Sindacati, prove di pace
TARANTO – Una imponente manifestazione nazionale, il prossimo 20 ottobre a Roma a Piazza San Giovanni, per dar voce e visibilità alle migliaia di operai che si ritrovano a fare i conti con la grande crisi che sta attanagliando le maggiori imprese del paese Italia: dall’Ilva di Taranto all’Alcoa di Portovesme, dalla Fiat a Finmeccanica, sino alla Vinyls di Porto Marghera. L’annuncio è stato dato dal segretario nazionale della Fiom, Maurizio Landini, tornato ieri all’Ilva di Taranto per inaugurare il programma di assemblee di fabbrica da svolgere a stretto contatto con tutti i lavoratori del siderurgico tarantino. L’iniziativa, chiamata “Voci di dentro” e promossa dalla stessa Fiom, è stata fortemente voluta dallo stesso Landini per dare la parola a chi vive la fabbrica dal di dentro: è il caso di dire, era ora.
“Tutti parlano dell’Ilva, tranne i lavoratori, quelli che rischiano di pagare doppiamente sia sul piano del lavoro che sul piano della salute”, ha dichiarato il segretario nazionale della Fiom, che con gli operai ha affrontato diversi argomenti: dagli investimenti previsti agli adeguamenti per la messa a norma degli impianti, dalla continuità produttiva alla nuova AIA, che per la Fiom dovrà contenere “tutte le prescrizioni a carico dell’Ilva: quelle indicate dalla magistratura, quelle previste dalle migliori tecnologie in assoluto in ambito Europeo e le valutazioni del danno sanitario per i lavoratori e i cittadini”. Difficile che ciò però accada, visto che martedì, in una nota ufficiale, il ministro dell’ambiente Corrado Clini ha dichiarato l’esatto opposto: i dati sanitari non entreranno nella procedura del riesame dell’AIA all’Ilva. Durante la sua 24 ore all’interno dell’Ilva, Landini ha anche dichiarato che “non sarebbe uno scandalo se ad un certo punto si pensasse a forme di prestito pubblico o europeo o del governo” in favore del Gruppo Riva, per investire nel risanamento degli impianti. “Mi riferisco a soldi che vengono dati per fare investimenti e se è un prestito l’azienda si impegna a restituirli.
Se davvero la volontà è quella di difendere il lavoro e la salute insieme, dal passaggio degli investimenti non se ne viene fuori”. Forse non sarà uno scandalo, ma poco ci manca. Visto che, nel caso in cui lo Stato avesse davvero delle risorse economiche da investire per Taranto, allora sarebbe il caso che venissero impiegate come iniziale e parziale risarcimento per l’inquinamento prodotto dall’industria di Stato per oltre 30 anni. Vista dall’ottica della Fiom però, l’idea del prestito, non è poi del tutto errata: per il sindacato sarebbe un ottimo stratagemma per mettere il Gruppo Riva alle strette, invitandolo a giocare a carte scoperte sulle reali intenzioni di investimento per il futuro del siderurgico tarantino. “Siamo di fronte ad una emergenza nazionale – ha concluso Landini – per difendere l’industria servono politiche industriali che il governo finora non ha messo in campo. Il valore della vicenda Ilva è dimostrare che è possibile difendere il diritto al lavoro e il diritto alla salute. Questo farebbe fare a tutto il Paese un passo in avanti”. Restiamo fortemente perplessi che ciò possa davvero realizzarsi: un territorio in cui si è inquinato e si continua a farlo da oltre un centinaio di anni, se non è compromesso, poco ci manca. Ecco perché la scelta non può che essere molto più semplice di quanto appaia: se davvero si vuol dare una speranza di salvezza a questo territorio, non si potrà che scegliere un futuro senza la grande industria, discariche ed inceneritori compresi, imboccando finalmente la strada delle alternative economiche investendo e salvando le economie del territorio, che poggiamo sulle risorse innate di cui Madre Natura ha dotato questa terra: partendo dal mare, per proseguire con la cultura e l’agricoltura. Sappiamo bene che tale scenario provoca i brividi ad istituzioni, sindacati, Confindustria, classe dirigente, circoli di potere vari ed eventuali, ma non vediamo all’orizzonte altre alternative.
Alla manifestazione del prossimo 20 ottobre però, parteciperà anche la leader della Cgil, Susanna Camusso: ma visto quanto dichiarato ieri, sarebbe meglio che qualcuno le consigliasse di restarsene a casa. Visto che il segretario nazionale della Cgil, tornata ieri sulla vicenda Ilva, non ha trovato di meglio che sostenere come la nuova Autorizzazione integrata ambientale (AIA) debba essere preminente rispetto all’ordinanza di chiusura disposta dal GIP. Tesi alquanto “stramba”, visto che lo stesso ministro dell’Ambiente Corrado Clini si è impegnato ad inserire nell’autorizzazione tutte le prescrizioni sostenute dal GIP nel suo provvedimento: in caso contrario infatti, la Procura di Taranto potrà impugnare l’AIA ricorrendo alla Consulta della Corte Costituzionale. La Camusso ha anche dichiarato che “chiudere l’Ilva, anche se per poco, vuol dire chiuderla definitivamente”. Dimostrando di ignorare del tutto le vicende inerenti l’Ilva: almeno quelle più recenti.
Visto che la Camusso dovrebbe sapere come soltanto negli ultimi quattro anni, il Gruppo Riva abbia fermato per motivi di congiuntura economica sfavorevole all’azienda, diversi impianti: dall’AFO 1 all’AFO 4 (fermo addirittura per tre anni), dall’acciaieria 1 all’acciaieria 2: difficile dunque oggi sostenere la tesi che spegnendo l’altoforno 5, il più grande d’Europa e fondamentale per la produzione dell’Ilva (da solo produce il 40%), il siderurgico di Taranto sarebbe condannato a sicura dipartita. La Fiom però, non si è fermata al solo coinvolgere gli operai dell’Ilva in varie assemblee (evento che peraltro non si vedeva a Taranto da anni e che resta quanto meno apprezzabile): l’iniziativa è stata estesa infatti anche a Fim Cisl e Uilm Uil, con i quali negli ultimi tempi si era aperta una profonda spaccatura. “Seppur tardivo, apprezziamo il cambio di rotta della Fiom”, ha dichiarato, non senza un pizzico di ironia, il segretario nazionale della FIM Cisl Marco Bentivogli.
Che però presenta immediatamente il conto alla Fiom: ovvero esprimersi una volta per tutte e senza ambiguità sul fatto “se la produzione deve cessare totalmente, come chiede il GIP, o che vada ridotta e resa compatibile con le bonifiche e la riqualificazione industriale”. D’altronde, la spaccatura tra i sindacati metalmeccanici tarantini, era avvenuta proprio sulle forme di lotta da intraprendere, con la Fiom che si era sfilata dopo i blocchi e gli scioperi promossi da Fim e Uilm in risposta ai provvedimenti intrapresi negli ultimi due mesi dalla Procura di Taranto. Per oggi invece, è prevista un’assemblea di tutti i lavoratori metalmeccanici promossa dalla Uilm Uil, alla presenza di Rocco Palombella, segretario generale della Uilm e del segretario di Taranto, Antonio Talò. Staremo a vedere dunque se i sindacati, dopo decenni di silenzi ed omissioni, riusciranno a ritrovare unità per difendere i diritti, in primis quello alla salute, dei lavoratori dell’Ilva di Taranto: del resto, da quando sono nati nei primi anni del ‘900, il solo ed unico scopo della loro esistenza sarebbe dovuto essere semplicemente questo.
Gianmario Leone (dal TarantoOggi del 5 ottobre 2012)