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Aia Ilva, la salute non “c’entra”

TARANTO – “Nell’AIA non possono essere ricondotte le problematiche connesse ai danni per la salute delle popolazioni e dei lavoratori provocati in passato dallo stabilimento Ilva di Taranto”. Sono queste le ultime parole che chiudono una nota del ministro dell’Ambiente Corrado Clini apparsa in tarda serata sul sito ufficiale del ministero. Non che fosse una novità o un qualcosa di inaspettato: l’Autorizzazione integrata ambientale è un provvedimento amministrativo che autorizza l’esercizio di un impianto o di parte di esso a determinate condizioni, che devono garantire la conformità ai requisiti di cui alla parte seconda del decreto legislativo 3 aprile 2006, n.152, come modificato dal decreto legislativo 29 giugno 2010, n.128, che costituisce l’attuale recepimento della direttiva comunitaria 2008/1/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 15 gennaio 2008 sulla prevenzione e la riduzione integrate dell’inquinamento (IPPC). Certo, i dati sulla situazione sanitaria andrebbero sempre e comunque recepiti, perché sono l’indice indiscutibile sul reale impatto ambientale che un’azienda e la sua produzione hanno sul territorio.

Dati che nel caso in cui fossero drammatici come sono quelli su Taranto, dovrebbero portare all’inserimento delle prescrizioni più severe al momento del rilascio dell’autorizzazione integrata. Ma la nota del ministro Clini, è anche una sintesi utile per capire quanto avvenuto negli ultimi mesi. Intanto, l’Autorizzazione integrata ambientale dello stabilimento Ilva di Taranto – avviata lo scorso 15 marzo – avrebbe dovuto concludersi entro il 21 settembre. Ma vista la situazione, “sia per consentire un confronto approfondito con la Regione, gli enti locali e le associazioni ambientaliste, alla luce delle considerazioni del Gip e del Tribunale del Riesame nonché le indicazioni del Tar Puglia”, si è deciso di “prorogare” al 30 settembre il termine per concludere la preparazione della documentazione necessaria all’approvazione del documento. Appena nove giorni, però. Inoltre, si apprende che la conclusione della procedura è fissata per il 17 ottobre: dunque salta la Conferenza dei Servizi prevista inizialmente per il 15.

E’ bene ricordare come la documentazione in essere sia stata predisposta da un gruppo di lavoro composto dagli esperti “del ministero dell’Ambiente, del ministero dello Sviluppo economico, dell’Istituto superiore di sanità, dell’Istituto superiore per la protezione e ricerca ambientale (ISPRA), della Regione Puglia, dell’Agenzia regionale per la protezione ambientale della Puglia (ARPA), della Provincia di Taranto, dei Comuni di Taranto e Statte”: tanto per chiarire che qualora venisse fuori l’ennesimo pastrocchio all’italiana, i cittadini conoscono le istituzioni contro cui rivoltarsi. Certo è che questa “nuova” AIA un record lo ha già stabilito: quello di essere discussa e criticata prima ancora della sua stesura. Anche perché se sono più che fondate le perplessità delle associazioni ambientaliste e di ARPA Puglia che ha già pubblicato la scorsa settimana i documenti in merito al contributo fornito dall’agenzia regionale chiarendo tutti i dubbi e le perplessità, appaiono quanto meno ridicole quelle avanzate dalla politica. Che soltanto oggi “chiede” che nell’AIA vengano inserite e considerate le prescrizioni del GIP e i dati sanitari sulla popolazione.

Come al solito i nostri rappresentanti locali non sanno di cosa parlano, ma oramai abbiamo fatto il callo anche a questo. Ed il ministro Clini, evidentemente informato dei pruriti dell’ARPA e delle indicazioni provenienti dalla Regione e dal Comune sull’AIA, nella nota non usa mezzi termini per spegnere sul nascere qualsivoglia polemica: “le richieste di questi ultimi giorni per un rinvio, che puntano ad aprire una trattativa sui contenuti del provvedimento, non sono giustificabili né accettabili”. Il tempo dunque, pare scaduto per qualsivoglia modifica o aggiustamento. A motivazione di ciò, il ministro Clini spiega come non sia disponibile “a ripetere l’esperienza dell’Aia approvata nell’agosto 2011 dall’allora ministro Prestigiacomo e dal presidente Vendola: una procedura durata circa 4 anni e conclusa con un provvedimento che conteneva 462 prescrizioni, tra loro contraddittorie, rappresentative della esigenza di dare ragione a tutti: azienda, Regione, enti locali, associazioni ambientaliste, senza affrontare e risolvere in modo chiaro ed efficace i nodi della ambientalizzazione dello stabilimento di Taranto. Non a caso abbiamo dovuto riaprire la procedura di Aia”.

Un modo alquanto signorile per sottolineare come l’AIA dell’agosto 2011 altro non fosse che un compromesso mal riuscito per continuare a far sì che l’Ilva potesse inquinare e produrre in assoluta impunità. La nota del ministro si conclude toccando il presunto conflitto tra ministero e autorità giudiziaria in merito alla titolarità dell’autorizzazione, sulla quale tuttavia nessuno ha mai avuto dubbi. L’ingegner Barbara Valenzano, custode giudiziaria nominata dal GIP, ha infatti chiarito con due note del 17 e del 18 settembre che l’azione dei custodi “non ha alcuna interferenza con la procedura di AIA e che l’interlocutore del ministero per l’autorizzazione è l’azienda: i compiti e le responsabilità dei custodi giudiziari – ha scritto la Valenzano – sono limitati a garantire la sicurezza degli impianti e ad eliminare le situazioni di pericolo”. Obiettivi completamente diversi e che vanno in tutt’altra direzione rispetto all’azione del ministero dell’ambiente. Lo scontro, paventato tra più parti, appare dunque molto vicino: a dirimere la querelle ci penserà la Corte Costituzionale. A meno che a far da “paciere” non sia proprio Emilio Riva, con un’azione che da tempo ribadiamo su queste colonne del tutto inascoltati: chiudere i battenti o vendere. E a quel punto sì che sarebbe tutta un’altra storia.

Gianmario Leone (dal TarantoOggi del 2 ottobre 2012)

 

 

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