La prima notizia, è che il presidente del Cda dell’Ilva pare sia entrato in possesso di perizie sull’attuale situazione sanitaria della città di Taranto, che racconterebbero una realtà diversa rispetto a quanto emerso negli ultimi mesi. E che tale realtà, guarda caso, sia decisamente meno drammatica di quanto si pensi. “Sto iniziando a leggere perizie che raccontano realtà diverse. La verità non è solo quella scritta nelle pagine delle perizie”. Di quali perizie si tratti, di quali dati si parli, ovviamente non è dato sapere. Si lanciano messaggi fuorvianti che non poggiano su alcun dato scientifico a 200 operai che si vogliono sentir dire proprio quello affermato da Ferrante: e cioè che c’è chi dipinge la realtà sanitaria ed ambientale tarantina in maniera drammatica, accentuando dati sulle emissioni e sulla mortalità per perseguire l’unico obiettivo di chiudere l’Ilva, lasciare a casa e senza lavoro migliaia di lavoratori e nello stesso tempo affondare la produzione dell’acciaio italiano.
Lascia perplessi che un uomo di Stato, che dovrebbe conoscere la legge e nello stesso tempo aver imparato a tastare il polso della situazione con diplomazia e giudizio, si possa lasciar andare a frasi che inevitabilmente spingono verso il conflitto, aizzano gli animi ed esasperano una situazione creata da un gruppo irresponsabile, che ha gestito il più grande siderurgico europeo in maniera criminosa, come hanno accertato le ordinanze del GIP Patrizia Todisco e il tribunale del Riesame. “Ritengo il nostro piano serio, corretto, responsabile, è una primissima risposta che va nella direzione indicata dall’autorità giudiziaria”. Peccato che il presidente Ferrante ignori del tutto che i custodi giudiziari e la Procura abbiano bocciato all’istante tale piano, contestato anche dagli stessi sindacati perché ritenuto inidoneo al reale ed immediato risanamento delle aree e degli impianti sequestrati, richiesto all’azienda. Che oramai ha scelto di recitare il ruolo di vittima incompresa: ed è proprio per questo che Ferrante ritiene “ampiamente giustificate la preoccupazione e l’ansia manifestate dai lavoratori”.
Incredibile ma vero, l’Ilva riesce sempre a capovolgere la realtà dei fatti: invece di assumersi la responsabilità di quanto avvenuto negli ultimi 17 anni, chiedendo scusa ad un intero territorio ed ai suoi operai, compatisce quest’ultimi come se la situazione attuale sia frutto di una trama di un romanzo o di un film, e non, come invece purtroppo è, la durissima realtà in cui il Gruppo Riva, le istituzioni, i sindacati e gran parte della classe dirigente tarantina, han costretto volutamente un’intera città, soltanto per seguire ed assecondare una lauta, per tutti, “logica del profitto”. Certo, non è una mossa da gentiluomini quella di Ferrante: pronunciare certe frasi alla vigilia della decisione del GIP Todisco sul piano di investimenti per 400 milioni di euro presentato dall’azienda per risanare sul piano ambientale gli impianti dell’area a caldo sequestrati, non ricalca certo la strada della diplomazia e del rispetto dei ruoli tanto decantata sino all’altro giorno dall’ex prefetto. Che lascia intendere come l’Ilva, al di là del certo ricorso al Riesame in caso di responso negativo, prima di prendere decisioni definitive in merito al futuro dell’azienda, attenderà di leggere le prescrizioni della nuova AIA che il ministero dell’Ambiente, supervisionato dall’amico Corrado Clini, si appresta a rilasciare.
“Altre risposte più profonde e complesse – ha proseguito Ferrante – ci saranno quando verrà rilasciata l’Autorizzazione integrata ambientale dal Governo. Sarei lieto e felice se ci fosse da parte di tutti comprensione per il momento difficile che vive lo stabilimento. Noi riceviamo indicazioni e sollecitazioni da parte di diverse autorità e cerchiamo di dare risposte a tutti in modo convincente e responsabile”. Comprensione per il momento difficile: il copione della vittima sacrificale è stato scritto proprio bene. Il presidente dell’Ilva ha però voluto ribadire come l’azienda, seppur trovasi in un mare in tempesta, intende “tutelare i posti di lavoro, gli impianti, rispettare l’ambiente e la salute dei cittadini”. Attenzione, però: perché una recita del genere, in ogni copione Ilva che si rispetti, ha bisogno della minaccia finale: con Ferrante che ha ricordato a tutti che lo scenario cambierebbe radicalmente se il GIP del Tribunale dovesse respingere l’istanza aziendale di conservare una minima capacità produttiva per avere i fondi da investire nel risanamento ambientale degli impianti sequestrati.
Delle due l’una, allora: o non è vero che attenderanno l’AIA con le nuove prescrizioni, oppure godono nel continuare a perseguire la tecnica del terrorismo psicologico nei confronti di una città intera, brandendo l’ascia squallida del ricatto occupazionale. Chicca finale: ieri l’azienda ha dato l’ok affinché fosse esposto su una delle facciate della sede della direzioni, uno striscione dall’eloquente monito: “Disposti a tutto”. Qualcuno avvisi l’Ilva e sindacati: le minacce, oramai, sanno di vecchio. E non fanno più paura a nessuno. A dimostrazione di ciò, il fatto che il GIP dovrà inoltre esprimersi sulla richiesta della Procura della Repubblica per la revoca di Ferrante da custode, proposta avanzata anche dai custodi che hanno la responsabilità delle aree sotto sequestro. Richiesta di revoca che di fronte alle ultime esternazioni del presidente Ilva, non ha bisogno di altre giustificazioni o spiegazioni di sorta.
OPERAI OCCUPANO ALTIFORNI
C’è qualcuno che ha deciso di arrivare allo scontro frontale sulla vicenda Ilva. Infischiandosene della situazione degli operai, così come di una città intera che soltanto da un paio di mesi ha iniziato a fare seriamente i conti con il suo passato, il suo presente e ciò che sarà o dovrà essere per forza di cose il suo futuro. C’è qualcuno, una specie di registra occulto, che vuole spingere questa città ad uno scontro sociale che non c’è e non ci sarà mai. Perché nessuno è contro gli operai dell’Ilva. Nessuno li accusa di nulla. Così come nessuno è contro la magistratura che oltre a perseguire i reati di un’azienda privata, sta cercando di fare quello che istituzioni e sindacati sono stati incapaci di realizzare negli ultimi 17 anni: costringere il Gruppo Riva a prendersi le sue responsabilità, costringendolo a non inquinare più un territorio oramai saturo.
Questo regista occulto, con grande vigliaccheria, ha deciso di colpire alle spalle, alzando alle stelle il clima di tensione qualche ora prima delle decisioni del GIP Patrizia Todisco. Le avvisaglie c’erano state già dal mattino. Striscioni eloquenti e poco rassicuranti. Poi, nella tarda serata di ieri, un gruppo di operai Ilva è salito a circa 60 metri di altezza sulla torre di smistamento dell’altoforno 5 per restarvi tutta la notte. Dalla torre di smistamento, da dove passano i nastri di carica dell’impianto, sono stati stesi degli striscioni (di cui uno recita “Dignità uguale lavoro”) e il tricolore. Poi, a conferma che nulla accade per caso, poco dopo i delegati sindacali e i lavoratori iscritti alla Uilm, che in un primo momento avevano deciso di uscire dallo stabilimento per manifestare lungo la statale Appia, hanno deciso di andare verso l’AFO 5 per esprimere la loro solidarietà agli occupanti. La scelta non è casuale: l’AFO 5 è il più grande d’Europa e il più produttivo di tutto il siderurgico di Taranto. Mentre andiamo in stampa, un’altra protesta é in corso anche all’altoforno 1 e consiste nel presidio da parte dei lavoratori. L’AFO 1 è il primo che per i custodi responsabili delle aree sequestrate va fermato. Nel mentre, un elicottero delle forze dell’ordine si è alzato nel cielo di Taranto: che quest’oggi vivrà un’altra, lunghissima giornata, che segnerà inevitabilmente la sua storia.
Gianmario Leone (dal TarantoOggi del 26 settembre 2012)
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