Sconfessare apertamente in una conferenza stampa il neo direttore dell’Ilva Bruno Ferrante, stranamente poco informato sui blocchi degli operai ma nello stesso tempo certo degli investimenti miliardari del gruppo Riva per preservare l’ambiente, ha avuto un impatto mediatico forse maggiore dell’irruzione in piazza dello scorso 2 agosto, quando Cgil, Cisl e Uil dovettero indietreggiare e lasciare spazio alle rivendicazioni di chi, a differenza loro, la fabbrica l’ha sempre vissuta e ha deciso di non barattare più il diritto al lavoro con il diritto alla vita e alla salute di un’intera comunità. Palesando ulteriormente, se mai ce ne fosse ancora bisogno, l’irrazionale pretesa di imporre come unico dogma, l’impossibile eco-compatibilità per salvare ancora una volta capra e cavoli. Che a Taranto da sempre rappresentano gli interessi e i privilegi di pochi, a discapito di migliaia di persone. Tutte queste azioni hanno infuso coraggio in tanti che sino a ieri sono stati semplici spettatori della loro vita e della città in cui abitano. Ha accresciuto in molti la consapevolezza che nella vita, alla fine dei conti, vale di più, molto di più, lottare a viso aperto per i propri ideali, per tutelare il bene comune, piuttosto che continuare a pensare soltanto a se stessi ed al proprio tornaconto personale.
Probabilmente oggi, qualora fosse stata concessa la libertà di manifestare, il comitato avrebbe avuto la sua definitiva consacrazione. Ma chi conosce a fondo la storia di questo paese, sa bene come da sempre il potere difenda sempre i suoi esponenti da qualunque tipo di fastidioso contrattempo. Perché confinare la protesta di centinaia di persone in una piazza del centro cittadino, appare qualcosa di molto vicino al concetto di confino tanto amato dalle autorità ai tempi del fascismo. Creare zone rosse, dividere geometricamente una città, interdire intere vie, blindare parte del centro, appare qualcosa di abnorme, oltre che palesemente vigliacco. Visto che i ministri che ci renderanno oggi visita, dovrebbero avere il primario interesse di ascoltare le istante dei cittadini. Non fosse altro perché rappresentano il governo di un paese in cui quegli stessi cittadini vivono. A maggior ragione se poi arrivano per provare a “risolvere” un problema che oltre 60 anni fa ha creato quello stesso Stato che loro stessi rappresentano. Per poi delegare la sua gestione ad un gruppo imprenditoriale che oltre a produrre acciaio, ha contribuito a segnare forse per sempre il destino sanitario e ambientale di questa città.
Purtroppo però, la politica ancora una volta tenterà di salvare se stessa tutelando soltanto i suoi interessi. Che poi siano gli stessi del gruppo che gestisce il più grande siderurgico europeo, i cui impianti sono finiti sotto sequestro preventivo con il concreto rischio di una prossima chiusura, questa è soltanto una “spiacevole” conseguenza. E’ dunque inutile stupirsi del divieto di manifestare. Perché istituzioni, sindacati e gruppi dirigenti di varia natura, attualmente sono impegnati soltanto a salvare il salvabile. All’interno del cui insieme non sono contemplati il diritto alla salute e la tutela dell’ambiente. Né un’altra idea di città, quindi un altro futuro. Non ci sono idee per alternative economiche. Né all’orizzonte nuove indagini epidemiologiche. Per ottenere tutto questo, infatti, i cittadini dovranno continuare a combattere ed unirsi giorno dopo giorno, scrivendo insieme pagine di un futuro comune. Ma per farlo, quanto citato sopra, sono soltanto i primi passi. Soprattutto, bisognerà avere la forza e la coerenza di ragionare ad ampio raggio nel tempo, senza pensare di terminare la lotta nel breve volgere del tempo, errore più volte commesso dalle nostre parti.
E bisognerà avere il coraggio di far capire a tutti che al centro del progetto, c’è solo il bene di questa città. Che equivale al benessere di ognuno di noi. Per fare questo però, c’è bisogno di massima conoscenza, correttezza e chiarezza. In tutto. Che è proprio quello che è sempre mancato alla politica, così come in larghe fette dell’ambientalismo e dell’associazionismo locale. Occorre dunque creare delle linee di demarcazione nette, senza possibilità alcuna di fraintendimento. E’ bene dunque evitare di lasciarsi coinvolgere dalla voglia di mandare all’aria tutto quello che è stato sino ad oggi, come se nessuno avesse provato nel tempo a denunciare ciò che oggi è venuto a galla grazie all’energica azione della magistratura. Nel cui lavoro è finita anche un’altra inchiesta, quella sull’ipotesi di corruzione in atti giudiziari dal nome “Ambiente venduto”.
L’inchiesta contiene oltre 1000 pagine di intercettazioni telefoniche effettuate dalla Guardia di Finanza a partire dal 2010, alcune delle quali ottenute attraverso l’utilizzo di cimici nelle auto e negli uffici degli indagati, che vedono coinvolti anche politici, sindacalisti, alti prelati e giornalisti. Un’inchiesta penale tuttora coperta dal segreto istruttorio, che potrebbe presto svelare l’immagine di una vedova nera che ha allungato i suoi tentacoli ovunque, tessendo negli anni una ragnatela atta a tutelare i propri interessi proponendo in cambio favori di ogni genere. L’indagine la coordina il pm Remo Epifani, che ha chiesto sei mesi di proroga. E’ dunque lecito essere arrabbiati anche e soprattutto con la stampa locale. Con chi avrebbe dovuto informare giorno dopo giorno la cittadinanza, ed invece ha coperto, ignorato, nascosto. Anche per tornaconto personale. Un’azione inaccettabile. Anche ieri, durante la conferenza stampa ai ‘Giardini Virgilio’, le accuse non sono mancate, vista la folta presenza di giornalisti locali e nazionali. Ma se è sacrosanto chiedere alle testate nazionali dove hanno passato gli ultimi decenni della loro vita, nonché apostrofare con toni accesi quelle locali ree di essere state conniventi con l’intero sistema, è altresì doveroso fare i giusti distinguo.
Perché quando si parla alla collettività si ha il dovere morale di essere precisi fino a sfiorare quasi la perfezione. Ecco perché “TarantoOggi” chiede che quando si lanciano strali contro la stampa locale, sia cosa e buona e giusta fare nomi e cognomi. Del resto è cosa oramai arcinota che questa è l’unica testata che non ha mai preso un euro dall’Ilva, anche solo sotto forma di campagna pubblicitaria. Così come è ben nota la battaglia a favore della tutela della salute e dell’ambiente, sostenuta negli ultimi 5-6 anni, con oltre mille articoli di denuncia, cosa peraltro mai avvenuta sulle altre testate o sui canali delle emittenti private. Scrivendo e denunciando negli anni tutto quello che è emerso nelle perizie chimiche ed epidemiologiche che hanno costituito l’essenza delle due ordinanze del GIP Todisco. Siamo stati e sempre saremo dalla parte dei movimenti e dei cittadini che lottano per un futuro migliore per questo territorio. S
iamo da sempre in prima linea per chiedere verità e giustizia. Ed anche noi speriamo che venga fatta luce quanto prima su chi in tutti questi anni non ha fatto il suo dovere, tradendo un’intera comunità. Ma se davvero vogliamo cambiare in meglio noi stessi e il nostro futuro, dobbiamo avere il coraggio di fare nomi e cognomi. Di dare meriti e demeriti. E di chiudere le porte a chi oggi ha improvvisamente cambiato atteggiamento, dopo anni di silenzio e connivenza. Il neonato comitato ha enormi potenzialità. L’importante è saper sempre distinguere il bianco dal nero. Il vero dal falso. Gli approfittatori dai genuini. Coloro che oggi tentano vigliaccamente e pateticamente cercare di salire sul loro Apecar da vincitori, togliendo ancora una volta spazio a chi può davvero essere allo stesso tempo sabbia nel motore del sistema e olio nuovo per una nuova società e una città per sempre libera dall’inquinamento ambientale. E da quello morale, che in alcuni casi è ancora più tossico.
Gianmario Leone (TarantoOggi del 17 agosto 2012)
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