TARANTO – Mentre si svolgeva il secondo giorno di sciopero all’Ilva  indetto dalle sigle  “nemiche” Fim Cisl e Uilm Uil, con i blocchi stradali sulle statali 7 Appia e 106 Jonica (per Metaponto e Reggio Calabria), con in più un altro sulla strada provinciale per Statte, poi dismessi in serata dopo un incontro con il prefetto, e mentre dentro la fabbrica continuava la protesta di alcuni gruppi di operai issatisi sulla torre di smistamento dell’altoforno 5, sulla passerella del camino E312 dell’area Agglomerato e sulla torre del gasometro, ieri mattina, al Palazzo del Governo, si è svolta la Conferenza nazionale delle delegate e dei delegati della Fiom sulla siderurgia, intitolata “Ilva.

Un nuovo modello di sviluppo ecocompatibile”, con la partecipazione del segretario generale Maurizio Landini, conclusasi con l’approvazione di tre ordini del giorno (i documenti si riferiscono, rispettivamente, alla situazione specifica dell’Ilva, alla situazione generale della siderurgia in Italia e alle imprese metalmeccaniche attive presso i petrolchimici). Sicuramente lodevole ed interessante l’iniziativa della Fiom Cgil, a cui han preso parte anche Legambiente e ARPA Puglia, oltre che altri esponenti di varie realtà cittadine. Ma ancora una volta siamo costretti a sottolineare e a ribadire come tutto questo stia avvenendo soltanto oggi, oramai fuori tempo massimo. Queste conferenze, dibattiti, confronti, in cui si lanciano diverse proposte su come salvare l’Ilva e la produzione dell’acciaio italiano, andavano fatte molti anni addietro. Così come portare oggi come esempio da seguire la Thyssen di Duisburg, che ha iniziato i lavori di ammodernamento degli impianti già negli anni ’90, non ha alcun senso.

La posizione di fondo della Fiom e del segretario generale Landini, è molto chiara: l’Ilva e l’area a caldo non devono chiudere. Bisogna costringere il Gruppo Riva a fare tutti gli investimenti necessari per ridurre l’impatto ambientale, anche cambiando radicalmente il metodo di produzione, arrivando a toccare l’utopia dell’acciaio pulito. Tutto questo per salvare migliaia di posti di lavoro ed allo stesso tempo rendere competitivo il siderurgico tarantino, portandolo al livello di quelli presenti in Francia e in Germania. Il problema centrale però, resta sempre lo stesso: per fare ciò che chiede la Fiom, il Gruppo Riva dovrebbe passare i prossimi cinque anni, ad essere generosi, investendo miliardi di euro su un’azienda il cui dna non può essere cambiato o modificato. Esempio migliore non può che fornirlo l’area a caldo, dove in pratica avviene tutto l’iter del ciclo produttivo integrale.

A cominciare dai parchi minerali: dove spostare gli oltre 70 ettari? O, come coprirli? A tutt’oggi non esiste nemmeno uno studio di fattibilità per fare ciò. Altro esempio, le cokerie: a Duisburg hanno dismesso quelle vecchie per costruire le nuove ad oltre 1 km di distanza dal centro abitato: benissimo, ma quanto tempo ci vorrebbe per fare tutto questo a Taranto? E poi, una volta spostate le cokerie e i parchi, gli altiforni e l’agglomerato che fine fanno? Spostiamo anche quelli? Come non bastassero tutti questi dubbi, c’è anche un altro problema di non poco conto: si è proposto di chiedere alla Banca Europea degli Investimenti, prestiti da concedere all’Ilva per accelerare gli interventi. Ma a parte il fatto che riteniamo del tutto fuori luogo investire soldi dell’Unione Europea per aiutare il Gruppo Riva, evidentemente anche la Fiom ignora che quei prestiti vengono concessi solamente a quelle aziende che o dismettono gli impianti per costruirne di nuovi (vedi la Cementir di Caltagirone a cui è stato erogato un prestito di 90 milioni), oppure costruiscono dal nulla nuove aziende facendo proprie le nuove tecnologie del settore in cui vanno ad investire. Nell’uno e nell’altro caso, quindi, non certo il caso dell’Ilva.

Del resto lo stesso segretario generale della Fiom di Taranto, Donato Stefanelli, ha letto una mail di risposta di un tecnico a cui si è rivolto per chiedere lumi su come intervenire sul siderurgico tarantino. Risposta: è un’industria unica al mondo nel suo genere. Probabilmente bisognerebbe ricostruirla per intero, ed anche in questo caso non è detto che i risultati sarebbero quelli sperati in merito all’impatto ambientale. Anche il segretario nazionale della Fiom Cgil Maurizio Landini, nel suo intervento, ha infatti dichiarato: “Se uno mi chiede: si può risanare l’Ilva? rispondo che non lo so, ma dobbiamo provare a farlo”. Se tutto questo fosse stato detto e preteso anni addietro, forse non avremmo un inquinamento ambientale e una situazione sanitaria così devastante. Oggi, il tempo appare largamente scaduto. Lampante, il messaggio di dolore lanciato da un RSU dell’acciaieria di Piombino: “L’acciaio italiano sta morendo”.

Gianmario Leone (dal TarantoOggi del 29 settembre 2012)

 

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