Taranto, in piazza per un futuro senza più veleni
TARANTO – Cinquecento metri dividono una piazza Maria Immacolata battuta dal sole e il palazzo della Prefettura, dove i due ministri Passera e Clini incontreranno le istituzioni locali e la dirigenza Ilva. Cinquecento metri che segnano la distanza siderale tra due modi di approcciare l’emergenza ambientale e sanitaria tarantina. A dividere i due mondi ci sono le forze dell’ordine, chiamate a presidiare la cosiddetta zona rossa, quella che nessun manifestante può varcare. In piazza ci sono i cittadini (tra loro anche operai Ilva) che non credono più ad accordi di programma, protocolli d’intesa e tavoli istituzionali. In piazza ci sono i tarantini che hanno rinunciato al mare per protestare contro “esponenti del Governo che si affacciano in città solo ora che è a rischio il colosso industriale”. In piazza ci sono i germogli del seme gettato lo scorso 2 agosto, quando l’ormai famoso Apecar del Comitato “Cittadini e lavoratori liberi e pensanti” scompaginò le carte delle tre principali sigle sindacali facendo irruzione durante la manifestazione con i leader nazionali.
Stavolta, però, la vera Apecar non c’è. Non è stata autorizzata a manifestare. Al suo posto ce n’è una finta che approda in piazza dopo le 8.30, seguita da un girotondo di manifestanti. A far da colonna sonora una canzone senza tempo: ‘Nun te reggae più” di Rino Gaetano. Sul palco, davanti a circa 3mila persone, è Cataldo Ranieri, portavoce del Comitato, oltre che operaio Ilva, ad aprire gli interventi, dopo un minuto di silenzio dedicato alle vittime dell’inquinamento. Le sue sono parole di fuoco: «Oggi viene qualcuno da fuori per decidere le sorti di questa città, mentre noi siamo relegati in un cortile. Da qui diciamo che il primo diritto da garantire in un Paese civile è quello alla vita. Dopo viene il lavoro. Noi – sottolinea – non vogliamo ammortizzatori sociali come dichiarato meschinamente da qualcuno. Vogliamo essere i protagonisti della ricchezza di questa città. Abbiamo l’obbligo di dare ai nostri figli un futuro senza più veleni».Il nome di Patrizia Todisco, il gip che segue l’inchiesta sull’inquinamento Ilva, viene acclamato più volte. Compare sui cartelli e nei cori. E’ lei il simbolo di una svolta epocale. E’ lei il punto di riferimento di chi crede in una rivalsa cittadina.
«Se non ci fosse stato l’intervento della magistratura – dice Ranieri – oggi in televisione si parlerebbe di altro, magari di cronaca rosa». Uno degli attacchi più duri è rivolto ai sindacati: «Oggi avrebbero potuto dimostrare di essere veramente dalla parte dell’ambiente, non solo del lavoro. Avrebbero potuto proclamare uno sciopero e consentire agli operai di essere qui per chiedere insieme a noi un lavoro che non uccide. Siamo stanchi di vedere manifesti di colleghi morti. Soltanto se siamo uniti possiamo isolare i veri responsabili di questa situazione». Sul palco c’è spazio anche per il dolore e lo sdegno della signora Rosa, rimasta vedova solo pochi mesi fa. Oltre a subire l’incolmabile perdita del marito, ex operaio Ilva, stroncato dal cancro, ha dovuto incassare anche un altro colpo: «Mio marito ha vinto la causa per malattia professionale. L’Inail ha detto che non poteva più dare il risarcimento perché lui è morto. Mi spettavano solo 3mila euro per il danno biologico. Li ho rifiutati dicendo: non vendo mio marito per 3mila euro. Vi siete presi la sua vita, prendetevi anche i soldi».
Toccante l’intervento della pediatra Grazia Parisi che cura i bambini del quartiere Tamburi. Ricorda il caso di un ragazzino di 12 anni colpito da una rara forma di tumore del rinofaringe, patologia che si riscontra solo nei fumatori incalliti anziani. Le sue parole si strozzano in gola per la commozione. Chiaro il messaggio della sua collega Annamaria Moschetti: “Il valore di un singolo bambino non vale tutto l’acciaio del mondo”. Non possono mancare sul palco le vittime dirette e indirette dell’inquinamento, dagli allevatori ai mitilicoltori del primo seno di Mar Piccolo, rappresentanti da Luciano Carriero: «Ringraziamo la magistratura per il coraggio che ha avuto. Finalmente si comincia a fare giustizia. Il nostro comparto, fiore all’occhiello della città, è stato messo in ginocchio. Prima è stata distrutta la coltivazione delle ostriche, ora è toccato alle cozze. Che fine faremo?».
Spicca a pochi metri di distanza il saio di don Tonino, frate francescano, della chiesa di “San Pasquale”, che spiega così la sua presenza: «Prima di venire mi sono interrogato: dove sarebbe san Francesco in questo momento? Mi sono dato questa risposta: starebbe con il popolo, con la gente che vuole una città più bella e pulita, contro le negatività che portano malattia e morte». Intorno alle 11.30, al grido di “Noi vogliamo vivere”, “Taranto libera”, “Taranto siamo noi”, i manifestanti improvvisano un corteo pacifico che si snoda per via D’Aquino. Il fiume umano si ferma all’altezza di piazza della Vittoria dove incontra il blocco delle forze dell’ordine. Qui sosta per molto tempo in maniera pacifica. Non c’è posto per la violenza in questa manifestazione che vede protagonisti bambini, giovani e anziani, persone di ogni classe sociale. Tutti uniti dal desiderio di salvare il futuro di una città che ha già patito troppo.
Alessandra Congedo (Corriere del Giorno del 18 agosto 2012)
BELLISARIO (IDV) – «Quando una piazza protesta bisogna ascoltarla. Questa gente si ribella all’inquinamento e al ricatto “lavoro o salute”. Si oppone allo strapotere di una classe padronale che pensa solo al profitto». Lo ha dichiarato Felice Bellisario, capogruppo dell’Idv al Senato, uno dei pochi politici presenti in piazza Maria Immacolata. «Noi sappiamo che l’Ilva è importante per Taranto e per l’Italia, ma a queste condizioni l’azienda fa danni alla città, ai lavoratori e all’intero sistema industriale italiano. Senza dimenticare gli effetti sulla classe politica se le indagini dovessero appurare episodi di connivenza. Leggeremo le carte, ma se Riva dice “vendiamo fumo”, la magistratura fa bene a non credergli. Per disinquinare è necessario che l’Ilva metta soldi sul tavolo».
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