Ilva, la minaccia è il corteo

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TARANTO – Manifestare il proprio dissenso verso il Potere o chi lo rappresenta, in questo paese è da sempre un lusso. E Taranto non fa eccezione. Il questore di Taranto, Enzo Mangini, ha disposto il divieto di manifestare “sotto la Prefettura e nelle relative adiacenze” in occasione del vertice istituzionale di oggi sulla vertenza Ilva, a cui prenderanno parte i ministri Clini e Passera. Per l’intera giornata sarà “vietato il transito e la sosta dei veicoli nei pressi di Palazzo del Governo e nelle aree circostanti. Non saranno consentiti neanche cortei”. Un provvedimento per alcuni versi scontato, ma non per questo giusto. Proibire ai cittadini di esprimere ai rappresentanti del governo il loro pensiero, di poter formulare richieste, di pretendere un futuro migliore senza più veleni per i propri figli, di chiedere verità e giustizia, appare qualcosa di molto lontano rispetto a ciò che dovrebbe essere scontato in uno stato di diritto.

E’ chiaro, infatti, che il divieto imposto dalla Questura è diretto alla manifestazione cittadina indetta dal “Comitato lavoratori e cittadini liberi e pensanti”, a cui avevano aderito diverse associazioni ambientaliste e civiche da anni presenti sul territorio. Il corteo sarebbe dovuto partire dietro l’Apecar, divenuto il simbolo della battaglia per “il risveglio di Taranto”, alle 8.30 da p.zza Castello per concludersi o sotto la Prefettura o nella adiacente p.zza della Vittoria: una “grande manifestazione pacifica, anche con i bambini, per dire grazie al gip Todisco – avevano annunciato i promotori – e protestare perché i ministri saranno a Taranto non per tutelare i diritti dei cittadini e dei lavoratori, ma per salvaguardare gli interessi dell’Ilva, continuando a fare pressioni antidemocratiche nei confronti della Magistratura”. Notificato il divieto, il comitato ha indetto una partecipata conferenza stampa nel pomeriggio in un noto parco cittadino.

Annunciando che oggi sarà comunque in piazza per una nuova assemblea pubblica. Certo, appaiono quanto meno pittoresche le motivazioni addotte dalla Questura nell’ordinanza. Due dei portavoce del Comitato cittadini e lavoratori liberi pensanti, parlando con i giornalisti (peraltro molto contestati per essere stati assenti o complici con politica e sindacati per decenni) hanno ironicamente dichiarato che “se il nostro Apecar è un pericolo i veleni che respiriamo possiamo invece respirarli a pieni polmoni”. In un passaggio dell’ordinanza del questore si fainfatti implicito riferimento all’ormai famoso treruote, quando si legge “con divieto di utilizzo di veicoli che in presenza di gruppi di manifestanti potrebbero costituire pericolo per la sicurezza e l’incolumità pubblica”. “Questo significa – hanno concluso – che il nostro Apecar ha fatto più danni di un F-35: alla fine domani ce lo porteremo in spalla”.

Intanto anche ieri all’esterno dell’Ilva si sono svolte due ore di sciopero, indette da Fim e Uilm, con blocchi sulla statale 7 ‘Appia’, adiacente allo stabilimento, e sulla statale 106. Lo sciopero ha riguardato i reparti Tna, Tub, Laf, Erw, Riv, Pla, Fna, Mag Spe, Mag Gen, Staff, Manutenzioni Area Ghisa e aziende dell’Appalto, a cui avrebbero aderito 1200 lavoratori.E’ stata la terza giornata di manifestazioni indette da Fim e Uilm, che proseguiranno anche quest’oggi, con la Fiom Cgil che continua a non aderire perché “rischiano di costituire un attacco alla magistratura”. Prosegue dunque il fuoco incrociato tra i sindacati, con Fim e Uilm che sostengono che “gli iscritti Fiom dei reparti in sciopero hanno aderito alla nostraproposta.

I vertici si oppongono allo sciopero ma i loro iscritti la pensano diversamente”. Ribadendo come lo sciopero “non é contro la magistratura, ma per una soluzione che preservi occupazione, garantisca bonifiche e riqualificazione industriale, un ambiente salubre e l’utilizzo della miglior tecnologia disponibile. I nostri nemici sono disoccupazione e inquinamento,non la produzione dell’acciaio”. Una tesi che però scricchiola vistosamente quando il segretario nazionale della Uilm, Rocco Palombella, dichiara poche ore dopo che “l’esperienza di Taranto insegna che nel prossimo futuro é indispensabile una specifica legislazione da parte di governo e Parlamento che limiti la discrezionalità del Gip quando viene messa in discussione la politica nazionale del Paese, industriale o estera che sia”.

Gianmario Leone (Il Manifesto del 17 agosto 2012)

ILVA E INTERCETTAZIONI

Si discuterà il prossimo 28 agosto l’incidente di esecuzione richiesto dai legali dell’Ilva al tribunale di Taranto, sulla presunta incompetenza funzionale del gip Patrizia Todisco, che gli scorsi 10 e 11 agosto ha ordinato all’azienda di fermare la produzione degli impianti sotto sequestro preventivo, estromettendo il presidente Ilva, Bruno Ferrante, dall’incarico di custode (conferitogli il 7 agosto dal Riesame) ritenendolo incompatibile per palese conflitto d’interessi. L’appello dei difensori Ilva contro le ordinanze, sarà invece discusso il 18 settembre. Le date sono state comunicate direttamente dal tribunale di Taranto. Ma oltre ai tre filoni d’inchiesta portati avanti dalla Procura per disastro ambientale colposo e reiterato nel tempo, c’è un’altra inchiesta, quella sull’ipotesi di corruzione in atti giudiziari dal nome “Ambiente venduto”, che vede indagati Fabio Riva, l’ex direttore dello stabilimento Luigi Capogrosso, il professore universitario Lorenzo Liberti, ex consulente della procura e l’ex responsabile dei rapporti istituzionali Ilva Girolamo Archinà, licenziato nei giorni scorsi dal neo-presidente Bruno Ferrante. L’inchiesta contiene oltre 1000 pagine di intercettazioni telefoniche effettuate dalla Guardia di Finanza a partire dal 2010, alcune delle quali ottenute attraverso l’utilizzo di cimici nelle auto e negli uffici degli indagati, che vedono coinvolti anche politici, sindacalisti, alti prelati e giornalisti. Un’inchiesta penale tuttora coperta dal segreto istruttorio, che potrebbe presto svelare l’immagine di una vedova nera che ha allungato i suoi tentacoli ovunque, tessendo negli anni una ragnatela atta a tutelare i propri interessi proponendo in cambio favori di ogni genere. L’indagine la coordina il pm Remo Epifani, che ha chiesto sei mesi di proroga. Dalla stessa, il procuratore Franco Sebastio e il sostituto Mariano Buccoliero hanno stralciato tra le dieci e le quindici intercettazioni per l’udienza del Riesame dello scorso 7 agosto, per dimostrare che gli indagati accusati devono rimanere ai domiciliari perché potrebbero continuare, se fossero rimessi in libertà, ad inquinare le prove.

Le telefonate emerse sino ad oggi, sono contenute in un’informativa della Guardia di Finanza. Al centro di tutto c’è soprattutto l’iter per il rilascio dell’AIA all’Ilva da parte del Ministero dell’ambiente, avvenuta lo scorso 4 agosto 2011, per cui il gruppo Riva attraverso Archinà, avrebbe esercitato pressioni su consulenti, ispettori e rappresentanti di enti pubblici, dall’Arpaalla Regione Puglia, al ministero dell’Ambiente, per ammorbidire i controlli ambientali e ridimensionare i dati sulle emissioni inquinanti. Il 31 marzo 2010, Archinà parla di Lorenzo Liberti, consulente della magistratura che secondo la GdF avrebbe ricevuto 10mila euro per favorire la posizione dell’Ilva nei rapporti da consegnare ai pubblici ministeri. “Io ritengo che sia oramai…sta in linea con quelle che sono le nostre esigenze”. Liberti è in attesa di ricevere dall’Arpa alcuni dati sui rilevamenti della diossina. “E diamoglieli noi, dai!”, dice Fabio Riva. E Archinà: “In modo che io potrei lavorargli… a dire… sulla quantità piuttosto che sul profilo”. Darglieli in anteprima – deducono i finanzieri – significa che Archinà potrà iniziare a lavorare sul Liberti affinché (…) attesti che le emissioni di diossina del siderurgico siano in quantitativi notevolmente inferiori a quelli accertati all’esterno. Il 29 giugno 2010 è invece alquanto strana la reazione di Liberti, quando viene a sapere dall’ing. Roberto Primerano che la Procura di Taranto ha chiesto un incidente probatorio: “Cerca di appurare qualcosa, va dal magistrato”, il Pm Mariano Buccoliero. “Che soggetto da guerra”, dice. “Ma vada a…, sto cretino! Antipaticissima sta storia (…) ma si prenda consulenti i vigili del fuoco e se la veda con loro, non ci rompa più le scatole a noi”. Chiude questa prima trance di intercettazioni, quella di Archinà e Fabio Riva, del 15 luglio 2010. I due, insieme a Capogrosso, hanno appena terminato una riunione in Regione con il governatore Vendola. Poi Fabio Riva discute con il padre, Emilio, che gli propone di scrivere un comunicato fuorviante. “Si dice… si vende fumo, non so come dire! Sì, l’Ilva collabora con la Regione, tutto bene…”.

Gianmario Leone (Il Manifesto del 17 agosto 2012)

 


 

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