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Ilva, l’ultima minaccia di Riva

TARANTO – L’istanza presentata ieri mattina in tribunale dal presidente dell’Ilva Bruno Ferrante, probabilmente sarà ricordata come l’ultima minaccia di Emilio Riva a Taranto e ai suoi cittadini. Sì, perché le parole pronunciate ieri da Ferrante, seppur in tutta la loro calma e diplomazia dell’ex prefetto, sono il responso dell’ingegnere dell’acciaio dopo la riunione svolta a Milano la scorsa settimana. Presentato in maniera velata, quasi ossequiosa, il diktat rivolto alla magistratura, ed in questo caso direttamente al GIP Patrizia Todisco, è chiarissimo: o si garantisce una minima attività produttiva, oppure salta tutto il banco. In pratica il Gruppo Riva chiede, senza però mai ammetterlo, la revoca sul divieto della facoltà d’uso degli impianti per continuare a produrre, imposto dal GIP e confermato dal tribunale del Riesame.

Il gioco di parole è molto fine e bisogna essere molto attenti ai particolari, altrimenti si rischia di essere ipnotizzati dalle parole del presidente Ilva. Che inizia il suo lungo discorso in conferenza stampa, mettendo per prima cosa le mani avanti: “Abbiamo presentato una istanza che non chiede e non vuole assolutamente modificare le decisioni che sono state assunte dall’autorità giudiziaria nelle varie sedi, prima tra tutte il Tribunale del Riesame”. Il quale stabilì nella sue motivazioni, diversi punti fermi: come appunto il risanamento ambientale degli impianti con l’obiettivo di tutelare la salute, oltre alla salvaguardia degli impianti e di attività strategica produttiva. E partendo da questo assunto, l’Ilva sostiene che per mantenere e rispettare questi valori e queste indicazioni “c’é la necessità di avere quella minima attività strategica produttiva che consente di raggiungere quel punto di equilibrio rappresentato dai valori in gioco: risanamento ambientale, salvaguardia della salute pubblica, attività dell’impresa e tutela dei posti di lavoro. Riteniamo che per tenerli insieme dobbiamo esprimere un minimo di capacità produttiva che faccia sintesi”.

Una sintesi che però fa acqua da tutte le parti. Visto che lo stesso Ferrante sorvola sul fatto che proprio il tribunale del Riesame, oltre a confermare la non facoltà d’uso, ha riconosciuto piena autonomia decisionale ai custodi-amministratori (fra i quali Ferrante), i quali “hanno veri e propri compiti di gestione”. Basta questo piccolo, ma significativo particolare, per ricordare all’Ilva che il Gruppo Riva non può avanzare richiesta alcuna sulle aree sottoposte a sequestro preventivo. E che la minaccia inviata al GIP Todisco, tornerà al mittente nel breve volgere del tempo: anche perché, consentire all’Ilva di continuare a produrre seppur al minimo, farebbe crollare come un castello di carte l’intero impianto accusatorio alla base dei provvedimenti presi dallo stesso GIP. Minaccia che come è nel costume del Gruppo Riva, finisce con l’andare a toccare il nervo scoperto di tutta la vicenda: i livelli occupazionali.

Con Ferrante che ribadisce come l’eventuale blocco alla produzione aprirebbe scenari foschi per quanto riguarda il futuro dei lavoratori. Mettendo in dubbio quanto disposto nell’ultimo provvedimento dei custodi, che indicano l’utilizzo degli operai dei reparti che dovranno fermarsi come futura mano d’opera per gli interventi di bonifica: “dubito che abbiano le competenze per ottemperare a tali incarichi”, glissa Ferrante. Che dimentica però come l’ordinanza di sequestro preventivo firmata dal GIP Todisco, chiariva come il compito del custode amministrativo, che il Riesame ha designato nella persona dello stesso Ferrante, fosse quello di ricollocare all’interno dell’azienda il personale dei reparti e delle aree poste sotto sequestro. Dopo di che, come se non bastasse tutto questo, Ferrante dichiara candidamente che i 400 milioni che il Gruppo Riva intende stanziare, hanno bisogno di una copertura finanziaria che può essere garantita soltanto con l’attività produttiva dello stabilimento: dimenticando di essere il presidente di un’azienda che negli anni ha fatturato decine di miliari di euro. E che non dovrebbe avere problema alcuno a tirare fuori 400 milioni di euro.

Ed invece, pare proprio che il buon Emilio non abbia intenzione di tirare fuori alcunché: perché dopo l’ipotesi avanzata la scorsa settimana in merito ai prestiti che l’azienda potrebbe ottenere dalla Banca Europea degli Investimenti, Ferrante rivela l’ipotesi di un nuovo accordo di programma da scrivere con governo e istituzioni locali “attorno a un pacchetto di iniziative che tengano conto degli investimenti che l’azienda fa ma anche di altri interventi di parte pubblica che possano aiutare l’impresa”. Incredibile ma vero: invece di risarcire i tarantini per tutti i danni morali, fisici e ambientali subiti, si ha addirittura l’ardire di ipotizzare interventi dello Stato con i soldi dei cittadini, per “aiutare” l’impresa. Aiuti che possono essere degli sgravi fiscali, oneri sociali e, dichiara Ferrante, “posso immaginare che un certo contenzioso con lo stato possa formare oggetto di un negoziato da fare in sede di accordo di programma. La fantasia offre la possibilità di esplorare orizzonti diversi”: la fantasia, appunto, non la realtà. Che ci riporta all’ultimo provvedimento dei custodi, nel quale vi è scritto testualmente che “garantire la cessazione dell’attività criminosa in corso e delle emissioni inquinanti derivanti dall’attività degli impianti sottoposti a sequestro: è questo l’obiettivo delle disposizioni operative da attuare immediatamente”.

Chiedere di continuare a produrre, vuol dire voler continuare nell’attività criminosa: niente di più, niente di meno. Tutto il resto, per quanto ci riguarda, sono soltanto parole al vento. Pronunciate da chi spera ancora una volta di farla franca e che non ha intenzione alcuna di porre rimedio ai danni causati consapevolmente negli anni ad un intero territorio. Del resto lo ammette lo stesso Ferrante, che dichiara senza troppi problemi in merito all’inchiesta giudiziaria, “che in un prossimo futuro venga scritta la parola verità. Ci auguriamo che si possa arrivare quanto prima a definire con esattezza le varie responsabilità, per dire cosa Ilva ha fatto, dove ha sbagliato, se ha sbagliato”: quel se racchiude l’effettiva consistenza morale del Gruppo Riva. Che sa perfettamente come la sua storia a Taranto sia oramai appesa ad un sottilissimo filo, che rischia di spezzarsi in ogni momento.

Ed anche se Ferrante prova la via del romanticismo, “non credo che chi abbia a cuore il destino di questo Paese, di questa città, di questa società, chi abbia buon senso e ragionevolezza nell’affrontare i problemi della vita, possa dire chiudiamo lo stabilimento come il siderurgico di Taranto”, il destino appare segnato. Prova ne è, per chiudere, la questione della copertura dei parchi minerali: sulla quale l’Ilva si affida alla società leader mondiale nella progettazione di impianti siderurgici, per stilare un piano di fattibilità: con Ferrante che ipotizza in futuro, una copertura parziale dell’area. Lo ribadiamo ancora una volta: prima iniziamo a progettare un futuro senza la grande industria dando impulso alle alternative economiche che il nostro territorio offre, più saremo in grado di affrontare un dopo Ilva senza troppi drammi di sorta. Ricordando a tutti, ancora una volta, che Riva dovrà risarcire sino all’ultimo centesimo: per questo, forse è il caso che quei 400 milioni l’Ilva li mettesse da parte per il futuro risarcimento.

Gianmario Leone (dal TarantoOggi del 19 settembre 2012)

 

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