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Ilva, applausi a vuoto

TARANTO – La scorsa primavera, quando ancora il caso Ilva era interesse di pochissimi, era ancora oggetto dei tavoli tecnici regionali il piano di risanamento dell’aria di Taranto che ha come obiettivo la riduzione delle emissioni per quanto concerne il benzo(a)pirene e il PM10. Il 14 maggio si svolse la penultima riunione, al cui tavolo dovevano esserci anche i tecnici dell’Ilva, ma l’azienda del Gruppo Riva all’ultimo momento preferì disertare il tavolo. Ad Ilva, Eni e Cementir, le tre aziende più impattanti sul territorio ionico, la Regione aveva assegnato il compito di presentare entro la metà del mese di maggio, una proposta per la riduzione delle emissioni in relazione al proprio carico: ma l’Eni fu l’unica a partecipare in maniera attiva, presentando una serie di proposte in merito, andando anche al di là delle prescrizioni previste all’interno dell’AIA.

Ed alla luce degli eventi delle ultime 48 ore, non possiamo non ricordare ai tanti smemorati di oggi, la convenzione firmata dalla Regione Puglia con ARPA, Eni e Cementir il 10 settembre 2010, alla quale l’Ilva non prese parte visto che oppose un netto rifiuto alla richiesta di installare all’interno del siderurgico le centraline per la rilevazione delle emissioni, dopo l’approvazione della delibera di giunta con cui la Regione stanziò 318.000 euro e la legge regionale n. 3/2011, scritta dallo stesso Nicastro in collaborazione con i dirigenti del servizio ecologia e dell’ufficio inquinamento Antonello Antonicelli e Caterina Dibitonto, pensata proprio perché “nella città jonica le centraline dell’Arpa hanno da tempo evidenziato livelli non accettabili di benzo(a)pirene”. L’ex direttore dello stabilimento siderurgico, Luigi Capogrosso, attualmente ai domiciliari insieme ad Emilio e Nicola Riva, si era opposto all’installazione di nuove centraline per controllare l’inquinamento con il classico stile Ilva. “Figuriamoci se ce le facciamo mettere in casa” aveva dichiarato in una delle intercettazioni che sono confluite nell’inchiesta giudiziaria sull’Ilva, tramite il fascicolo “Ambiente Svenduto”.

Di fronte ad una gestione dell’azienda di siffatta classe, non fu una sorpresa per i periti chimici sottolineare nelle oltre 500 pagine della loro relazione peritale che per quanto riguarda i valori di emissioni di diossine, benzo(a)pirene e IPA di varia natura e composizione, PCB, polveri minerali ed altre sostanze ritenute nocive per la salute di persone ed animali nonché dannose per cose e terreni (sì da alterarne la struttura e possibilità di utilizzazione), che “relativamente alla conformità alle norme nazionali e regionali, i valori misurati alle emissioni dello stabilimento Ilva con gli auto controlli effettuati dal Gestore nell’anno 2010, risultano conformi sia a quelli stabiliti dalle precedenti autorizzazioni settoriali delle emissioni in atmosfera (ex Dpr 203/88) e sia ai valori limite previsti dal recente decreto di Aia del 5/08/2011”. Dal gestore, appunto. Perché subito dopo i periti chimici sottolineavano come “tali emissioni, però, in considerazione del fatto che, come dettagliato negli specifici capitoli, derivano da impianti dove sono svolte anche attività di recupero, mediante trattamenti termici, di rifiuti non pericolosi, ovvero materie prime secondarie, dovevano essere presidiate a partire dal 18 agosto 1999 da sistemi di controllo automatico in continuo dei parametri inquinanti previsti dal DM 5 febbraio 1998, modificato dal DM Ambiente 5 aprile 2006, n. 186 (…)”.

Concludendo che “allo stato attuale alle emissioni derivanti da questi impianti non sono installati i sistemi di controllo in continuo né viene verificato il rispetto dei limiti dei parametri inquinanti previsti dal DM 5 febbraio 1998, tali emissioni non risultano conformi a quanto previsto dalla normativa nazionale in materia di trattamento termico dei rifiuti. Inoltre, poichè ai suddetti camini non sono installati sistemi di controllo in continuo di emissioni, non c’è alcun elemento che dimostri il rispetto dei limiti previsti dall’articolo 216, comma 1, 2 e 3 del D.Lgs. 152/2006 (…)”.

Oggi, invece, dopo i provvedimenti del GIP e la neo presidenza dell’Ilva affidata a Bruno Ferrante, tutti si rallegrano dell’avvenuto cambio di atteggiamento da parte dell’azienda. E così, nella tarda serata di giovedì, a conclusione del tavolo tra Arpa Puglia e Ilva, l’azienda ha confermato gli impegni presi nell’incontro avvenuto nella sede Regione Puglia lo scorso 6 agosto, in merio al monitoraggio in continuo delle diossine al camino E312 che sarà operativo entro settembre e in relazione al monitoraggio del perimetro dello stabilimento. Addirittura l’Ilva ha accettato l’installazione di 6 nuove centraline a fronte delle 4 previste inizialmente. Secondo il progetto ideato da Regione, ARPA Puglia e Ilva, le centraline serviranno per tenere sotto controllo l’aria nelle immediate vicinanze dello stabilimento.

In particolar modo le nuove installazioni, a supporto di quelle già presenti, dovranno monitorare gli Idrocarburi Policiclici Aromatici (IPA) totali con distinzione del benzo(A)pirene, le polveri sottili (Pm10 e Pm2,5), il benzene, le poveri totali depositabili e le diossine depositate al suolo attraverso l’uso di deposimetri. Nel dettaglio, due centraline monitoreranno l’area delle cokerie, mentre le altre quattro verranno installate ai quattro punti cardinali del siderurgico. Il tutto dovrebbe entrare in funzione non appena espletati i tempi tecnici di installazione delle stesse. Regione e ARPA sono soddisfatte, ma dimenticano che per anni l’Ilva ha snobbato con alterigia e presunzione quelle stesse operazioni che oggi vengono esposte sull’altare del rinnovato rapporto tra azienda e istituzioni. Volutamente ignorando che senza l’azione della magistratura, il tutto non avrebbe mai visto la luce. Così come per quanto concerne l’accordo con i custodi giudiziali per installare, nelle aree sequestrate, le telecamere di videosorveglianza e tenere sott’osservazione, nelle 24 ore, quello che accade nell’Ilva e quindi anche le emissioni diffuse e fuggitive. L’azienda avrebbe dovuto presentare entro questo mese lo studio di fattibilità per tale operazione, perché obbligata da una prescrizione inserita nell’AIA del 2011. Limite temporale che non sarebbe mai stato rispettato: perché l’Ilva è sempre stata al di sopra delle leggi. Grazie alla connivenza di tanti. Che continua ancora oggi. Nonostante tutto.

Restano infatti evidenti, ad esempio, le criticità sul PM10, che nella centralina di via Machiavelli ha già superato i 35 giorni di sforamenti annuali previsti dalla legge. L’ARPA ha sottolineato il contributo decisivo in tal senso, delle polveri provenienti dai 75 ettari dei parchi minerali e ferrosi che giacciono all’interno del siderurgico a cielo aperto da sempre: e che l’azienda si rifiuterà sempre di coprire. Stesso discorso per il benzo(a)pirene, che ha superato il valore obiettivo di un nanogrammo per metro cubo nel triennio 2009-2010-2011. Elemento altamente cancerogeno, che peraltro ha un sistema di rilevamento alquanto curioso e approssimativo: viene effettuato un monitoraggio attraverso una serie di filtri in un certo numero di giorni a campione.

I diversi filtri vengono poi uniti e da qui si estrae il risultato: in pratica, una specie di lotteria. Che negli ultimi tre anni l’Ilva ha sempre perso, pur avendo dalla sua il jolly fornitole dal Decreto Legislativo 155 dell’agosto 2010, che rinviava al 31 dicembre 2012, l’obbligo di rispettare il valore obiettivo di questo cancerogeno che appartiene alla famiglia degli IPA. Per non parlare del campionamento in continuo delle emissioni di diossina e furani provenienti dal camino E312. Che da quest’anno, per via dell’AIA, è passato di competenza all’ISPRA. Dal 1 gennaio ad oggi non ci risulta alcun campionamento: dunque non sapremo mai quanta diossina è uscita da quel camino. E pensare che grazie agli strabilianti risultati delle quattro campagne dello scorso anno, Regione, ARPA ed Ilva brindarono all’avvenuta scomparsa del problema diossina a Taranto. Oggi celebriamo l’installazione di 6 centraline che dovevano essere presenti all’interno dell’Ilva dal lontano 1998 per tenere sotto controllo quelle emissioni che per anni hanno avvelenato e ucciso. Ed oggi c’è chi si rallegra e plaude alla nuova linea dell’azienda. Ma la clessidra della storia, anche se lentamente, scorre inesorabile. Arriverà un giorno in cui questi resteranno soltanto brutti ricordi lontani.

Gianmario Leone (dal TarantoOggi del 31 agosto 2012)

 

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