Ilva – Senza Afo 5, Genova chiude

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TARANTO – La conferma ufficiale arriva direttamente dalla sede di Confindustria Liguria di Genova: se in seguito alle decisioni della magistratura si dovesse arrivare alla chiusura del “prezioso” altoforno 5 nello stabilimento ILVA di Taranto, il Gruppo Riva non garantirebbe la continuità produttiva per lo stabilimento di Cornigliano e per i suoi 1.760 addetti. La direzione lo ha comunicato proprio ieri ai sindacati, Fim Cisl, Fiom Cgil e Uil Uilm; lo stesso avverrà lunedì a Novi Ligure, dove il locale stabilimento ILVA occupa circa 700 lavoratori, mentre nei giorni successivi toccherà a Racconigi, dove sono impiegati altri 150 addetti. I contenuti della comunicazione non sono di certo una sorpresa per nessuno in fabbrica, dagli operai ai sindacati: anche perché tutti sanno che i tre impianti liguri lavorano a freddo l’acciaio prodotto con gli impianti a caldo di Taranto. Semmai, la vera notizia consta nella scelta della direzione del gruppo Riva di ufficializzare, anticipandole, le scelte che il Gruppo è pronto a fare in caso di stop all’AFO 5, che da solo vale il 45% della produzione del siderurgico tarantino ed ha una linea produttiva da 3,5 milioni di tonnellate.

Un segnale preciso, inequivocabile, che ricalca ancora una volta le modalità di gestione dell’azienda da parte dei Riva: puntare forte sul ricatto occupazionale da un lato, minando le certezze economiche del sistema Italia dall’altro. Così come non è di certo un caso la scelta di comunicare tale presa di posizione nei giorni in cui, a livello nazionale, la tensione è molto alta: da un lato il ministero dell’ambiente con i suoi tecnici lavora al prossimo rilascio di un’AIA i cui contenuti restano sconosciuti ai più; dall’altro i custodi giudiziari e la Procura che vanno avanti con il loro lavoro, sulla strada della fase attuativa del sequestro preventivo degli impianti. “Ci auguriamo che non si arrivi alla necessità di una drammatizzazione della situazione – ha dichiarato Franco Grondona, segretario generale Fiom -: evidentemente se si arrivasse a questo punto faremo tutto quello che è in nostro potere per evitare che i lavoratori paghino gli effetti delle scelte contraddittorie degli ultimi anni”.

La comunicazione di ieri, segue dunque l’improvvisa sospensione dei lavori di costruzione (in fase molto avanzata) della nuova “zincatura 4” dello stabilimento genovese, che ha lasciato senza lavoro 105 lavoratori degli appalti di sei aziende genovesi. Motivazione ufficiale, la crisi e l’incertezza del mercato: ma anche in questo caso, è scontato come il Gruppo Riva abbia optato per lo stop dei lavori, in attesa di conoscere il futuro dello stabilimento di Taranto. E pensare che soltanto dieci giorni fa, sindacati e Ilva si incontravano sempre presso la sede di Confindustria Liguria, per siglare l’accordo che ampliava la solidarietà, evitando la cassa integrazione con 65 lavoratori in più a rotazione: 515 su un totale di 1760. L’Ilva dunque, applicherà per il terzo anno consecutivo i contratti di solidarietà, aumentando il numero dei lavoratori coinvolti da 954 a 1.145, 190 in più. Di fatto, significa che su 1.760 addetti in organico nello stabilimento siderurgico di Cornigliano, ogni giorno 515 non saranno al lavoro, 65 in più dei 460 precedenti.

L’azienda ha giustificato questo provvedimento esclusivamente per motivi di natura congiunturale. Ma dopo quanto dichiarato ieri, è molto difficile credergli. La stragrande maggioranza del sistema economico italiano, guarda dunque con grande apprensione alle vicissitudini dell’Ilva, ma soprattutto dell’altoforno 5. Del resto, la settimana scorsa l’amministratore delegato della Duferco e presidente dei produttori e dei commercianti italiani di Federacciai, Gozzi, con grande schiettezza ammise: “Non giriamoci troppo intorno: se a Riva fanno chiudere l’altoforno 5, per Taranto è finita. Ma lo sarebbe anche per l’Italia. Taranto produce bramme, ma se si ferma, il mercato italiano va a cercarle da un’altra parte”. Tutti col fiato sospeso, dunque: da quando lo scorso 17 settembre i custodi notificarono all’Ilva il provvedimento con cui intimarono lo stop agli altiforni 1 e 5, il rifacimento delle batterie 3,4,5,6,9,10 e 11 e rifacimento dell’altoforno 3, fermo da tempo, insieme allo spegnimento dell’acciaieria 1 e rifacimento della 2 e dell’area gestione rottami ferrosi.

Anche i sindacati, tremano al pensiero di una fermata dell’AFO 5: ma non perché tengano davvero alla produzione dell’acciaio italiano griffato Ilva. Ma perché sanno fin troppo bene che il Gruppo Riva coglierebbe la palla al balzo per chiudere baracca e burattini e lasciare sindacati e istituzioni con il cerino in mano. A conferma del fatto che alla resa dei conti, ancora una volta, tutti continuano a ragionare inseguendo la logica del profitto. Non si spiegherebbe altrimenti il silenzio che negli ultimi anni ha accompagnato le fermate degli altiforni 1 e 4 delle acciaierie 1 e 2, più volte operate dall’Ilva, per questioni di “congiuntura economica di mercato sfavorevole”. Oggi, chissà perché, tutti sostengono l’assurda tesi che se si spegne l’altoforno 5, riaccenderlo sarà molto difficile: con l’Ilva che morirà quando l’enorme impianto emetterà l’ultimo afflato di vita.

Gianmario Leone (dal TarantoOggi del 6 ottobre 2012)

 

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