagli eredi. Risarcimento che lo stesso avv. Del Vecchio si riserva di rivendicare in separato giudizio. “E’ opportuno segnalare – spiegano dalla FIOM CGIL di Taranto – che il periodo di lavoro “inquisito” risale alla gestione del siderurgico antecedente la gestione Riva, ma dimostra anche come il sindacato e la nostra organizzazione in particolare si fossero accorti di quella che oggi è una emergenza riconosciuta dai più molto prima che il caso-Taranto deflagrasse a seguito dell’ordinanza di sequestro del Gip Todisco”.

Allorché sarebbe il caso di chiedere, anche e soprattutto alla Cgil, il perché sino al giorno prima del sequestro ordinato dal GIP Todisco, abbia difeso a spada tratta la vecchia AIA (definita oggi un compromesso politico mal riuscito), o il perché abbia sposato nell’inverno del 2011 la tesi secondo cui, grazie al miliardo di euro investito dal Gruppo Riva, l’Ilva di oggi sarebbe un’industria modello per il resto dell’Europa; o il perché anni addietro delegati della FIOM che denunciarono i pericoli a cui erano esposti i lavoratori sul luogo di lavoro (non solo per le emissioni velenose) furono “gentilmente” messi alla porta dalla stessa FIOM; o il perché, ancora oggi e a fronte di tutto ciò che è stato messo nero su bianco dai periti chimici, dai carabinieri del NOE, dal GIP Todisco e ordinato dai custodi giudiziari, insistano con questa storia dell’eco-compatibilità possibile per impianti in gran parte rimasti gli stessi dagli anni ’60. “Una sentenza che conferma un allarme che conoscevamo già e che come organizzazione sindacale da sempre combattiamo ai fini di fare maggiore chiarezza sulle cause e le origini di tali mortalità – ha dichiarato Donato Stefanelli, segretario generale della FIOM di Taranto -. Un nesso incontrovertibile tra fabbrica e salute che se vale per la comunità ionica, vale ancora di più per chi all’interno della fabbrica o attraverso le misconosciute aziende dell’appalto in questi anni ha dovuto subire. Ecco perché la FIOM è costituita parte civile in tutti i processi che vedono la dirigenza del siderurgico imputata per omicidio plurimo colposo”.

Eppure, nonostante tutto ciò, insistono, perseverano, non riuscendo ad immaginare un futuro diverso per questo territorio. “Un dispositivo che si aggiunge alle centinaia di procedimenti già definiti o da definire che abbiamo mosso nei confronti dell’ILVA, di aziende dell’appalto, dell’INAIL e della vecchia FINTECNA (azienda di Stato che gestiva l’ex Italsider) da vent’anni a questa parte, coprendo, purtroppo, tutto lo spettro dell’inquinamento ambientale sofferto da Taranto e dai suoi lavoratori – specifica Del Vecchio – segnando il confine di un impegno da parte della FIOM nato prima del clamore mediatico di questi mesi”. Un impegno però troppo a lungo taciuto. “Sentenze che descrivono meglio di ogni altro dato statistico il punto di partenza che dovrà riguardare l’ambientalizzazione e l’innovazione di quegli ambienti. Ci sono reparti, impianti e condizioni di lavoro poste al vaglio della magistratura in tutti questi anni – sottolinea Stefanelli – che dimostrano che lì e in quelle condizioni era possibile ammalarsi e morire. Presupposti che rendono però ancora più leggibili gli interventi per ottenere una fabbrica più sicura, realizzati grazie alle lotte dei lavoratori e del sindacato”. Era possibile ammalarsi? No, signor Stefanelli: a tutt’oggi è ancora possibile ammalarsi lavorando in quegli impianti. Peccato che il passato non abbia ancora insegnato nulla.

G. Leone (dal TarantoOggi del 6 ottobre 2012)

 

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