Ilva, al via i lavori per la nuova Aia
TARANTO – La commissione per quella che viene definita la “nuova” Autorizzazione integrata ambientale (AIA) per l’Ilva, da questa mattina sarà al lavoro negli uffici della Prefettura di Taranto, con l’obiettivo di concludere l’istruttoria a fine settembre, per poi svolgere la Conferenza dei Servizi il 15 ottobre, come annunciato in pompa magna dal ministro dell’Ambiente Corrado Clini, al termine del vertice dello scorso 17 agosto. Il programma di lavoro prevede un “approfondimento su migliori tecnologie, impianti, gestione ambientale e monitoraggio”: nel gruppo di supporto alla commissione ci sarà anche una figura per i rapporti con l’Ue. E’ stato anche stilato il crono programma dei lavori della commissione guidata da Carla Sepe: il 27 agosto analisi delle migliori tecnologie (le Best Available Technologies – Bat), il 28 si passa alle cokerie, il 29 agli impianti dell’agglomerato, il 30 all’acciaieria. Poi, il 3 settembre ancora le Bat, il 4 le analisi regionali del Piano di risanamento, il 5 settembre il parco minerali, il 6 il sistema di gestione ambientale. Infine, il 12 settembre le Bat, il 13 il sistema di monitoraggio; 14, 18, 19, 20 una serie di riunioni tecniche.
Per il 15 ottobre é prevista la Conferenza dei servizi. Il gruppo istruttore é formato da otto membri, il referente é Antonio Fardelli. La commissione potrà contare su un gruppo di supporto di 12 componenti, tra cui personale del ministero dell’Ambiente e del ministero dello Sviluppo economico, del Cnr, dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA) e dell’Istituto superiore di sanità (ISS). Questa Autorizzazione, che altro non sarà che il riesame di quella concessa nell’agosto 2011, secondo quanto annunciato dal ministro Clini, dovrà assumere come riferimento l’impiego delle migliori tecnologie disponibili indicate dall’Ue e le prescrizioni indicate nell’ordinanza di sequestro preventivo degli impianti firmata dal gip di Taranto Patrizia Todisco, basatasi sulla relazione dei periti chimici, che hanno come obiettivo finale la sicurezza degli impianti. Ricordiamo inoltre che il riesame sulla precedente AIA, era stato avviato già a marzo di quest’anno a conclusione dell’incidente probatorio lo scorso 30 marzo, quando la Procura depositò la perizia degli epidemiologi. Secondo quanto sostenuto dal ministro Clini, la commissione per la nuova AIA dovrà essenzialmente occuparsi delle “prescrizioni ambientali senza pregiudizio per la continuità produttiva, incorporando il riferimento alle prescrizioni del gip di Taranto per la sicurezza degli impianti e introducendo le modifiche necessarie per superare le obiezioni del Tar”.
Ciò detto, continuiamo a non capire il perché lo Stato debba concedere all’Ilva quella che per molti appare come una seconda possibilità. Ma che invece altro non è che l’ennesima ancora di salvezza, forse l’ultima, ad un’azienda che per anni e anni ha commesso una serie infinita di reati, oltre ad aver avvelenato un intero territorio, contribuendo in modo sistematico e massivo alla diffusione di malattie e morti. Non si capisce nemmeno, tra l’altro, come sia possibile rilasciare un’AIA in così poco tempo. Il sospetto più che fondato è che si voglia semplicemente applicare qualche aggiustamento al precedente decreto ministeriale e null’altro: altro che inserire tutte le prescrizioni della Gip. Per aprire una nuova istruttoria, infatti, ci vuole del tempo. Oltre al fatto che poi bisogna anche produrre le linee guida di recepimento delle BAT pubblicate dalla Commissione Ue: soltanto per questo è necessario insediare una commissione interministeriale e produrre un decreto di recepimento della direttiva sull’AIA.
Ma poi: un’azienda che ha presentato ricorso al TAR contro alcune delle prescrizioni inserite nella precedente Autorizzazione perché ritenute troppo restrittive, come potrà mai accettarne di buon grado una nuova che si presume debba essere ancora più “severa” della precedente? Non è un caso ad esempio, se il presidente dell’Ilva Bruno Ferrante al termine della riunione del Cda riunitosi nella sede legale di Milano sabato scorso per dare via libera all’utilizzo dei 146 milioni stanziati come prima trance per accelerare l’iter della salvaguardia ambientale dello stabilimento siderurgico di Taranto, abbia dichiarato che affinché l’Ilva metta in cantiere altri interventi economici, si attenderanno gli esiti della procedura di revisione dell’AIA per ipotizzare una disponibilità economica aggiuntiva ed il crono programma degli interventi richiesti. Inoltre, la stessa Ilva ha dato ampia dimostrazione di possedere impianti non a norma, per questo non in grado di rispettare le prescrizioni della precedente autorizzazione. Basta prendere ad esempio l’attività di monitoraggio dell’area a caldo del siderurgico come richiesto dai custodi giudiziari, che riguarderà “sia la parte esterna dello stabilimento sia la parte interna dei singoli impianti”, a cui l’azienda ha dato il suo benestare.
Ma nelle 462 prescrizioni dell’AIA rilasciata ad Ilva il 4 agosto 2011, era stata già prescritta la presentazione entro 12 mesi (ovvero questo mese) dello “studio di fattibilità per l’installazione di un sistema di monitoraggio a videocamera in varie postazioni strategiche all’interno dell’impianto (cokeria, altoforno, acciaieria, eccetera) per monitorare potenziali sorgenti di emissioni convogliate e non convogliate, anche legate a malfunzionamenti di apparecchiature e/o anomalie di processo, secondo le indicazioni dettagliate nel piano di monitoraggio e controllo”: tanto è scritto a pag. 825 dell’autorizzazione. Soltanto in questi giorni però, l’azienda si è improvvisamente accorta che l’attività di monitoraggio “va potenziata: dobbiamo muoverci tempestivamente e rapidamente proprio su questo punto”. Così come erano sempre dodici i mesi di tempo per studiare un progetto capace di “ridurre gradualmente le emissioni diffuse di polveri di almeno il 50% entro 5 anni”. La precedente AIA, seppur carente e a maglie più che larghe, passava in rassegna tutti i settori dell’impianto, definendo le correzioni da apportare: “le attività di manutenzione dei forni coke”, ad esempio “dovranno essere raddoppiate”.
Si prescriveva di “eseguire, con frequenza semestrale, il monitoraggio delle emissioni diffuse di polveri da tutte le torri”, “costruire di punti di aspirazione per le polveri”, “ridurre i consumi idrici del 20% entro 3 anni e del 50% entro 6”, rispettare i limiti sui “valori delle sostanze inquinanti presenti negli scarichi degli impianti di trattamento acque”. E ancora: “Per ciascun impianto di gestione dei rifiuti deve essere predisposto un piano di ripristino ambientale che garantisca il recupero del relativo sito una volta cessata l’attività”, avendo cura di “attivare procedure per una regolare ispezione e manutenzione delle aree di stoccaggio” e di “adottare tutte le cautele per impedire la dispersione di polveri”. L’autorizzazione, come detto, non mancava di punti deboli: una serie di formule vaghe che mettevano e mettono in serio dubbio la rigidità e la reale efficacia delle prescrizioni che verranno anche nella nuova AIA. Esempio: “I rifiuti prodotti devono essere preferibilmente recuperati nel ciclo produttivo”; “si prescrive un’accurata manutenzione e pulizia dei forni”, “mantenere in buono stato il canale gas” e il coke “a un giusto livello di umidificazione”. Ma nessuno è in grado di dire se ed in che modo queste prescrizioni (o i loro studi di fattibilità) siano state varate dall’Ilva durante questo anno.
Tra l’altro molti pensano, erroneamente, che l’AIA annunciata dal Ministro dell’Ambiente sia la seconda per l’Ilva: così non é. Perché quella che dovrebbe arrivare entro i prossimi due mesi, sarà la versione numero tre di autorizzazione per l’azienda del gruppo Riva. L’ex Ministro dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo infatti, utilizzò alcuni documenti che contenevano osservazioni al primo parere di Aia per respingerla, rimettendola alla Commissione il 12 gennaio 2010. Nell’agosto dello scorso anno fu concessa la seconda versione, ora ne avremo una terza. Il tutto, unicamente per salvare il più grande siderurgico europeo e la sua produzione, “vitale” per il sistema economico italiano. Mentre si continua ad ignorare il fatto che stiamo parlando di un’azienda che ha il cuore del suo esercizio sequestrato, sul cui futuro dovrà decidere un gruppo di custodi giudiziari nominati dalla Procura di Taranto. Ammesso e non concesso che l’attuale proprietà non decida di staccare la spina alle varie macchine, rispetto a quanto già previsto, con largo anticipo, dalla stessa famiglia Riva.
Gianmario Leone (TarantoOggi del 27 agosto 2012)