E’ scontato che stando così le cose, la maggior parte del 90% di cui sopra, parli senza conoscere a fondo la materia in questione. Il problema vero però, è un altro: ed è ancora più drammatico. Perché se in questo insieme di persone figura in prima linea anche il Ministro dell’ambiente, più di qualcosa non quadra. L’ultima moda nella vicenda Ilva, è stata infatti annunciata proprio dallo stesso Ministro Clini, che la scorsa settimana in riva alla città dei Due Mari ha rivelato che l’azienda avrà la nuova AIA entro il prossimo 30 settembre. Un evento “unico”, che ovviamente è stato accolto con giubilo dalle nostre istituzioni e dai sindacati, che sperano così di poter sotterrare per sempre la pessima figura fatta con il rilascio della prima AIA il 4 agosto 2011. Un documento ridicolo, privo di qualunque reale restrizione nei confronti dell’azienda che ebbe anche l’arroganza di ricorrere al TAR contro quelle poche prescrizioni che osavano mettere i bastoni tra le ruote alla logica del profitto del gruppo Riva.
Sbugiardata dalla perizia dei periti chimici nello scorso gennaio, il rilascio dell’AIA è anche finito nel mirino dell’inchiesta “Ambiente svenduto” portata avanti dal pm Remo Epifani con l’ausilio della Guardia di Finanza, che ha ipotizzato una serie di reati a carico di diverse personalità atte a favorire il rilascio di un’AIA benevola nei confronti dell’Ilva. D’altronde in pochi ricordano o sanno che nel luglio 2009 l’ex Ministro dell’ambiente Stefania Prestigiacomo azzerò la commissione IPPC-AIA durante un consiglio dei ministri a Napoli durante l’emergenza rifiuti. Per non parlare del fatto che l’Ilva avrebbe dovuto avere l’AIA entro il 2004 e non certamente nell’agosto 2011. Sette lunghi anni per stilare un documento inutile.
Il dramma è che non stiamo parlando di una carta qualsiasi: bensì del provvedimento che autorizza l’esercizio di un impianto o di parte di esso a determinate condizioni, che devono garantire la conformità ai requisiti alla parte seconda del decreto legislativo 3 aprile 2006 n.152, come modificato dal decreto legislativo 29 giugno 2010, n.128, che costituisce l’attuale recepimento della direttiva comunitaria 2008/1/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 15 gennaio 2008 sulla prevenzione e la riduzione integrate dell’inquinamento (IPPC). Ai sensi di quanto previsto dall’articolo 29-quattuordecies del citato D.Lgs. 152/06, tale autorizzazione é necessaria per poter esercire le attività specificate nell’allegato VIII alla parte seconda dello stesso decreto. Tanto per dirne una: il 30 marzo scorso la Corte di giustizia di Strasburgo ha condannato l’Italia per inadempienza della direttiva IPPC del 1996.
Detto ciò, il ministro Clini ha assicurato che l’iter per il rilascio della nuova AIA all’Ilva (che ha già ingolosito parte dell’ambientalismo tarantino che persevera diabolicamente nei suoi errori), sarà rapidissimo. Addirittura la nuova autorizzazione includerà tutte le prescrizioni richieste dal GIP Todisco, riportate nella perizia degli esperti chimici. Il tutto avverrà in poco più di un mese. La Commissione darà il via ai lavori a Taranto il 27 agosto per arrivare alle conclusioni della relazione istruttoria entro la fine di settembre con una serie di incontri tecnici, e chiudersi il 15 ottobre con la Conferenza dei servizi. Il programma prevede “approfondimento su migliori tecnologie, impianti, gestione ambientale e monitoraggio”. Nel gruppo di supporto alla commissione Aia ci sarà anche una figura per i rapporti con l’Ue. E’ stato anche stilato il crono programma della commissione Aia guidata da Carla Sepe: il 27 agosto analisi delle migliori tecnologie (le Best Available Technologies – Bat), il 28 si passa alle cokerie, il 29 agli impianti dell’agglomerato, il 30 all’acciaieria. Poi, il 3 settembre ancora le Bat, il 4 le analisi regionali del Piano di risanamento, il 5 settembre il parco minerali, il 6 il sistema di gestione ambientale. Infine, il 12 settembre le Bat, il 13 il sistema di monitoraggio; 14, 18, 19, 20 una serie di riunioni tecniche. Per il 15 ottobre é prevista la Conferenza dei servizi.
Il gruppo istruttore é formato da otto membri, il referente é Antonio Fardelli. La commissione potrà contare su un gruppo di supporto di 12 componenti, tra cui personale del ministero dell’Ambiente e del ministero dello Sviluppo economico, del Cnr, dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA) e dell’Istituto superiore di sanità (ISS). Strabiliante. Ma nella pratica infattibile. Promettere una nuova AIA entro così poco tempo è tecnicamente un bluff. Il sospetto infatti è che si voglia applicare qualche aggiustamento al precedente decreto ministeriale e niente altro: altro che inserire tutte le prescrizioni della Gip. Per aprire una nuova istruttoria, infatti, ci vuole del tempo. Oltre al fatto che poi bisogna anche produrre le linee guida di recepimento delle BAT pubblicate dalla Commissione Ue: soltanto per questo è necessario insediare una commissione interministeriale e produrre un decreto di recepimento della direttiva sull’AIA. D’altronde lo stesso Clini ha sempre parlato di “riesame” dell’autorizzazione rilasciata nel 2011, il che non fa altro che rafforzare la nostra tesi.
Inoltre, il lavoro della commissione IPPC-AIA, appare un doppione del lavoro che stanno svolgendo e andranno a svolgere i custodi giudiziari nominati dal GIP Todisco insieme ai carabinieri del NOE. Non si capisce infatti il senso di rilasciare una nuova AIA ad un’azienda che negli anni ha sempre fatto i comodi suoi. Dimostrando di non possedere i requisiti minimi per continuare a produrre, avvelenando in primis i lavoratori della stessa. Né si capisce il perché si debba lanciare all’Ilva l’ennesima ancora di salvezza. L’AIA del 2011 va semplicemente ritirata, lasciando spazio al lavoro dei custodi giudiziari che dovranno indicare tutti i lavori a cui l’azienda dovrà ottemperare se davvero vorrà restare ancora a Taranto. Il problema, dunque, è lo stesso di quello denunciato la scorsa settimana. Ancora una volta siamo di fronte all’evidenza di uno Stato che si lancia in una disperata corsa per salvare l’attività produttiva di un’azienda che ha per anni consapevolmente inquinato, con l’ausilio e l’omertà di tanti, troppo “tarantini”.
Perché AIA o non AIA, il gruppo Riva per restare a Taranto ha una sola possibilità: cambiare del tutto la natura di uno stabilimento che in realtà può continuare ad esistere solo per come è stato progettato. Coprire o spostare i parchi minerali, non è nelle intenzioni dell’azienda per via delle spese che ciò comporterebbe. Stesso discorso per i forni delle batterie della cokeria: una volta terminato il loro compito quarantennale, Riva avrebbe semplicemente chiuso i battenti. Chi propone altre strade, ad esempio l’utilizzo dei forni elettrici come avviene altrove, ignora volutamente le caratteristiche e le dimensioni dell’Ilva di Taranto. Sicuramente si potranno fare dei lavori, delle migliorie. Ma il nucleo centrale del problema, resta sempre lo stesso: Riva investirà mai i miliardi di euro che serviranno per cambiare la natura di uno stabilimento la cui competitività nel mondo ha comunque gli anni contati, a prescindere dall’intervento della magistratura? La risposta è facilmente intuibile.
Rilasciare una nuova AIA al siderurgico tarantino, sarebbe l’ennesima sciagura. Si vuol accelerare l’iter di un lungo procedimento, quando si sa perfettamente che i lavori durerebbero comunque diversi anni. Quindi, ancora una volta, ai cittadini si sta raccontando una finta verità. Si confondono ancora una volta le acque, sperando di riuscire a farla franca ancora una volta. Il gruppo Riva ha invece soltanto un obbligo, non solo morale, ma soprattutto economico: risarcire a suon di miliardi questo territorio e i suoi cittadini. Punto. Il regno dell’acciaio è già finito, anche se in molti fanno finta di non averlo ancora compreso. La politica, invece, dovrà assolvere ad un solo compito: dare inizio al lungo iter della bonifica, ma soprattutto pretendere un risarcimento immediato da parte dello Stato, visti gli oltre 30 anni di avvelenamento statale della vecchia Italsider.
Il doppio risarcimento sarà la base di partenza per progettare e finanziare tutte quelle alternative economiche che questo territorio da sempre offre. Ma che abbiamo sempre tenuto ben nascoste sotto il tappeto. Questo è l’unico percorso se davvero vogliamo creare le basi per un futuro diverso. Senza più fabbriche e veleni. Tutto il resto è solo una minestra riscaldata. E una pia illusione. O una favola. In cui avremo un’Ilva eco-compatibile, un’area a caldo che non inquinerà più, un’AIA nuova di zecca che sarà inflessibile e andrà rispettata in ogni virgola, la scomparsa di emissioni diffuse e convogliate, parchi minerali che diventeranno realmente paesaggi lunari, aria pulita e salute di ferro per tutti. Sì, proprio una bella favola. Ben tornati.
Gianmario Leone (TarantoOggi del 24 agosto 2012)
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