Come spiegato da Daniela Spera, responsabile del comitato, l’indagine della Commissione Europea ha preso avvio grazie ad una petizione presentata nel settembre del 2011 al Parlamento Europeo. Legamjonici aveva evidenziato gravi mancanze nella procedura di Via (Valutazione di impatto ambientale) del progetto Eni denominato “Adeguamento stoccaggio del greggio proveniente dal giacimento di Tempa Rossa”. «Nello Studio di Impatto Ambientale – ha spiegato la Spera – era completamente assente l’obbligatorio studio sull’effetto domino ovvero sugli incidenti a catena. Eppure i nuovi serbatoi verrebbero posti vicino ad altri già esistenti e allo stabilimento Ilva, nei pressi di zone ad alta frequentazione da parte del pubblico come strade e rete ferroviaria”. Proprio l’assenza della valutazione dell’effetto domino ha impedito, secondo Legamjonici, di individuare e informare i cittadini sulle possibili conseguenze. Nei prossimi mesi si attendono le risposte della Comunità Europea, che aprirà un dialogo con le autorità italiane per chiarire le criticità denunciate.
Da ricordare, inoltre, che l’8 novembre del 2011, Daniela Spera, insieme a un gruppo di legali e cittadini, aveva consegnato alla Procura della Repubblica un esposto in cui si chiedeva di verificare il rispetto delle norme a tutela della popolazione e l’individuazione di soggetti eventualmente responsabili di ritardi o omissioni. «L’esposto non è stato archiviato – ha precisato la Spera – ed ora è al vaglio della magistratura». Non è mancato un cenno alla nuova centrale Enipower. «Il progetto è stato rivisto dall’azienda proprio in seguito alle pressioni delle associazioni ambientaliste e del nostro comitato – ha sottolineato la Spera – ora la potenza è stata ridotta ma non tutte le emissioni inquinanti vengono abbattute. Non si tratta di un progetto di risanamento ambientale: il monossido di carbonio che verrebbe emesso dalla nuova centrale sarebbe di gran lunga superiore. Si tratta di un agente inquinante a tutti gli effetti». Legamjonici, inoltre, contesta il fatto che i vari progetti Eni (metanodotti compresi) non siano sottoposti ad un’unica procedura di valutazione di impatto ambientale in grado di tenere conto dell’impatto reale e complessivo che tali opere possono avere sull’ambiente e sulla popolazione.
La Spera ha lamentato anche la mancanza di adeguata informazione su quanto avvenuto tra il 7 e l’8 agosto, quando in città si è avvertito un cattivo odore fortissimo che ha allarmato i cittadini e richiesto l’intervento di Vigili del Fuoco e Guardia di Finanza. Arpa Puglia ha potuto accertare che il fenomeno proveniva dalla Raffineria Eni ed era causato da uno sversamento di idrocarburi. La centralina mobile dell’Arpa ha registrato picchi per quanto riguarda l’idrogeno solforato e il benzene, due sostanze notoriamente pericolose per la salute umana, sia nell’immediato che dopo una lunga esposizione. Valori alti che sono emersi dai grafici prodotti da Arpa Puglia, ma su cui nessuno (istituzioni comprese) ha sentito il dovere di informare i cittadini.
Proprio sugli effetti dell’idrogeno solforato si è soffermato Fabio Millarte del Wwf, che ha presentato i risultati di una relazione curata dalla dottoressa Rossella Baldacconi. L’esposizione ad alte concentrazioni può comportare, tra l’altro, danni alla vista, paralisi olfattoria, edema polmonare, danni al sistema nervoso e collasso. Più subdoli e pericolosi risultano gli effetti prodotti da esposizioni continue a basse concentrazioni: problemi neurologici, affaticamento, debolezza, depressione, problemi di apprendimento. Soltanto per citarne alcuni. Nelle conclusioni si auspica che la Raffineria Eni adoperi al più presto misure per controllare le emissioni in uscita dagli impianti di desolforazione. Si chiede, infine, un piano programmato di evacuazione tempestiva della popolazione tarantina a rischio, in caso di rilascio accidentale di idrogeno solforato.
Alessandra Congedo
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