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Ilva, il decreto ora è legge

TARANTO – Dopo la ratifica del 26 luglio a Roma tra governo centrale, regionale e locale, nella giornata di ieri è stato convertito in legge con la sola opposizione della Lega Nord (247 sì e 20 no), il Decreto su Taranto, che per le nostre istituzioni consentirà un’accelerata nella realizzazione degli interventi previsti in materia di bonifica e ambientalizzazione previsti all’interno del Protocollo d’Intesa. Sono stati dunque sbloccati i 336 milioni di euro “necessari” per il sito d’interesse nazionale di Taranto, che il 30 novembre del lontano 1990 venne dichiarato “area ad elevato rischio di crisi ambientale”.

Nelle intenzioni del governo, così come di Regione, Provincia e Comune, questa legge servirà a rendere disponibili le risorse e semplificare le procedure di accesso ad esse, affinché gli interventi previsti siano attuati in tempi certi. Provvedimento che segue la delibera del 3 agosto con cui il CIPE sbloccò 21 miliardi di euro destinati al Sud: tra gli interventi di manutenzione straordinaria del territorio, previste misure per il risanamento ambientale e la riqualificazione di Taranto, in particolare per quanto riguarda il quartiere Tamburi, il più esposto alle emissioni del siderurgico: ma questo nella delibera non è specificato, il che vuol dire che siamo ancora alle intenzioni. Nella delibera del CIPE, si legge infatti che è “approvato il finanziamento, per complessivi 1.060,5 milioni di euro, di interventi prioritari nel Mezzogiorno per la manutenzione straordinaria del territorio(bonifiche/rifiuti/sistema idrico integrato, difesa del suolo e forestazione) con onere a carico delle risorse regionali 2000-2006 e 2007-2013 del Fondo per lo sviluppo e la coesione”.

Stando a quanto riportato nelle tabelle del protocollo d’intesa per Taranto, i fondi sbloccati dal CIPE dovrebbero servire al completamento della copertura finanziaria dell’accordo del 5/11/2009 per la realizzazione degli interventi di dragaggio dei sedimenti nel molo polisettoriale di Taranto, alla rimozione dei sedimenti contaminati da PCB nel I seno del Mar Piccolo nelle aree di mitilicoltura e alla messa in sicurezza delle Aree PIP del Comune di Statte. Ora però, bisognerà vedere in che modo si sceglierà di operare, con quali tecniche e modalità. Visto che sino ad oggi non è stata avanzata una sola proposta concreta di bonifica del Mar Piccolo. Della qual cosa si occuperà la cabina di regia affidata alla Regione Puglia, che dovrà coordinare il tutto grazie al controllo di un Comitato di Sottoscrittori, già insediatosi nel mese di agosto. Certo è che sarà molto interessante capire se ed in che modo si riuscirà a rendere possibile il paradosso secondo cui si può avviare la bonifica di un territorio in cui le principali sorgenti inquinanti (Ilva, Eni, Cementir) continuano ad insistere e ad inquinare con le loro emissioni.

Scendendo nel dettaglio, la legge contempla “accordi di programma attuativi”, da stipularsi entro 30 giorni dall’effettiva formalizzazione delle risorse affida ad un Commissario straordinario nominato dal Presidente del Consiglio, il compito di assicurare l’attuazione degli interventi previsti dal Protocollo d’intesa. Il provvedimento riconosce l’area di Taranto quale “area in situazione di crisi industriale complessa”, consentendo così al Ministero per lo sviluppo economico di individuare progetti di riconversione industriale. Per quanto riguarda le procedure, il ministero dell’Ambiente si impegna “a garantire ogni utile accelerazione per la definizione del procedimento di riesame dell’AIA dello stabilimento”, allo stesso modo il governo si impegna ad “accelerare le attività autorizzative” per la realizzazione delle “opere, la gestione e l’erogazione di servizi di prevenzione”.

Tra gli obiettivi del Piano, che ha una durata di cinque anni, lo sviluppo di interventi infrastrutturali complementari alla bonifica: come ad esempio i lavori previsti per il porto di Taranto. Perché è bene ricordare ancora una volta, visto che nessuno si degna di farlo, come il protocollo d’intesa in questione preveda nella maggior parte dei casi, lo sblocco di fondi per progetti già approvati da tempo e destinati all’area di Taranto (lo denunciammo in beata solitudine lo scorso 27 luglio, all’indomani della sottoscrizione a Roma). In pratica, un autentico bluff. Lo stanziamento complessivo previsto dal protocollo di 336.668.320 euro, di cui 329.468.000 di parte pubblica e 7.200.000 di parte privata (non l’Ilva ma la TCT, che gestisce il traffico dei container nello scalo ionico), è così suddiviso: 119 per ‘interventi di bonifica’, 187 per ‘interventi portuali’ e 30 per ‘interventi per il rilancio e la riqualificazione industriale’. Ma tutto questa divisione altro non é che una rendicontazione sia di progetti da anni in itinere per lo sviluppo di Taranto sia di cifre prive di copertura economica a carico dello Stato.

Dal Mar Piccolo (21 milioni di euro) ai Tamburi (8 milioni di euro), dai dragaggi al potenziamento delle banchine del molo polisettoriale, vengono elencati una serie di interventi già annunciati o stanziati anni addietro. Inoltre, non bisogna dimenticare che la Regione Puglia ha chiesto al Ministero dello Sviluppo economico di definanziare il progetto del Distripark di Taranto, previsto nella parte retrostante del porto ed inserito nella delibera CIPE del 2011, destinando i soldi in questione a favore della realizzazione del Molo polisettoriale dello scalo. Il reimpiego del denaro previsto inizialmente per il Distripark, secondo il programma della Regione, dovrebbe ora servire per la “Riconfigurazione della banchina del molo”: cioè per il progetto previsto nel Protocollo d’intesa per lo sviluppo dei traffici containerizzati nel porto di Taranto, sottoscritto lo scorso 20 giugno dal governo, dagli enti locali e dall’Autorità portuale di Taranto.

Parliamo di quei famosi 35 milioni che si trovano anche nel “Protocollo d’intesa per interventi urgenti di bonifica, ambientalizzazione e riqualificazione di Taranto”, diventato legge ieri, nella parte in cui si parla del progetto “Riconfigurazione ai fini dell’adeguamento della banchina del molo polisettoriale per consentire i dragaggi fino a 16,50 metri, comprensivi di distribuzione elettrica e superamento interferenze”, il cui importo ammonta a 51 milioni di euro. Questi 51 milioni sono infatti così divisi: Regione Puglia FSC 2007-2013 35.000.000, Autorità Portuale 12.000.000, TCT SpA 4.000.000. Ora, è chiaro a tutti che realizzare una Piastra Logistica senza il Distripark non ha alcun senso. Far sparire il Distripark, ovvero l’area allocata a monte dei terminal portuali e integrata con un sistema di trasporto intermodale, dove viene reso possibile dare valore aggiunto alle semplici operazioni di carico e scarico dei container. Le merci scaricate dai container, attraverso operazioni di confezionamento, etichettatura, assemblaggio, controllo di qualità e imballaggio, vengono preparate per la spedizione al cliente finale. Le merci possono così essere adattate alle richieste dell’utente e ai requisiti del paese di destinazione.

All’interno di un Distripark ci sono magazzini, servizi gestionali, servizi informativi e telematici ma anche capannoni dove possono essere svolte attività manifatturiere per trasformare semilavorati, di provenienza internazionale o nazionale, in prodotti finiti da avviare nei mercati esteri. L’insediamento di un Distripark in un’area retro portuale, quindi, costituisce un elemento chiave per creare intorno a un porto un indotto che generi occupazione e sviluppo. Evidentemente hanno deciso, da tempo, che il porto di Taranto dovrà continuare ad essere un semplice scalo di transhipment di container: ovvero il trasferimento di carico da una nave all’altra. E pensare che proprio il completamento della piattaforma logistica del porto di Taranto, la realizzazione del Distripark e il potenziamento del collegamento infrastrutturale ma anche gestionale tra questi e l’aeroporto di Grottaglie (che avrebbe un suo senso diventando “cargo”) rappresentano un intervento prioritario per l’affermazione della piattaforma logistica tarantina nel contesto internazionale. Ma evidentemente, a Roma e a Bari, hanno già deciso che Taranto dovrà continuare ad essere la città dell’acciaio e degli interessi della Marina Militare. Ecco perché nessuno, oggi, può recitare la parte di chi non sapeva o di chi un qualcosa lo ha comunque detto e scritto. Perché a Taranto andavano realizzati i fatti. Ed invece abbiamo perso anni e anni in omertà o in chiacchiere. Sino a che la magistratura non ha deciso di scrivere la parola fine. Si spera.

Gianmario Leone (dal TarantoOggi del 4 ottobre 2012)

 

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