Ilva, altri 30 giorni di vita
TARANTO – Dall’ufficio legale dell’Ilva hanno fatto sapere che le scorte di carbone e minerali ferrosi presenti nei parchi, dureranno soltanto per altri 30 giorni, dopodiché all’acciaieria Ilva di Taranto si bloccheranno prima un paio di altiforni e poi la produzione dell’intero impianto. E’ quindi altamente probabile che il siderurgico entro un mese cesserà la produzione e ridurrà finalmente il suo impatto inquinante sull’ambiente e per la salute dei cittadini. Tutto questo, si badi bene, certamente non per la “buona volontà” dell’azienda sbandierata ai quattro venti ogni giorno dal presidente Ilva Bruno Ferrante. Ma grazie all’azione dei custodi giudiziari che hanno dato il via alla fase di attuazione del sequestro degli impianti, così come stabilito nel vertice di sabato scorso in Procura. Dove tra i primi interventi è stato deciso lo stop ai rifornimenti di materie prime nell’area parchi, notificato all’azienda nella serata di mercoledì.
La prima vera disposizione dei custodi, mira alla riduzione dei cumuli presenti nei parchi, in attesa di decidere quali provvedimenti attuare per abbattere l’impatto ambientale delle colline di minerale e ferro che stazionano a poche centinaia di metri dal rione Tamburi. I custodi sono propensi ad imporre all’azienda la copertura dei 70 ettari dell’area: un intervento che per l’Ilva comporterebbe un investimento a nove zeri a cui il Gruppo Riva negli anni ha sempre opposto un netto rifiuto. Sia il barrieramento (teloni alti 21 metri da installare lungo tutto il perimetro dell’area) che la bagnatura dei cumuli h 24 decisi dall’azienda per ridurre la diffusione incontrollata delle polveri infatti, non hanno affatto convinto custodi e Procura. A tal proposito, durante la 76esima Fiera del Levante a cui ha preso parte, il presidente Ilva Bruno Ferrante ha ribadito come al momento non sia in corso alcun blocco totale alle attività “perché altrimenti gli impianti verrebbero compromessi inevitabilmente: si tratta di ridurre la quantità di minerali nello stabilimento”.
Nel frattempo, saranno bloccati tutti i trasporti di materiali che arrivano agli sporgenti due e quattro del porto di Taranto in concessione all’Ilva, dove vengono scaricate migliaia di tonnellate di materie prime al giorno, vitali per il ciclo produttivo dell’azienda. Nel provvedimento comunicato al presidente Ilva Bruno Ferrante, i custodi hanno anche chiesto una stima delle materie prime presenti nei parchi e l’autonomia che garantiscono per la marcia degli impianti. La cui facoltà d’uso per la produzione, è bene ribadirlo, è stata vietata all’azienda sia dal GIP Todisco che dal Riesame. Che ha ribadito come si debba procedere in unica direzione: messa in sicurezza degli impianti e loro risanamento, per eliminare le emissioni diffuse e fuggitive che hanno avvelenato e avvelenano l’aria di Taranto e i polmoni dei suoi cittadini.
Tra l’altro, la stessa azienda ha sempre ribadito come gli impianti possano essere risanati pur restando accesi: dunque, se ciò è vero, i custodi permetteranno l’approvvigionamento minimo degli stessi per lasciarli in funzione, ma senza che sia permessa la produzione. Che, seppur vietata, è continuata sino ad oggi senza soluzione di continuità, se non con una potenziale riduzione, attestatasi intorno al 70%. Per la gioia dei sindacati che speravano di salvare ancora una volta capra e cavoli: e che come dimostra quest’intervento della Uilm, continuano a recitare la parte di chi non ha ben compreso cosa sta realmente accadendo. La verità, come abbiamo più volte sottolineato, è che non solo hanno ben compreso l’intera situazione, ma temono fortemente la reazione del Gruppo Riva, che difficilmente subirà le iniziative dei custodi giudiziari senza colpo ferire.
Per questo, con una nota inviata ieri al presidente dell’Ilva, ai custodi giudiziali Valenzano, Lofrumento e Laterza, e ai responsabili aziendali delle relazioni sindacali e industriali, i rappresentanti di Fim Cisl, Fiom Cgil e Uilm Taranto hanno sollecitato per i prossimi giorni un nuovo incontro per fare il punto della situazione. Oggetto del chiarimento, conoscere le ripercussioni pratiche sull’azienda del sequestro senza facoltà d’uso disposto dalla magistratura e la situazione specifica dei parchi minerali. Intanto i custodi giudiziari hanno chiesto al responsabile dell’ufficio tecnico approvvigionamento materie prime dell’Area Altiforni, di compiere “una stima di dettaglio delle giacenze di materie prime stoccate nell’Area Parchi e delle relative autonomie connesse all’esercizio degli impianti con riferimento all’attuale assetto produttivo”.
È stata chiesta, inoltre, “una stima di dettaglio dei flussi di massa in ingresso ed in uscita dell’Area Ghisa”. Una cosa è certa: la produzione a breve terminerà. Gli impianti resteranno in funzione soltanto per la loro messa in sicurezza e gli eventuali interventi di risanamento. Ammesso e non concesso che l’Ilva decida di farli: nel caso, come suggerito dal procuratore capo Franco Sebastio, servirebbero un qualcosa come duemila unità lavorative in più. Nel caso in cui Riva decidesse di vendere, sicuramente il nuovo acquirente, cinese o indiano che sia, difficilmente avrà bisogno dell’area a caldo: che dunque sarebbe eliminata con tutto il suo carico di inquinamento. Se invece Riva decidesse di chiudere baracca e burattini, ne servirebbero molti, ma molti di più per smontare pezzo dopo pezzo il mostro d’acciaio e iniziare una lunga ma fondamentale operazione di bonifica. Certo è che la storia del mostro d’acciaio si avvia ad una conclusione definitiva, seppur lenta. Perché la magistratura non si fermerà e andrà sino in fondo. E perché dubitiamo fortemente che il Governo deciderà di salvare un imprenditore amico, negando verità e giustizia ad un intero territorio.
Gianmario Leone (dal TarantoOggi dell’8 settembre 2012)