Confermando che la loro tesi di fondo resta sempre la stessa: il siderurgico tarantino non dovrà chiudere per nessuna ragione al mondo. Posizione che contraddice, per l’ennesima volta, il percorso indicato dall’ordinanza di sequestro preventivo degli impianti firmata dal GIP Todisco, confermato dal tribunale del Riesame e ribadito ieri in una nuova notifica da parte della Procura: a partire dalla prossima settimana, l’Ilva dovrà infatti rallentare la produzione per consentire l’adeguamento degli impianti affinché si eliminino del tutto le emissioni inquinanti.
Nella direttiva la Procura ricorda, ancora una volta, che il sequestro è senza facoltà d’uso: gli impianti non devono e non possono essere utilizzati a fini produttivi, come indicato nel decreto di sequestro confermato dal Tribunale del Riesame, pur dovendo nello stesso tempo salvaguardare l’esistenza degli stessi. La tesi della Procura, del tutto condivisibile ed anche logica, è che non sia possibile adeguare gli impianti dal punto di vista ambientale e contemporaneamente produrre acciaio: essendo che gli stessi inquinano, dovranno prima essere risanati e poi eventualmente, previa attenta e appurata analisi da parte dei custodi, riprendere la marcia produttiva.
Ma se la nuova direttiva ha riportato nel panico i sindacati che temono ricadute occupazionali dopo le ultime nuove disposizioni, istituzioni e Ilva proseguono nel loro percorso parallelo, seguendo la strada della famosa eco-compatibilità, non curanti delle restrizioni imposte dalla magistratura. Il vicepresidente della Commissione europea, responsabile per l’industria e l’imprenditoria, l’on.le Antonio Tajani, come abbondantemente previsto, ha aperto le porte a possibili prestiti per l’Ilva da parte della Banca europea degli investimenti e ipotizzato l’utilizzo di risorse derivanti dal Fondo sociale europeo, annunciando che i “governi europei discuteranno con la Commissione della situazione dell’acciaio in Europa il 10 e 11 ottobre prossimi”.
Ma al di là dei pensieri del ministro Clini, del governatore Vendola e delle buone intenzioni di Tajani, ciò che conta è quanto dichiarato dal presidente dell’Ilva Bruno Ferrante, di ritorno da Milano dove ha incontrato il patron Emilio Riva agli arresti domiciliari dallo scorso 26 luglio. Lo stesso ha infatti confermato la volontà da parte del Gruppo di continuare ad investire a Taranto nell’ambito di un programma che “definisca una prospettiva sostenibile per il futuro”. Ferrante ha inoltre garantito che entro la prossima settimana l’Ilva presenterà alla Procura un’istanza con la quale indicherà “interventi da attivare immediatamente per il risanamento ambientale degli impianti, in perfetta linea con quanto disposto dal tribunale del Riesame”. Staremo a vedere. Visti gli ultimi precedenti ne dubitiamo alquanto.
Ma la vera sorpresa, la riserva proprio Ferrante, in merito alla nuova direttiva della Procura che impone il rallentamento della produzione: il presidente ha tirato fuori dal cilindro una teoria alquanto singolare, tra le più originali che abbiamo ascoltato in questi ultimi anni. “Io so, per quanto dicono i tecnici, che se si abbassa il livello produttivo, o meglio il livello di funzionamento degli impianti, si inquina di più”. Cioè, l’Ilva sarebbe addirittura in grado di inquinare di più rispetto al recente passato, marciando a ritmo ridotto e producendo al minimo. Strabiliante. Ma siccome lo stile Ilva è sempre lo stesso, nonostante la “finta” diplomazia mostrata da Ferrante, la minaccia finale, velata ma pur sempre minaccia è, arriva puntuale: “C’é un limite di inquinamento minimo che va tenuto presente”. Coma a dire: al di là di ogni intervento futuro e del ritmo di produzione, noi inquineremo sempre e comunque. Un messaggio da indirizzare a coloro i quali “sognano” un’Ilva che produca un acciaio pulito, ed a coloro i quali inseguono ancora le chimere di una nuova rivoluzionaria AIA.
Gianmario Leone (dal TarantoOggi del 15 settembre 2012)
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