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Ilva, sindacati, operai e futuro

TARANTO – Quella vissuta ieri all’esterno dell’Ilva è stata un’altra giornata di passione per Taranto. Ma non di scontro sociale come in molti, troppi, si auguravano. Come annunciato mercoledì, Fim Cisl e Uilm Uil hanno dato il via allo sciopero di 48 ore a partire dalle 7 di ieri mattina, in concomitanza con il primo turno di lavoro degli operai Ilva. Riprendendo come forma di lotta i blocchi delle strade statali 7 Appia e 106, con il passaggio consentito solo ai mezzi di emergenza e pronto soccorso: i blocchi dureranno sino alle 7 di oggi, quando terminerà lo sciopero a cui non ha aderito la Fiom Cgil, che ha invano invitato Fim e Uilm a dar vita ad assemblee all’interno della fabbrica, evitando manifestazioni e scioperi dallo scopo poco chiaro. In effetti, ancora oggi non si capisce contro chi o cosa sia stato indetta la mobilitazione: la motivazione, alquanto vaga, è stata quella di “richiamare l’attenzione sulla possibilità di una forte riduzione dei livelli occupazionali”.

Strano, però, che ciò avvenga il giorno dopo il provvedimento del GIP del tribunale di Taranto, Patrizia Todisco, che ha bocciato il piano di risanamento dell’azienda e ribadito la non facoltà d’suo degli impianti ai fini della produzione. Gli unici momenti di tensione vera, si sono vissuti quando il comitato “Cittadini e operai liberi e pensanti” ha provato ad instaurare un dialogo con i lavoratori in sciopero, tentando di convincerli sul fatto che la vera mobilitazione debba avvenire all’interno della fabbrica e contro il Gruppo Riva, reo di non voler investire quelle risorse che potrebbero consentire all’Ilva di produrre acciaio “pulito”, o quanto meno di ridurre drasticamente l’impatto ambientale delle emissioni del siderurgico sull’ambiente e sulla salute di lavoratori e cittadini: ammesso e non concesso che ciò sia poi realmente possibile.

Qualche piccolo battibecco, un paio di spintoni, ma alla fine il confronto c’è stato: seppur vivace, certamente un contributo importante, fondamentale in un momento in cui oltre alla spaccatura tra i sindacati metalmeccanici e gli stessi operai, si registra il silenzio assordante delle istituzioni locali, in tutt’altro affaccendate per via dell’accorpamento della provincie di Taranto e Brindisi. Ma le manifestazioni di ieri sono andate oltre ai semplici blocchi. All’interno del siderurgico infatti, alcuni operai sono saliti sul gasometro della centrale termoelettrica per apporre uno striscione con la scritta “il lavoro non si tocca”; così come sono proseguiti i presidi sugli altiforni 1 e 5 e sul camino E312. Probabilmente, anche se la decisione non è ancora stata presa, Cisl e Uil lunedì manifesteranno a Roma.

Questa la cronaca, essenziale, della giornata di ieri. Ma l’analisi politica è, ovviamente, ben altra. E parte da una semplice considerazione: chissà come sarebbe stata la storia dell’Ilva di Taranto e dei suoi operai se i sindacati metalmeccanici avessero sempre mantenuto così alta la tensione come in questi mesi. Chissà cosa sarebbe accaduto se avessero “lottato” come oggi per il rispetto e l’applicazione dei famosi atti d’intesa che loro stessi, nel corso degli anni, hanno firmato. O se avessero preteso dal Gruppo Riva il rispetto della salute degli operai come postulato essenziale per continuare a produrre acciaio. Certo, non avrebbero raggiunto la tanto agognata ed impossibile eco-compatibilità, ma molto probabilmente non si sarebbero trovati di fronte ad un punto senza ritorno, come lo sono oggi. Perché da queste colonne lo abbiamo ribadito più volte negli ultimi mesi: oramai, a cominciare dai sindacati, per proseguire con le istituzioni, la classe dirigente, la quasi totalità dei mezzi di informazione locale nostrani, sono tutti fuori tempo massimo.

La macchina della magistratura, che spesso in questo paese ha scritto pagine indelebili di storia politica, sociale ed economica si è messa in moto e non è più possibile fermarla. Che fare allora? L’occasione, ancora una volta oggi sprecata, era ghiotta assai: unirsi, fare un doveroso mea culpa e denunciare la pura e semplice verità sullo stato delle cose del siderurgico. Ed invece, ancora una volta, sono andati a discapito degli operai litigando su tutto, persino sulle forme di lotta da tenere in un momento così delicato e storico. Avrebbero potuto, diciamo così, almeno salvare la faccia, o le apparenze: non hanno voluto. Avrebbero potuto chiedere dimissioni in massa, nemmeno quello. Ed allora, visto che la barca sta affondando, tanto vale provare a salvare il salvabile: ad ogni costo.

Del resto, lo strappo tra la Fiom Cgil e Fim Cisl-Uilm Uil di Taranto, ha una data e un luogo precisi: giovedì 2 agosto, piazza della Vittoria, Taranto. Quel giorno, i sindacati metalmeccanici persero la piazza durante il comizio dei segretari generali di Cgil, Cisl e Uil, per l’irruzione pacifica del comitato “Cittadini e operai liberei e pensanti”: da quel giorno, nulla è stato più come prima. La Fiom-Cgil imputa alla Fim Cisl e alla Uilm Uil di avere un atteggiamento poco chiaro, soprattutto nei confronti della magistratura, preferendo la strada delle assemblee dei lavoratori all’interno del siderurgico, per mettere pressione al Gruppo Riva invitandolo ad effettuare investimenti chiari e ingenti rispetto a quelli sin qui presentati dall’azienda e puntualmente bocciati dai custodi giudiziari, dalla Procura e dal GIP Todisco.

Di contro, Fim-Cisl e Uilm-Uil proseguono sulla strada degli scioperi e dei blocchi, rimproverando alla Fiom Cgil di aver tradito l’alleanza sancita all’indomani del sequestro preventivo degli impianti dell’Ilva dello scorso 26 agosto. Anche ieri, la Fiom ha chiesto alle sigle “amiche”, di “sospendere lo sciopero proclamato e farlo precedere immediatamente dalle assemblee con tutte le lavoratrici e i lavoratori”. “Dobbiamo decidere insieme e senza divisioni tra lavoratori i contenuti della piattaforma per aprire la vertenza in difesa del lavoro, della salute dentro e fuori lo stabilimento e per la continuità produttiva dell’Ilva. Vertenza che deve unire i lavoratori, la città e le istituzioni nel pieno rispetto della magistratura”.

In ogni caso, la Fiom-Cgil terrà le assemblee retribuite per garantire a tutte le lavoratrici e i lavoratori il diritto di decidere insieme del proprio futuro. Inoltre, quest’oggi a Taranto, si svolgerà una assemblea nazionale dei delegati e delle delegate della siderurgia dal titolo “Ilva. Un nuovo modello di sviluppo ecocompatibile”, presso il salone della Provincia all’interno del Palazzo del Governo: chiuderà gli interventi il segretario generale della Fiom, Maurizio Landini. La replica alle posizioni della Fiom, non si è fatta di certo attendere. “La Fiom ha perso la testa: ci chiede di fare un’assemblea con i lavoratori di cui ha boicottato l’organizzazione fino a questa mattina (ieri per chi legge, ndr) e nonostante i nostri ripetuti inviti”. Ad affermarlo, il segretario nazionale Fim Cisl, Marco Bentivogli, che sferra un attacco durissimo nei confronti dei metalmeccanici della Cgil.

“La Fiom – ha proseguito – è l’ultima organizzazione in Ilva e negli ultimi giorni perde iscritti e prende fischi ovunque. Negli anni ’70 i padroni chiamavano gli squadristi davanti ai cancelli per impedire la partecipazione agli scioperi. La Fiom non ha voluto organizzare nessuna assemblea, né con noi né da sola. Gli iscritti alla Fiom stanno scioperando con noi”. “E’ da questa mattina – ha concluso Bentivogli – che la Fiom invita, con pessimi risultati, i lavoratori a non scioperare, davanti alla portineria ‘A’ e ora ci chiede ufficialmente di sospendere gli scioperi. Deve essere l’effetto dell’arruolamento di Romiti e Della Valle nella vicenda Fiat”.

Ma al di là di questi nuovi screzi tra le sigle sindacali, la verità è come sempre ben diversa. E molto più semplice. Perché i sindacati, così come le silenti istituzioni, sentono franare il terreno sotto i piedi come non mai. Loro lo sanno meglio di chiunque altro del resto: dentro l’Ilva, esiste da sempre una sola legge, la parola di Riva. Che non si può né si deve discutere. E’ lui che tutto decide, da buon privato imprenditore in perfetto stile novecentesco. Sanno molto bene che Riva non ha la minima intenzione di investire miliardi di euro per rinnovare le aree e gli impianti di uno stabilimento destinato alla conclusione del suo ciclo vitale nel giro di vent’anni. Perché infatti i sindacati non dicono che le cokerie dell’Ilva hanno una loro fine biologica?

Perché non dicono che il Gruppo Riva avrebbe continuato a produrre sino all’ultima tonnellata di acciaio, in barba agli atti d’intesa e ad interventi sugli impianti mai effettuati? Perché non dicono che i parchi minerali, per ferma volontà dell’azienda, non sono mai stati coperti e mai lo saranno? Perché una volta presa visione del piano da 400 milioni non hanno denunciato che quegli interventi erano previsti già negli atti d’intesa 2003-2004? Perché non denunciano una volta e per tutte cosa accade nel siderurgico in ogni impianto, discariche comprese? E potremmo continuare all’infinito. Invece, insieme alle nostre istituzioni, hanno sempre e soltanto detto di “sì”.

Barattando la salute, il lavoro e la dignità di migliaia e migliaia di operai tarantini e non, senza i quali oggi il Gruppo Riva non sarebbe l’impero economico che è diventato e non avrebbe per l’economia italiana il peso che ha. Ma un’ultima cosa, quella sì che potrebbero farla: farsi da parte, lasciando la lotta in mano agli operai. Che liberi dai lacci sindacali e dalle minacce delle squadracce di Riva che imperversano nel siderurgico, potrebbero condurre una battaglia molto più seria e concreta. Perché oramai è chiaro che un’altra Taranto, senza grande industria, possono sognarla, desiderarla e costruirla soltanto i cittadini. Con gli operai: che scapperebbero a gambe levate se solo venisse data loro un’altra possibilità. Un’altra opportunità lavorativa. Che non per forza deve chiamarsi “bonifica”. Hanno qualità pratiche e umane notevoli: se vogliono, possono riuscire ovunque. La politica avrebbe dovuto provvedere. Oggi il futuro possiamo costruirlo soltanto tutti insieme: guardando oltre le ciminiere e i parchi. La Storia, nonostante tutto, ci sta ancora aspettando.

Gianmario Leone (dal TarantoOggi del 28 settembre 2012)

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