Ora, le ipotesi sul futuro dell’Ilva sono due: il GIP confermerà la progressiva fermata degli impianti, a cominciare dall’altoforno 1 come previsto anche nel provvedimento notificato giorni addietro all’azienda dai custodi giudiziari, o arriverà un intervento “esterno”, probabilmente del Governo, per consentire l’avvio del “risanamento ambientale” del siderurgico, impedendo il blocco degli altiforni. Che viene visto con il fumo negli occhi da parte dei sindacati e degli economisti di ogni risma, perché considerato il primo passo per la morte del siderurgico tarantino. Dimentichi che, ad esempio, lunedì 9 marzo 2009, l’Ilva spense l’acciaieria 2 a causa della grave crisi economica allora agli arbori, confermando però che “gli investimenti di natura ambientale avviati sull’impianto non subiranno alcun rallentamento ma proseguiranno in linea con quanto previsto nelle linee guida BAT”: allora non è vero, come invece riferiscono da tempo l’azienda e gli stessi sindacati, che gli interventi si possono effettuare soltanto con gli impianti in marcia. Pochi giorni dopo però, l’azienda cambiò idea: riapertura dell’acciaieria 2, con conseguente fermo dell’acciaieria 1.
Tenendo però sempre a precisare che “che tutti gli investimenti programmati per la manutenzione e la sicurezza degli impianti, nonché per le BAT, sono confermati nel pieno rispetto degli impegni assunti con le istituzioni nazionali e locali”. L’altoforno 2 fermato per la crisi, venne riacceso soltanto a settembre del 2009. Per non parlare del fatto che, ad esempio, il 1 gennaio 2010, ad un anno esatto dalla sua fermata, veniva riattivato l’altoforno 1 (AFO 1): ma allora non è vero che se si spegne l’AFO 1, come imposto dai custodi, l’Ilva è destinata alla chiusura perenne. Infine, impossibile non citare quanto avvenuto per l’altoforno 4, che è stato spento addirittura per tre lunghi anni e riacceso soltanto nell’aprile 2011. Come mai dunque oggi, Ilva e sindacati dichiarano che qualora gli altiforni 1 e 5 venissero spenti, interrompendo parte della produzione, il siderurgico tarantino sarebbe destinato a morte sicura? Qualcosa non torna. Come mai se a decidere la fermata di un’acciaieria o di un altoforno a causa della crisi economia è l’azienda stessa, nessun ministro, nessun economista, nessun politico, nessun sindacalista si indigna o si lamenta, mentre se ad imporlo sono dei custodi giudiziari a fronte di un sequestro preventivo all’interno di un’inchiesta per inquinamento ambientale doloso, si muove il gotha dell’economia nazionale, paventando il crollo definitivo dell’intera economia italiana? Misteri tutti italiani.
Tornando alla più stretta attualità, è ovvio che nulla vieta che il GIP Todisco possa decidere diversamente rispetto ai pareri negativi espressi dalla Procura, che ricordiamo essere obbligatori ma non vincolanti (poiché se fosse concessa la facoltà d’uso, si tratterebbe, secondo la Procura, di una modifica sostanziale del provvedimento emesso dalla stessa Todisco): ma almeno sulla richiesta dell’azienda di ottenere una minima capacità produttiva e quindi la facoltà d’uso degli impianti per continuare a produrre, è praticamente impossibile che il GIP non confermi il no, considerato anche che i custodi responsabili delle aree sequestrate hanno bocciato il piano da 400 milioni e che a questa bocciatura è seguito il parere negativo dei pm. Se questo sarà lo scenario, con il no sia alla richiesta dell’Ilva sulla produzione minima, sia alla revoca dei domiciliari per i due Riva e per Capogrosso, è molto probabile che l’Ilva dia il via ad ulteriori ricorsi contro i pareri negativi. L’azienda infatti, in questi giorni non ha proferito parola in merito al doppio no dei custodi e della Procura, affermando di voler aspettare gli atti ufficiali. Ma la settimana che va ad iniziare oggi è decisiva anche per un altro motivo: domenica è 30, il limite stabilito dal ministro dell’Ambiente Corrado Clini, per la chiusura dei lavori della commissione ministeriale, incaricata di riesaminare l’AIA del 2011, che dovrebbe vedere inserite le prescrizioni indicate dal GIP e dai periti chimici. Ma sono davvero in pochi a crederci.
Gianmario Leone (dal TarantoOggi del 25 settembre 2012)
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