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Olio extravergine made in Ilva, ecco i retroscena. Intervista a Vincenzo Fornaro


TARANTO
-L’Ilva, il più grande siderurgico d’Europa, non ha prodotto solo acciaio (e veleni), ma anche olio extravergine di oliva. Ciò che a qualcuno potrebbe suonare come una battuta corrisponde a verità. La notizia è stata riportata in un articolo della collega Fabiana Di Cuia, pubblicato su InchiostroVerde lo scorso 27 agosto. Ed ironia della sorte, un’ulteriore conferma arriva da Vincenzo Fornaro, uno degli allevatori che ha dovuto assistere all’abbattimento dei suoi capi di bestiame  a causa della contaminazione da diossina che secondo quanto indicato dai periti chimici incaricati dal gip Patrizia Todisco, nell’ambito dell’inchiesta sull’inquinamento Ilva, proverrebbe proprio dall’area a caldo del siderurgico.

«L’azienda di mio padre – ricorda Vincenzo Fornaro – aveva la cura degli uliveti di proprietà dell’Italsider, quando era ancora statale: uno in contrada Feliciolla, sulla strada per Statte, l’altro sulla strada per Massafra, alle spalle dell’hotel Terminal Jonio, nei dintorni dello stabilimento. Dopo l’avvento di Riva, intorno al 1998, siamo passati al comodato d’uso. Noi gestivano i terreni, raccoglievamo le olive e poi consegnavamo l’olio prodotto ad Ilva Spa. Inizialmente, pare che tale olio fosse mandato a Milano, forse per degli omaggi. In seguito è stato utilizzato per le cucine dello stabilimento. Fornivamo circa 3 quintali di olio ogni 30/40 giorni».

Per quanto tempo avete fornito l’olio all’Ilva?

«Fino al dicembre del 2007, quando abbiamo ricevuto una lettera con cui l’azienda metteva fine al comodato d’uso».

Poi è scoppiato il caso del formaggio alla diossina, con tutto ciò che ha comportato per voi ed altri allevatori: un totale di 2.271 capi di bestiame abbattuti.

«Sì, il caso è scoppiato nel febbraio del 2008. Poco dopo, ad aprile, abbiamo consegnato le chiavi degli uliveti al dirigente dell’Ilva Girolamo Archinà».

In seguito l’azienda si è più messa in contatto con voi?

«No, nessun rapporto. Tra l’altro, Archinà ci disse che probabilmente la contaminazione da diossina nei nostri allevamenti proveniva dall’ ex Matra, stabilimento che operava sul territorio di Statte. La perizia dei chimici, elaborata nell’ambito dell’inchiesta sull’inquinamento Ilva, però, ha detto un’altra cosa: che il profilo delle diossine riscontrate nei capi di bestiame abbattuti corrisponde a quella emessa dall’impianto di agglomerazione dell’Ilva. Hanno confermato, quindi, le valutazioni del nostro perito, il prof. Stefano Raccanelli, direttore del Laboratorio Microinquinanti Inca di Venezia, già consulente del pm Felice Casson al processo sul petrolchimico di Porto Marghera».

E adesso la Procura di Taranto vuole accertare anche la provenienza delle diossine contenute nelle cozze del primo seno di Mar Piccolo…

«Sì, se dovesse essere accertata la responsabilità dello stabilimento anche per i mitili non cambierebbe nulla dal punto di vista dei capi di imputazione, in quanto si rientrerebbe sempre nel reato di avvelenamento di sostanze alimentari, ma avrebbe effetti rilevanti sull’entità dei risarcimenti».

Alessandra Congedo

29.08.2012

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Link correlato: https://www.inchiostroverde.it/news/8206.html

Nella prima foto l’etichetta utilizzata per il trasporto dell’olio.

Nella seconda immagine uno scorcio del terreno dell’Ilva.

 

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