TARANTO – C’è qualcosa di profondamente triste e allo stesso tempo comico, in quello che sta avvenendo in questi giorni a Taranto. Assistiamo infatti da un lato ai goffi tentativi di uno Stato alle prese con il disperato obiettivo di salvare una delle aziende che compongono la spina dorsale della oramai vetusta economia industriale italiana; dall’altro, ad un gruppo che non pare troppo preoccupato da quanto sta accadendo al colosso di sua proprietà che ha contribuito in maniera determinante alla ricchezza di cui gode oggi la famiglia Riva. Nonostante i pesantissimi provvedimenti della magistratura tarantina (dagli arresti domiciliari al sequestro preventivo di ben sei aree del siderurgico, ovvero quell’area a caldo che rappresenta insieme ai parchi minerari il cuore pulsante dell’azienda), supportati da giudizi senz’appello nei confronti dei dirigenti e da perizie che hanno sconfessato definitivamente le innumerevoli bugie ed omissioni della stessa e dei suoi degni sodali rappresentati da istituzioni, sindacati e classe imprenditoriale tarantina (con la benedizione della Curia), quella vecchia volpe di Emilio Riva assiste sornione a tutto ciò che avviene in riva alla città dei Due Mari.

Nel mentre il ministero dell’Ambiente ha dato proprio ieri il via ai lavori della commissione di esperti incaricati dal Ministro Clini, che dopo aver acquisito tutti gli elementi tecnici dovrà predisporre entro il 30 settembre lo schema di Autorizzazione Integrata Ambientale per l’esercizio dello stabilimento, in quel di Milano, attendono. D’altronde, seppur al minimo dell’esercizio, gli impianti continuano a produrre per portare a termine le commesse. Così come la partita giudiziaria iniziata con la magistratura tarantina è ancora lungi dall’essere conclusa. Intanto, si è messo mani al portafogli sborsando 146 milioni, che per il gruppo Riva rappresentano una specie di beneficienza, per dare un segnale di “cambiamento”. Che poi quei finanziamenti serviranno a coprire interventi già previsti nella vecchia AIA, a cominciare dall’installazione delle centraline per tutto il perimetro dell’area a caldo per cui l’azienda si è ben guardata dal presentare lo studio di fattibilità che le era stato prescritto un anno fa, poco importa. Tanto, male che vada, quando al gruppo Riva sarà presentato il conto degli investimenti per attuare le prescrizioni che verranno fuori dal riesame dell’AIA, si potrà sempre ribattere con un bel “no, grazie”, o magari, tentare l’ennesimo ricorso al TAR di Lecce.

Non è un caso infatti, se in questi giorni abbiamo più volte sottolineato i nostri dubbi in merito all’utilità di aggiornare l’AIA all’Ilva. Un’azienda del tutto fuori legge, che non possiede i parametri per continuare a produrre così come avviene ancora oggi. Che ha operato per anni perseverando nell’errore in maniera del tutto consapevole, solo per risponde alla logica del profitto fine a se stessa, che poi altro non è che la logica imperante del libero mercato. Che ha avvelenato in primis i polmoni e la vita dei suoi stessi operai. Consapevoli del dramma da loro stessi vissuto e che hanno contribuito a creare perché lasciati soli da istituzioni e sindacati. Un’azienda che avrà per sempre sulla coscienza un numero che resterà a vita indefinito di ammalati, oltre che di morti. E che opera in un mercato nel quale tra una decina d’anni rischia di diventare l’ultima ruota del carro, perché i concorrenti degli altri paesi viaggeranno a ritmi di produzione insostenibili.

Una fabbrica che andrebbe semplicemente ricostruita per intero, o che comunque andrebbe stravolta per intero nel suo ciclo produttivo. Per fare tutto questo ci vorrebbero miliardi di euro, oltre che svariati anni. Eppure, pur consapevoli di tutto ciò, le nostre istituzioni, anche a costo di scatenare uno scontro senza precedenti con la magistratura, proseguono per la loro strada. Nominando un gruppo di esperti che sarà integrato da altrettanti esperti dei vari ministeri interessati (Sviluppo Economico, Salute, Istituto Superiore per la Ricerca e la Protezione Ambientale, Istituto Superiore di Sanità e Arpa Puglia): il tutto per riesaminare l’AIA rilasciata il 4 agosto 2011, che si è rivelato essere un documento del tutto inadatto, oltre che pesantemente condizionato da interessi di ogni sorta. Difeso a spada tratta la scorsa estate da istituzioni e sindacati che oggi giocano sulla memoria corta, sul menefreghismo e sull’ignoranza in materia di migliaia di persone. Un documento, quello che dovrebbe approdare il prossimo 15 ottobre nella Conferenza dei Servizi, che dovrà basarsi sulle migliori tecnologie per gli impianti siderurgici indicata dalla Commissione Europea (BAT) e delle prescrizioni del GIP di Taranto.

La nuova AIA dovrà anche tenere conto delle osservazioni del TAR Lecce in merito alla precedente autorizzazione e delle norme regionali in materia di protezione della qualità dell’aria e della salute. Il gruppo di lavoro ed il gruppo istruttore procederanno attraverso una verifica costante presso la sede dello stabilimento ILVA. Il prossimo 14 settembre invece, il Ministro Clini sarà a Taranto per fare il punto sullo stato dei lavori ed incontrare le associazioni che hanno richiesto di essere sentite e che potranno essere coinvolte in analogia a quanto avvenuto in passato in sede di Conferenza dei Servizi, e che già ieri, nelle vesti di Legamjonici e Peacelink, hanno espresso i loro dubbi sulla vicenda.

Come non bastasse, a delineare un orizzonte cupo, ci ha pensato l’assessore regionale all’Ambiente Nicastro, che ha sottolineato come la commissione IPPC-AIA e la Regione mirino al raggiungimento di “un obiettivo comune”: il che la dice lunga su quel che ci attende. Chi prova a destreggiarsi in questo ennesimo ginepraio, è l’ARPA Puglia, che partecipa alla riunione della commissione incaricata di riesaminare l’autorizzazione: attraverso una nota ufficiale datata 20 agosto, ha chiesto che vengano “riconsiderarti compiutamente tutti gli aspetti che non hanno trovato applicazione nella vecchia autorizzazione integrata ambientale a partire dai pareri espressi già nel 2009 e nel 2011”.

L’Arpa chiede che siano introdotte nella nuova autorizzazione tutte le prescrizioni tecniche contenute nell’ordinanza del gip e “opportunamente prescritto” tutto quanto previsto nella deliberazione della giunta regionale a luglio con cui è stato adottato il Piano per il risanamento dell’aria per gli inquinanti benzo(a)pirene e pm10 (i tristemente famosi “wind days”, giorni di forte vento in cui l’Ilva, non si sa in che modo, dovrebbe diminuire in un istante la produzione del 10% e l’altezza dei cumuli dei minerali del 19%: un’impresa da guinnes dei primati). Nel documento predisposto da Arpa Puglia, ci sono altri 10 punti di prioritaria importanza tra cui, udite udite, la copertura dei parchi minerari secondo le migliori tecniche disponibili “considerata la fattibilità tecnica e vista la disponibilità dichiarata dal gestore dall’implementazione di importanti innovazioni degli impianti e dei processi al fine di mitigare gli impatti ambientali e sanitari”: ma non era impossibile coprirli?

Tutto questo e tanto altro ancora, dovrebbe avvenire nel giro di appena un mese. Intanto, domani pomeriggio, all’interno dello stabilimento Ilva di Taranto, i custodi giudiziari incontreranno i leader sindacali dei metalmeccanici. I quali soffrono della smania di sentirsi considerati, sempre e comunque. Vogliono essere aggiornati sullo stato degli impianti, quando dovrebbero essere loro a dire come stanno realmente le cose. Inoltre, vogliono anche conoscere le decisioni che prenderanno custodi e Procura: siamo davvero all’incredibile.

Dopo aver spacciato per anni l’esistenza di un’azienda eco-compatibile grazie ad oltre un miliardo di investimenti per l’ambiente, dopo aver difeso l’AIA, sbeffeggiato società civile e inizialmente sfidato la magistratura, oggi recitano la parte di coloro nulla sapevano. Per una volta, potrebbero seguire l’esempio di moltissimi politici locali che sono stati misteriosamente inghiottiti da un silenzio tombale sulla vicenda Ilva. E in attesa che questa mattina i giudici del Riesame si pronuncino sull’incidente di esecuzione presentato dall’Ilva, con cui si chiede di valutare se il gip Patrizia Todisco aveva competenza funzionale ad emettere le due ordinanze con cui ha specificato le competenze dei custodi giudiziari, precisato che il sequestro non prevede la facoltà d’uso e soprattutto revocato la nomina di custode amministrativo del presidente Ilva Ferrante, decisa dal tribunale del Riesame, ribadiamo la nostra semplice ricetta: nessuna AIA all’Ilva; chiedere alla stessa e allo Stato il risarcimento danni per quanto fatto in decenni di siderurgia; dare il via al lungo lavoro delle bonifiche e nello stesso tempo dare vita ad un cospicuo piano di finanziamento per tutte quelle alternative economiche che il nostro territorio possiede grazie alle sue risorse innate donateci da Madre Natura.

Gianmario Leone (dal TarantoOggi del 28 agosto 2012)

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