La decisione, come ribadito dallo stesso procuratore capo Sebastio, spetta unicamente al GIP. Che difficilmente tornerà indietro sui suoi passi: anzi, è quasi impossibile. Così come appare molto difficile che i custodi giudiziari possano dare il loro ok al piano presentato dall’Ilva sulle sei aree poste sotto sequestro preventivo, nonostante Ferrante abbia sostenuto che “gli interventi richiesti sono in linea con le prescrizioni dei custodi e del Riesame”. Ma allo stato attuale, sono molto divergenti le indicazioni imposte nelle prescrizioni dei custodi e quelle dell’Ilva per risanare l’area sotto sequestro. Basti ricordare l’ultimo provvedimento dei custodi, notificato all’azienda nella tarda serata di lunedì. Nel provvedimento i custodi giudiziali hanno disposto ai responsabili d’area dell’Ilva “l’adozione delle misure necessarie alla messa in sicurezza per lo spegnimento degli impianti indicati”.
Il piano dei custodi é dettagliato area per area e stabilisce dismissione e bonifica delle aree relative alle batterie 1 e 2, spegnimento forni relativi alle batterie 3-4, 5-6, 9-10 e 11 e completo rifacimento delle stesse, interventi di adeguamento alla batterie 12, completo rifacimento delle torri di spegnimento 1, 3, 4, 5, 6 e 7. Nell’ambito delle misure per le batterie 7-8 e 12 “dovrà essere effettuata una campagna di monitoraggio per la verifica della conformità delle emissioni ai valori limiti”. Per l’area altiforni, invece, i custodi dispongono “spegnimento altiforni e completo rifacimento degli stessi” e “interventi di adeguamento degli altiforni”. Il dettaglio delle misure per quest’area prevede: dismissione e bonifica dell’altoforno 3 o completo rifacimento; spegnimento e completo rifacimento altoforno 1; spegnimento e completo rifacimento altoforno 5.
Per l’adeguamento degli altiforni si chiede invece il miglioramento del sistema di captazione e depolverazione altiforni 1 e 2, il miglioramento della captazione emissioni campo di colata altiforni 1, 2 e 5, l’adozione di un nuovo sistema di granulazione loppa con relativo circuito acqua e condensazione dei vapori per altiforni 1 e 5, l’adozione di un sistema per la limitazione delle emissioni diffuse dallo scarico della sacca a polvere dell’altoforno 2. Per le acciaierie i custodi dispongono per la 1 l’adeguamento del sistema di depolverazione secondaria e l’adeguamento della desolforazione della ghisa in siviera. Interventi strutturali vengono poi indicati per l’acciaieria 2, con adeguamento della desolforazione della ghisa in siviera. Si dispone inoltre l’adozione di “sistemi di aspirazione delle emissioni diffuse e contenimento delle scorie diffuse incandescenti”.
Un capitolo della disposizione dei custodi è poi dedicato alle batterie delle cokerie. “Si ritiene necessario dover procedere – scrivono i custodi all’Ilva – alla dismissione delle batterie 1 e 2 con relativa bonifica delle aree di competenza, al completo rifacimento delle batterie 3, 4, 5, 6, 9, 10 e 11, agli interventi sostanziali delle batterie 7, 8 e 12. Tali interventi – viene puntualizzato – presuppongono il necessario spegnimento della quasi totalità dei forni che costituiscono le batterie 3, 4, 5, 6, 9, 10 e 11 ed in ogni caso lo spegnimento dei restanti forni afferenti alle batterie 7, 8 e 12”. I custodi dispongono ai responsabili di area “di provvedere all’individuazione delle opportune risorse umane, tecnologiche e amministrative interne allo stabilimento o di gruppo,sia che siano da individuarsi all’esterno, necessarie per mettere in sicurezza gli impianti e porre in essere le disposizioni”. Il tutto, è bene ricordarlo, con l’obiettivo di far cessare “l’attività criminosa in corso e, dunque, le emissioni inquinanti derivanti dalla produzione di acciaio”.
Per un’azienda che, come ha ribadito anche il tribunale del Riesame che il presidente Ferrante ama citare solo per quanto concerne la salvaguardia degli impianti e dell’attività produttiva nei limiti del possibile, ha attuato delle modalità di gestione tali da produrre un “disastro doloso”: “Azioni ed omissioni aventi una elevata potenzialità distruttiva dell’ambiente (…), tale da provocare un effettivo pericolo per l’incolumità fisica di un numero indeterminato di persone”. Con l’attività inquinante che “è stata una scelta voluta dalla proprietà”. Per il Tribunale del Riesame, il disastro prodotto dall’Ilva a Taranto è stato “determinato nel corso degli anni, sino ad oggi, attraverso una costante reiterata attività inquinante posta in essere con coscienza e volontà, per la deliberata scelta della proprietà e dei gruppi dirigenti che si sono avvicendati alla guida dell’Ilva, ed hanno continuato a produrre massicciamente nella inosservanza delle norme di sicurezza dettate dalla legge e di quelle prescritte, nello specifico dai provvedimenti autorizzativi”.
Gianmario Leone (dal TarantoOggi del 20 settembre 2012)
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