Ilva, un’Aia non la salverà
TARANTO – La commissione IPPC-AIA riunitasi lunedì per dare il via ai lavori che dovranno portare alla terza Autorizzazione integrata ambientale (AIA) per l’Ilva, procede a tappe forzate nell’analisi dei documenti e degli impianti del siderurgico, facendo la spola tra gli uffici della Prefettura di Taranto e l’Ilva, con l’obiettivo di concludere l’istruttoria a fine settembre, per poi svolgere la Conferenza dei Servizi il 15 ottobre, come annunciato dal ministro dell’Ambiente Corrado Clini, al termine del vertice dello scorso 17 agosto. Il programma di lavoro prevede un “approfondimento su migliori tecnologie, impianti, gestione ambientale e monitoraggio”: lunedì c’è stata l’analisi delle migliori tecnologie (le Best Available Technologies – BAT), mentre ieri è stato il turno delle cokerie: oggi toccherà agli impianti dell’agglomerato, domani all’acciaieria. Sarà interessante conoscere i pareri e leggere le relazioni che la commissione stilerà in merito ai due reparti più inquinanti dello stabilimento siderurgico: le cokerie e l’impianto di agglomerazione. Le prime sono responsabili del 92% delle emissioni di Idrocarburi Policiclici Aromatici (IPA) che vengono emessi nell’aria di Taranto (così come stabilito dall’ARPA Puglia nella relazione del 4 giugno del 2010): è bene inoltre ricordare come tra gli IPA vi sia il famoso e pericoloso cancerogeno benzo(a)pirene, il cui valore obiettivo di 1 nanogrammo per metro cubo nelle centraline dell’ARPA presenti al rione Tamburi è stato superato negli anni 2009, 2010, 2011.
L’impianto di agglomerazione è invece il principale emettitore di diossine e furani dello stabilimento siderurgico. Per capirci, parliamo di quel reparto che i periti chimici nella loro relazione hanno accertato essere il responsabile della contaminazione da diossina e Pcbdl: “l’esame dei profili dei congeneri PCDD/PCDF e PCBdl analizzati e riscontrati nelle matrici suolo, aria ambiente e bioindicatori prelevati nelle aree urbane, agricole e i terreni adiacenti l’insediamento Ilva, hanno evidenziato un’elevata correlazione tra i profili riscontrati nei campioni prelevati presso lo stabilimento di Ilva Spa, area agglomerazione, quali quelli delle polveri abbattute dagli elettrofiltri ESP e MEEP e quelle prelevate nei campionamenti ambientali effettuati in prossimità del reparto, risultando invece meno evidente il contributo di quanto emesso in atmosfera dall’emissione E312 AGL2, in quanto caratterizzato da profili di congeneri PCDD/PCDF diversi”.
Entrambi i reparti sono stati oggetto prima delle indagini, poi del sequestro preventivo dell’ordinanza del GIP Patrizia Todisco. Poi i lavori della commissione riprenderanno il 3 settembre ancora con le Bat, il 4 con le analisi regionali del Piano di risanamento dell’aria, il 5 settembre con il parco minerali, il 6 con il sistema di gestione ambientale. Infine, il 12 settembre ancora le BAT, il 13 il sistema di monitoraggio; 14 (giorno in cui arriverà nuovamente Clini in riva ai Due Mari), 18, 19, 20 una serie di riunioni tecniche. Ricordiamo che il gruppo istruttore formato da otto membri, il cui referente é Antonio Fardelli, potrà contare su un gruppo di supporto formato da 12 componenti, tra cui personale del ministero dell’Ambiente e del ministero dello Sviluppo economico, del Cnr, dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA) e dell’Istituto superiore di sanità (ISS). In pochissimi però hanno capito una cosa semplicissima: che questa Autorizzazione, che ribadiamo per l’ennesima volta altro non sarà che il riesame di quella concessa nell’agosto 2011, non risolverà nella sostanza i problemi di cui soffre l’Ilva di Taranto. Non l’ha capito il governo nelle figure del Ministro dell’Ambiente Corrado Clini (che ieri ha dichiarato come la nuova Marghera non sarà un’Ilva 2) e del Ministro dello Sviluppo Economico Corrado Passera, che pensa di poter rabbonire i bollenti spiriti della magistratura tarantina, scrivendo una nuova AIA in appena 30 giorni. Come dimostrano le nuove dichiarazioni rilasciate ieri dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Antonio Catricalà, che ha assicurato come il governo “non abbandonerà Taranto”: dimenticando che lo Stato ci ha abbandonato oramai da decenni.
“Noi siamo interessatissimi all’Ilva di Taranto, e soprattutto alla salute dei cittadini e all’ambiente. Il Tribunale della libertà ha confermato la nostra tesi e cioè che si possono garantire i diritti costituzionali con il diritto al lavoro. Siamo fortemente motivati e credo che arriveremo a una soluzione che soddisferà pienamente la magistratura”. Il buon Criticalà non ha afferrato un semplice concetto di base: la magistratura non è alla ricerca di soddisfazioni, bensì di reati. E li ha anche trovati a decine nell’Ilva di Taranto. E quelli dovrà perseguire. Stesso discorso per il vicepresidente della Commissione europea responsabile per l’industria ed imprenditoria Antonio Tajani, il quale sempre ieri ha annunciato che “l’Unione europea ha elaborato un piano a sostegno dell’acciaio in Europa. Pronti incentivi per sostenere il settore delle costruzioni e dell’auto, principali clienti dell’industria siderurgica, con l’aiuto della Banca europea degli investimenti”. A proposito della vicenda Ilva, Tajani ha dichiarato che sarà presente al tavolo istituzionale voluto dal governo italiano per discutere di come “l’Unione europea possa partecipare alla riconversione degli stabilimenti e pensare a un’azione forte per ridurre le emissioni e l’inquinamento a tutela della salute dei cittadini”.
Dando per assodato che il Gruppo Riva sarà disposto a sborsare i miliardi di euro che serviranno per dare un futuro al più grande siderurgico europeo, che non potrà essere salvato nemmeno in caso di arrivo di finanziamenti da parte della BEI (Banca Europea Investimenti), come ad esempio avvenuto con la Cementir di proprietà della famiglia Caltagirone, che per il nuovo impianto di Taranto ha ricevuto un finanziamento di 90 milioni di euro. Ma i finti sordi sono presenti in elevatissimo numero anche dalle nostre parti. Sempre ieri infatti, i sindacati metalmeccanici hanno incontrato i custodi giudiziari per fare il punto della situazione. Ed hanno scoperto due semplici ovvietà, che soltanto chi per anni è stato dalla parte dell’azienda ed oggi tenta disperatamente di salvare un briciolo della proprio dignità, poteva stoltamente ignorare. I custodi giudiziari infatti, hanno sottolineato ai sindacati presenti da anni all’interno dello stabilimento, che invece di portare gli operai per strada, gridare ai quattro venti il disastro che comporterebbe la chiusura dello stabilimento, mettessero al servizio degli stessi custodi la loro esperienza, per velocizzare le operazioni di analisi della reale situazione dello stato degli impianti sequestrati.
Seconda ovvietà scoperta dai sindacati nell’incontro di ieri: che la chiusura degli impianti dell’area a caldo è considerata come l’ultima soluzione praticabile. E che tutto dipenderà dalla reale volontà dell’azienda di investire. Ribadendo che a decidere il destino dell’Ilva saranno comunque loro insieme alla Procura di Taranto. Né le istituzioni, né il governo, né l’Unione Europea, né i sindacati. La partita, dunque, la giocano in due: il gruppo Riva da un lato e la magistratura dall’altro. Tutti gli altri sono e saranno sempre dei semplici comprimari. Infine, stendiamo un velo sia sul Partito democratico tarantino che il 28 agosto del 2012 si è accorto che la salute dei tarantini viene prima di tutto: ogni commento da indirizzare a personaggi politici del calibro di Pelillo e Florido è del tutto superfluo. Così come salutiamo con un sorriso di tenerezza, vista l’avanzata età, all’ultima boutade del cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente della Cei, che ha parlato della vicenda dell’Ilva a margine del pellegrinaggio della vigilia della festa della Madonna della Guardia.
“Auspico che il serissimo problema del lavoro possa essere coniugato nel modo giusto, migliore ed equo con il serissimo problema della salute. Questo equilibrio non può andare a scapito dell’uno o dell’altro valore che non andrebbero assolutamente messi in contrapposizione: è evidente che tra Taranto e Genova c’è un collegamento”. Eccome se c’è, visto che nel 2006 le lavorazioni dell’area a caldo del capoluogo ligure vennero spostate proprio in riva allo Ionio. A Genova nel 2002 vennero chiuse le cokerie per il loro impatto sulla salute, in particolare nel quartiere di Cornigliano, nelle cui vicinanze sorge lo stabilimento siderurgico. Uno studio epidemiologico evidenziò una relazione tra polveri respirabili (diametro inferiore od uguale a 10 micron o PM10) emesse dagli impianti siderurgici ed effetti sulla salute. Lo studio epidemiologico attestò che nel quartiere di Cornigliano nel periodo 1988-2001, la mortalità complessiva negli uomini e nelle donne risultò costantemente superiore al resto di Genova. Nel luglio 2005 fu spento anche l’altoforno numero 2 dello stabilimento di Cornigliano. Difficilmente l’Ilva di Taranto avrà un destino diverso.
Gianmario Leone (TarantoOggi del 29 agosto 2012)