TARANTO – Una grande assemblea pubblica ha sostituito quella che sarebbe dovuta essere una manifestazione rabbiosa ma pacifica, con la quale accogliere i ministri Clini e Passera, per dire loro che lo Stato italiano con Taranto ha sbagliato tutto. Ed oggi continua a perseverare nell’errore, volendo preservare a tutti i costi l’esistenza di un’azienda che ha inquinato per decenni. Considerando sufficienti 8 milioni per la bonifica del quartiere Tamburi, da sempre esposto alle emissioni velenose e alle polveri provenienti dal siderurgico. O pensando di eliminare l’inquinamento dei sedimenti marini del Mar Piccolo con appena 21 milioni. Tacendo sul drammatico inquinamento della falda superficiale, accertato negli anni da una Conferenza dei Servizi in piedi dal lontano 2003, a cui si dovrebbe porre un freno prima che sia davvero troppo tardi. E continuando a negare il nesso di causalità tra emissioni di inquinanti con gli eventi di malattia e morte, che i periti epidemiologi hanno accertato esistere nella loro perizia depositata lo scorso 1 marzo nell’ambito della seconda parte dell’incidente probatorio, in cui l’Ilva ha pensato bene di non difendersi in nessun modo. Continuando a spostare le lancette del tempo in un’epoca indefinita a cui attribuire le colpe degli eventi drammatici di oggi. Ma tutto questo, per una parte di cittadinanza in costante crescita, non è più accettabile. Lo dicono per primi gli stessi operai da cui è nato il comitato cittadino dei “liberi e pensanti”.

Lo dicono i medici e i pediatri da sempre impegnati in una lotta sfiancante contro i cancri e le leucemie che a Taranto mietono vittime anche tra i bambini: senza soluzione di continuità. Ma lo gridano soprattutto decine di cittadini che non hanno più voglia di continuare a sopportare l’insopportabile. E’ come se l’energica azione della magistratura abbia provocato un lungo tsunami nelle coscienze di chi sino all’altro giorno ha continuato a maledire il destino cinico e baro. Tutto questo ieri era visibile ad occhio nudo osservando le oltre duemila persone presenti nella centralissima p.zza Immacolata, dove sono stati confinati i manifestanti. Lontano dalla zona rossa e dalla prefettura dove era in corso il vertice istituzionale sull’Ilva. Sul palchetto montato per l’occasione, si sono alternati al microfono in tanti. Gli esponenti del comitato cittadino, volti noti del panorama ambientalista locale e semplici cittadini. Ma sono la rabbia, l’indignazione e il dolore a tenere banco.

A far vibrare le corde delle migliaia di cuori presenti ieri in piazza. A innescare le tante lacrime di chi ieri, sotto un sole cocente di un agosto torrido come pochi, tra slogan, striscioni, cori, stendardi, bandiere e urla, ha inevitabilmente rivolto il pensiero ai tanti che oggi non ci sono più. Parenti, amici, conoscenti: una strage silenziosa e continuata nel tempo. Maquando sul palco sale Mauro, militare tarantino 34enne, con un cartoncino sul quale è incollata la foto del figlio di 3 anni, malato di cancro ed in cura tra Firenze e Bari, la commozione égenerale. Un padre che pone una domanda, pesantissima, sempre la solita: “Quanti ancora come mio figlio?”. La folla sussulta, freme, applaude. Grida “Basta”, “Non ci avrete mai come volete voi”, “Lo facciamo per i nostri figli”, “Via da Taranto”, “Noi vogliamo vivere”. Ed allora la scelta collettiva è inevitabile: sfilare lo stesso, sfidare il divieto, arrivare quanto più vicino possibile alla prefettura.

Il corteo è preceduto dall’eccellente servizio d’ordine del comitato, si arriva in p.zza Carmine ad un metro dalle forze dell’ordine in assetto antisommossa. Ma non c’è alcuna voglia di violenza. Solo quella di farsi sentire il più possibile da chi ancora oggi continua a trattare il popolo come un dettaglio a cui non dare alcuna importanza. Agnello sacrificale sull’altare della produzione economica da salvaguardare a tutti i costi. Anche a discapito della salute e dell’ambiente. Perché abbiamo scelto un sistema economico che non si può e non si deve fermare. Altrimenti crolla tutto, dicono. Dopo oltre un’ora di “assedio”, il corteo ritorna in p.zza Immacolata da dove era partito. Riprendono ad oltranza gli interventi dal palco. In attesa delle decisioni provenienti dal vertice dei potenti. Che ancora una volta promettono interventi inutili. al tramonto la delusione è tanta. La stanchezza pure. Ma la voglia di lottare per il bene comune e per ottenere verità e giustizia, è intatta. Se non ancora maggiore. Da domani si ricomincia.

Gianmario Leone (Il Manifesto del 18 agosto 2012)

IL VERTICE CON PASSERA E CLINI

Altri 56 milioni da investire per l’ambiente, oltre ai 90 già stanziati. Questo quanto promesso dal presidente Ilva Bruno Ferrante, ai ministri Clini e Passera, ieri a Taranto per il vertice istituzionale a cui hanno preso parte anche Regione, Provincia, Comune, Prefetto, Autorità Portuale e i sindacati. I 146 milioni nelle intenzioni dell’azienda serviranno ad attuare alcune prescrizioni presenti nell’AIA del 2011, l’accordo con la Regione in merito al campionamento perimetrale delle fonti maggiormente inquinanti con l’installazione di centraline lungo il perimetro della fabbrica, e a sostenere non meglio precisate iniziative autonome. Queste risorse, però, nulla hanno a che vedere con gli interventi che Ilva dovrà effettuare quando le sarà consegnata la nuova AIA, il cui iter dovrebbe concludersi entro il prossimo 30 settembre con la prima riunione tecnica convocata a Roma lunedì.

Nuova AIA che ha dichiarato il Ministro dell’Ambiente, recepirà le disposizioni europee in materia delle migliori tecnologie disponibili e le prescrizioni del GIP di Taranto nei confronti di Ilva in base alle indicazione dei periti chimici. Che fanno riferimento alla Decisione di Esecuzione della Commissione Europea del 28 febbraio 2012, “che stabilisce le conclusioni sulle migliori tecniche disponibili (BAT) per la produzione di ferro e acciaio ai sensi della direttiva 2010/75/UE del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alle emissioni industriali”. Dette conclusioni altro non sono che le BAT indicate nell’ultima versione del “BRef lron and Steel Production Draft version” del 24 giugno 2011. Nella nuova AIA ci saranno le norme delle leggi regionali e le decisioni del Tar in merito all’AIA dell’anno scorso. L’unica prescrizione che mancherà, riguarda la fermata degli impianti ordinata dal GIP. Perché l’Ilva non investirà i soldi promessi, se non avrà certezza di continuità nella produzione. Che intanto, come dichiarato dallo stesso Ferrante, continua anche se in maniera ridotta, ma non per volontà dell’azienda: quanto più per contingenze dovute alla crisi del mercato globale. Anche se la realtà attuale non è quella dipinta dall’azienda. Che continua a produrre ed anche a ritmo sostenuto: gli operai parlano di 44 colate al giorno, quando la media giornaliera non supera le 17.

D’altronde, il progetto dell’Ilva è semplicissimo: terminare tutte le commesse ancora in sospeso, per poi lasciare l’ultima parola sul futuro dell’azienda alla Procura. Che ha già chiarito la sua posizione da tempo: gli impianti vanno messi in sicurezza e tenuti in funzione soltanto per la loro messa a norma. E non per continuare a produrre, perché si perpetuerebbe il pericolo sanitario per la popolazione dovuto alle emissioni degli impianti posti sotto sequestro, sui quali vigono i sigilli virtuali. 146 milioni da investire, nuova AIA, applicazione delle leggi e degli accordi raggiunti con la Regione. Ma i problemi di sempre, non saranno risolti. Perché Ilva, istituzioni e sindacati, ad esempio, continuano a ritenere impossibile la copertura o lo spostamento dei parchi minerari, che si estendono per 80 ettari. Considerando sufficiente il barrieramento (opera per cui Ilva ha investito 8 milioni che porterà all’installazione di una barriera frangivento lunga 2 km ed alta 21 metri) e incrementando la filmatura dei cumuli di minerale con un gel speciale. In pratica ciò che avviene da anni, senza che il problema delle polveri che ricoprono i Tamburi sia mai stato risolto. Basti pensare che il barrieramento comporterà il trattenimento del 50-70% delle polveri pesanti, trattenendo quelle più sottili e cancerogene come il PM 10 e PM 2,5, soltanto per il 20%. Non è un caso del resto, se nel triennio 2009-10-11, i limiti di PM 10e il valore obiettivo di 1 ng/m3 di benzo(a)pirene siano stati sempre superati.

Così come appare un azzardo quello avanzato dal ministro Clini, in merito alla risoluzione del problema della diossina. Perché se è vero che nel 2011 l’Ilva ha registrato 0,3 ng/m3 nelle emissioni del camino E312 rispettando il limite di 0,4 imposto dalla legge regionale che ha recepito quanto stabilito nel protocollo di Aarhus del 2004, è altrettanto vero che le campagne di monitoraggio dell’Arpa sono state appena quattro. E che la perizia dei chimici nominati dal CTU della Procura, ha dimostrato come l’impronta della diossina che ha contaminato i terreni e gli organi vitali dei capi di bestiame abbattuti a migliaia negli ultimi anni, appartenga agli elettrofiltri posti alla base dell’area dell’agglomerato. Che non sono sigillati e disperdono nell’aria fumi e polveri inquinanti, dando ulteriore ragione alla Procura che ha più volte ribadito come l’80% delle emissioni diffuse e non convogliate, provengano dagli impianti a terra e non dai camini del siderurgico. Con Ilva e istituzioni che ritengono di risolvere l’annoso problema con la riduzione delle produzione nei giorni di forte vento.

Gianmario Leone (Il Manifesto del 18 agosto 2012)

 

 

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