Questa prima tranche del rimborso ammonta a 311.377 euro e si riferisce ad un periodo parziale (cioè fino alla data della richiesta delle cooperative), ma con ulteriore possibilità di integrazione fino a dodici mesi data la persistente criticità. A darne notizia con una nota, il consigliere regionale Alfredo Cervellera, che ha voluto ringraziare “la disponibilità e la sensibilità dimostrata dell’Assessore Dario Stefàno e dalla sua struttura”.
Ricordiamo infatti che il fondo europeo per la pesca (FEP), è passato da 1,6 a 2,6 milioni di euro dopo la richiesta della Regione vista l’emergenza del settore, che a giugno scorso venne accolta dal ministero delle Politiche Agricole. Il risarcimento avverrà in base alla media dei bilanci depositatinell’ultimo triennio, per un massimo di novemila euro al mese per un anno. Per le cooperative che non hanno avuto accesso al bando (in tutto 12), perché prive della regolare concessione, il Comune ha promesso lo stanziamento di una somma vicina ai 150mila euro, che avrà il valore di ristoro: così come avvenne lo scorso anno, ogni cooperativa riceverà un risarcimento calcolato in base ai componenti di ogni singola famiglia, sommata alla quantità di prodotto che è stata smaltita in discarica.
Ma il futuro della mitilicoltura tarantina é tutt’altro che radioso. E non solo per la moria di cozze avvenuta nel II seno del Mar Piccolo, per un danno calcolato in oltre 11 milioni di euro per circa 22.890 tonnellate di mitili dovuta al gran caldo ed alla conseguenza mancanza di ossigeno.Ma soprattutto perché a breve partirà il trasferimento di alcuni allevamenti nelle aree di Mar Grande (appena 369.000 metri quadrati in tutto), dopo l’ordinanza della Capitaneria di Porto riguardante l’interdizione della navigazione nelle aree preposte: le boe, che saranno utilizzate per la delimitazione delle stesse, sono state già posizionate e si possono “ammirare” passeggiando sul lungomare.
La parte più complessa sarà lo spostamento degli impianti, che necessiteranno inevitabilmente della presenza dei “corpi morti” (enormi basi di cemento armato del peso anche di 3,5 quintali), che dovranno sostenere i galleggianti e che dovranno essere trasportati dagli stessi mitilicoltori con delle grandi imbarcazioni. Inoltre, è bene ricordare che le aree individuate a Mar Grande dovranno essere sottoposte a classificazione sanitaria dalla ASL, con un periodo di sperimentazione della durata di sei mesi, necessario per testare la zona e la reale possibilità di attecchimento del seme in Mar Grande: perché sin dal primo momento tutte le parti in causa, mitilicoltori in primis, sanno che il mitile prodotto nel I seno del Mar Piccolo ha una sua specificità che perderà del tutto una volta coltivato nelle acque di Mar Grande.
Il bello è che nessuno ha avuto il coraggio di dire e ipotizzare cosa accadrà qualora il periodo di sperimentazione dovesse dare esito negativo. Intanto, da un lato si attende che la Regione, insieme ai nostri “impagabili” consiglieri regionali tarantini, mantenga la promessa avanzata in estate di “avviare un piano di rilancio delle cozze tarantine ancorandole al Marchio di Qualità Prodotti di Puglia” (incredibile ma vero, un qualcosa che si sarebbe dovuto fare da decenni è ancora un’idea); dall’altro, che il tavolo tecnico regionale (dove siedono Regione Puglia, CNR, Politecnico, Università di Bari, ARPA Puglia, ISPRA, ISS e ASL/TA) dopo l’ultimo incontro datato 29 giugno, termini la caccia al tesoro intrapresa negli ultimi due anni per “verificare fonti e costi bonifica”.
Magari una mano potrebbe arrivare, ancora una volta, dalla magistratura tarantina: che nell’inchiesta in corso sull’inquinamento prodotto dall’Ilva, ha chiesto ad Arpa Puglia di verificare se ci siano tracce di diossine e PCB riferibili all’Ilva nei campioni di mitili contaminati nel I seno del Mar Piccolo. Nel frattempo, basterebbe ad esempio andare a bussare alla porta della Marina Militare, riprendendo la relazione tecnica sulla “Contaminazione da policlorobifenili (PCB) nel Mar Piccolo di Taranto” redatta dall’“Area politiche per l’ambiente, le reti e la qualità urbana Servizio Ciclo dei Rifiuti e Bonifica”, in cui furono individuate le fonti primarie di contaminazione (sorgenti attive che incrementano il flusso massico di PCB nel Mar Piccolo) e le fonti secondarie (sedimenti inquinati che generano la propagazione della contaminazione ancheattraverso la risospensione naturale o indotta antropicamente).
“Fonte primaria: Aree a terra gestite dalla Marina Militare (Arsenale), in cui la presenza di PCB è stata accertata nei terreni e nella falda superficiale; la contaminazione è veicolata dalla falda superficiale, che in quei luoghi ha come recapito le sponde del Mar Piccolo a nord di via del Pizzone. 3) Fonte secondaria: Sedimenti del Mar Piccolo, dove sono state individuate due distinte zone interessate dalla presenza di PCB; una si trova in corrispondenza dell’arsenale militare, nell’area di caratterizzazione denominata “area 170 ha”, l’altra posta a nord del primo seno, a circa 200 m ad ovest della penisola di Punta Penna; in entrambi i casi la diffusione dell’inquinante avviene verosimilmente attraverso la ripetuta sospensione di sedimenti contaminati presenti sul fondo”.
Per finire con “possibile fonte primaria: Area degli insediamenti produttivi nel Comune di Statte, nei pressi del km 5 della S.P. n. 48 Taranto-Statte. In questi luoghi, in un’area occupata dall’azienda San Marco Metalmeccanica, è stata accertata la presenza di una cava colmata, tra l’altro, da materiale contenente PCB: con il moto delle acque della falda carsica profonda avviene verso il Mar Piccolo”. Sono mesi e mesi che denunciamo tutto questo: se qualcuno (Regione, Provincia, Comune, società civile, etc.) si vuole degnare di allargare l’orizzonte mentale oltre le ciminiere dell’Ilva, sarebbe cosa buona e giusta.
Gianmario Leone (dal TarantoOggi del 12 settembre 2012)
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