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PM10, continuano gli sforamenti nel quartiere Tamburi

TARANTO – Proseguono senza soluzione di continuità gli sforamenti dei valori di PM 10 sopra il limite di legge (50 µg/m3) nel quartiere Tamburi. La centralina situata in via Machiavelli infatti, dal 1 gennaio a giovedì 23 agosto, ha registrato per ben 33 giorni valori oltre la media: ricordiamo che il limite massimo di sforamenti annuali consentiti dalla legge è di 35. Pessimi anche i dati della centralina di via Archimede, sempre nel rione Tamburi: qui i giorni in cui si è registrato un valore superiore di PM 10 nell’area ammontano a 24. E alla fine dell’anno corrente mancano ancora ben quattro mesi. Lo scorso anno, le due centraline di monitoraggio che sono le più vicine all’area industriale, registrarono 40 sforamenti giornalieri in via Archimede e 45 in via Machiavelli. Sempre per quanto riguarda il PM 10, la centralina di via Machiavelli possiede attualmente anche il triste record di sforamenti giornalieri maggiori rispetto a tutto il resto della Puglia. Il che la dice lunga su quale sia ancora oggi la realtà dei fatti in merito all’inquinamento ambientale prodotto dall’Ilva.

Ricordiamo che i periti Annibale Biggeri, docente ordinario all’università di Firenze e direttore del centro per lo studio e la prevenzione oncologica, Maria Triassi, direttore di struttura complessa dell’area funzionale di igiene e sicurezza degli ambienti di lavoro ed epidemiologia applicata dell’azienda ospedaliera universitaria Federico II di Napoli, e Francesco Forastiere, direttore del dipartimento di Epidemiologia dell’Asl di Roma, incaricati dal GIP Patrizia Todisco, nell’ambito dell’incidente probatorio sull’llva chiesto dal procuratore capo Franco Sebastio, dall’aggiunto Pietro Argentino e dal sostituto Mariano Buccoliero, nella loro relazione peritale scrissero quanto segue: “Nei sette anni considerati, per Taranto nel suo complesso, si stimano 83 decessi attribuibili ai superamenti del limite Oms di 20 microgrammi al metro cubo per la concentrazione annuale media di Pm10. Nei sette anni considerati per i quartieri Borgo e Tamburi si stimano 91 decessi attribuibili ai superamenti Oms di 20 microgrammi al metro cubo per la concentrazione annuale media di PM10”.

E ancora nei sette anni considerati per Taranto “si stimano – sempre secondo la perizia – 193 ricoveri per malattie cardiache attribuibili ai superamenti del limite Oms di 20 microgrammi al metro cubo per la media annuale delle concentrazioni di Pm10 e 455 ricoveri per malattie respiratorie”. Attenzione però: perché i periti hanno preso come riferimento il limite di 20 microgrammi al metro cubo indicato dall’Organizzazione mondiale della Sanità, mentre quello stabilito dalla legislazione italiana è di 50. I valori limite sono definiti dalla direttiva 99/30/CE, recepita in Italia dal Decreto Ministeriale 2 aprile 2002, n. 60; tale decreto fissa due limiti accettabili di PM10 in atmosfera, giornaliero e annuale. Entro il 1 gennaio 2005 dovevano essere i seguenti: valore limite di 50 µg/m³ come valore medio misurato nell’arco di 24 ore, da non superare più di 35 volte/anno; valore limite di 40 µg/m³ come media annuale. Entro il 1 gennaio 2010 invece, dovevano essere i seguenti: valore limite di 50 µg/m³ come valore medio misurato nell’arco di 24 ore, da non superare più di 7 volte/anno; valore limite di 20 µg/m³ come media annuale. Ma grazie al Decreto legislativo del 13 agosto 2010 n.155, sono stati mantenuti gli stessi valori di 50 e 40 µg/m³.

Sì, proprio lo stesso decreto grazie al quale fu rinviato il limite di tempo entro il quale rispettare il valore di 1 ng/m3 di benzo(a)pirene. La legislazione italiana nel 1994 aveva stabilito che il valore di 1 ng/m3 non doveva essere superato a partire dall’1/1/1999 per le città oltre i 150 mila abitanti. La direttiva comunitaria 2004/107/CE fissava per tutti gli Stati membri al 31 dicembre 2012 il termine ultimo per scendere sotto il valore obiettivo di 1 ng/m3 di benzo(a)pirene. Ma le legislazioni nazionali possono mantenere norme di migliore protezione ambientale sulla base dell’art. 176 del Trattato della Comunità Europea: “I provvedimenti di protezione adottati per realizzare gli obiettivi della politica ambientale della Comunità non impediscono ai singoli Stati membri di mantenere e di prendere provvedimenti per una protezione ancora maggiore”. Pertanto la data del 1/1/1999 poteva essere mantenuta proprio sulla base del suddetto articolo 176 Trattato CE (esplicitamente richiamato dal considerando 7 della Direttiva comunitaria 2004/107/CE).

Per tagliare la testa al toro e non avere problemi di sorta, lasciando ancora un po’ di tempo agli amici industriali, il governo dell’epoca con una disposizione nel Decreto legislativo 155 cancellava la data dell’1/1/1999, sostituendola con quella del 31/12/2012. Taranto arriva a questo ennesimo traguardo dopo aver superato il limite di 1 ng/m3 nel triennio 2009, 2010, 2011.
I dati del PM 10 e del benzo(a)pirene provengono dalle centraline dell’Arpa Puglia. E dimostrano ancora una volta come i problemi di cui soffre il siderurgico sono non solo atavici, ma anche di difficile soluzione. Prendiamo il caso del PM 10, ad esempio: la Regione Puglia, con l’ausilio di Provincia, Comune e Governo, sostiene che nei giorni di forte vento, l’Ilva possa diminuire la produzione dell’area a caldo del 10% e il livello dei cumuli di minerali del 19%. E’ inutile soffermarsi ancora una volta sul come si possa ottenere una tale riduzione in un giorno qualunque dell’anno: rischieremmo anche noi di cadere nel ridicolo. Ciò che ci preme sottolineare, invece, è che gli ultimi sforamenti sono avvenuti in giorni in cui il vento è stato quasi del tutto assente. Il che dimostra che il problema è di sostanza e non di opinione. Che non sarà risolto con il semplice barrieramento della zona dei parchi (nella quale lavorano oltre 400 operai). Le barriere frangivento disposte lungo il perimetro dei parchi in concomitanza con il completamento delle famose colline ecologiche ed alte 21 metri, riusciranno infatti ad intercettare soltanto le polveri pesanti aero disperse nella misura del 50-70%. Per le polveri sottili, dunque, il problema rimarrebbe irrisolto.

E, “casualmente”, sono proprio queste ultime (PM 10-PM 2,5) le più cancerogene per la salute umana, in quanto più facilmente si incuneano nelle vie respiratorie veicolando sostanze altamente inquinanti. Inoltre, la disposizione di questi teloni avverrà a valle e non a monte dei parchi: ma anche qualora fossero stati posti a monte, in realtà i teloni avrebbero attuato più un’azione di “contenimento del vento”, che una vera e propria barriera contro la diffusione delle polveri, visto che saranno in grado di intercettare le correnti orizzontali e non quelle verticali. Eventi che rappresentano un rischio sanitario per la popolazione esposta. Qualora non bastasse la perizia redatta dagli epidemiologi, diversi studi (SIDRIA, APHEA, MISA 1 e 2, SISTI) negli ultimi anni hanno accertato la correlazione tra aumento dei livelli di PM10 e diverse patologie nel breve periodo con effetti sia in termini di ricoveri che di decessi. In ogni caso, vogliamo ricordare una volta di più che il PM10 non dipende soltanto dal parco minerali, ma anche dall’area a caldo. La differenza delle polveri delle due aree, è visibile ad occhio nudo: quella rosa/rossastra che ha reso negli anni il cimitero di San Brunone e la zona industriale una paesaggio quasi da pianeta rosso come Marte, proviene dai parchi.

La polvere nera che gli abitanti dei Tamburi si ritrovano giornalmente sui loro balconi e sulle loro macchine proviene dall’area a caldo. Dunque, ritorniamo ancora una volta al punto di partenza. Per i parchi minerali, l’unica soluzione possibile appare infatti la copertura. Lo spostamento degli stessi rinvierebbe soltanto ad altra zona i problemi vissuti quotidianamente dai cittadini del rione Tamburi, e certamente non migliorerebbe la qualità dell’aria respirate dagli operai che ivi lavorano.

I parchi si possono coprire: il problema è di natura economica più che tecnica. Parliamo di un’operazione che comporterebbe un finanziamento di miliardi di euro da parte del Gruppo Riva, oltre che lavori che durerebbero diversi anni. Ed anche nell’incontro di giovedì con i sindacati, incalzato sull’argomento, il presidente Ilva Bruno Ferrante, ha glissato sull’argomento. Difficile che se ne parli nel Cda del gruppo Riva in programma oggi a Milano, dove lo stesso Ferrante dovrebbe ottenere l’ok soltanto per l’utilizzo dei 146 milioni di euro promessi dall’azienda per attuare alcune prescrizioni dell’AIA del 2011, per installare le centraline di monitoraggio concordate con la Regione e richiesta anche dai custodi giudiziari. Ma il problema dei parchi, sempre lì resta.

Così come quello dei forni delle batterie della cokeria. E nel riesame dell’AIA, come affermato dallo stesso Ministro dell’Ambiente Corrado Clini la scorsa settimana a Taranto, non ci sarà la prescrizione che obbligherà l’Ilva a coprire i parchi. Ad ulteriore conferma del fatto che questa nuova AIA è del tutto inutile, oltre che impossibile da consegnare all’azienda entro il 15 ottobre prossimo. Oltre del fatto che ancora una volta si vogliono ignorare i reali problemi causati dall’Ilva all’ambiente e alla salute dei cittadini. Che continuano ad ammalarsi e a morire. Questa è l’unica verità, come dimostrano anche i dati. E l’unica soluzione che deve proporre la politica, se ne è realmente capace, è quella di eliminare del tutto, alla radice, la fonte di tali problemi. Chiedendo all’Ilva e allo Stato il giusto risarcimento per i danni arrecati per decenni.

Dando il via alle bonifiche e finanziando seriamente tutte le altre alternative economiche presenti sul territorio. Il problema l’hanno creato loro, coprendo, fiancheggiando, arricchendosi con l’industria di Stato prima e il privato poi. E ora loro lo devono risolvere. Alternative reali per un futuro diverso per questa città non esistono. A meno che, come già scritto ieri, non vogliamo continuare a credere alle favole. Cambiare la realtà è un’opera di difficilissima realizzazione. Richiederà tempo, pazienza, coraggio. Ma non è impresa impossibile. D’altronde lo stesso Karl Marx nell’800 ammoniva come “le idee, da sole, non sono in grado di mutare la realtà: viceversa, si tratta di cambiare la realtà per far mutare le idee, giacchè esse sono un prodotto della realtà stessa: non è la coscienza che determina la vita, ma la vita che determina la coscienza”.

Gianmario Leone (TarantoOggi del 25 agosto 2012)

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