Il caso Taranto, comunicazione ambientale e politica in tempo di crisi

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Riportiamo un contributo gentilmente fornito dalla dott.ssa Sabina De Rosis. esperta in marketing e comunicazione, collaboratrice dell’IFC-CNR. L’articolo è stato pubblicato nei giorni scorsi sul sito www.scienzainrete.it.

Davanti al GIP di Taranto, Patrizia Todisco, gli otto ex-dirigenti dell’Ilva della città dei due mari si sono avvalsi tutti della facoltà di non rispondere. In questa delicata fase dell’inchiesta sull’inquinamento causato dal Siderurgico e sull’ipotesi di relativo disastro ambientale, si scontrano attenzione mediatica da un lato, silenzio dei principali indagati dall’altro.
Un silenzio non solo pesante, ma significativo.

DAL SOGNO INDUSTRIALE ALLA PERCEZIONE DEL RISCHIO

La comunicazione ha avuto, nell’evolversi del caso tarantino “ambiente-salute-lavoro”, un ruolo cruciale, spesso determinante, riscontrabile già a partire da come la costruzione dell’impianto era stata annunciata e accolta nella città jonica. Un documento degli anni ’60 descrive l’avvento dell’industria in termini futuristici come rivoluzione sociale, economica e culturale: “la forza nuova, la macchina” che arriva in un “mondo sonnolento” mutando in positivo “un destino umano che ha avuto sempre un nome solo: povertà”, “un gigantesco centro siderurgico (…) che diverrà il nucleo più potente e moderno della siderurgia italiana” soppiantando l’“avara civiltà dell’ulivo”. Taranto ha vissuto il sogno di diventare grandezza industriale, vedendo cristallizzarsi, fin dal principio, una dicotomia netta tra il progresso, cioè l’occupazione e la ricchezza portati dall’industrializzazione dell’area, e le risorse naturali rappresentate dall’ambiente, terra, mare e dalle “arretrate” attività connesse, agricoltura, pastorizia, mitilicoltura.

Con questi presupposti esplicitati da una comunicazione istituzionale, l’impianto è entrato a far parte del paesaggio tarantino fino ad essere vissuto come un elemento imprescindibile, segnando le sorti della città, la sua immagine ed auto-immagine, gli stessi valori nei quali riconoscersi. L’inquinamento prodotto dal comparto industriale, in particolare proprio dal siderurgico, diventa a Taranto un elemento tangibile, rappresentato dall’odore pungente presente nell’aria che accoglie ogni treno che arriva o transita dalla vicina stazione ferroviaria, dal colore del cielo che incombe sul capoluogo, da quanto resta avvinghiato ai polpastrelli passando le mani su un muro del quartiere Tamburi. Ma si rintraccia anche nel colore dei muchi degli operai dell’allora Italsider, nei loro stati di salute, nel bianco delle morti contate a Taranto, nella variazione nel numero di ricoveri, nella tipologia e frequenza di talune gravi patologie.

Diventa tangibile anche la ricchezza che il siderurgico produce, anche se in termini decrescenti nel tempo: l’occupazione aumenta, altri meridionali arrivano per lavorare nell’industria producendo un flusso migratorio sud-sud, si acquistano anche auto di lusso, negozi di firme importanti aprono nel centro del borgo nuovo, l’alfabetizzazione e l’istruzione crescono. Per anni il benessere economico pare aver ripagato i costi ambientali e il rischio per la salute che la comunità tarantina sta subendo: “L’abbiamo sempre saputo che l’Italsider inquina” si sente dire dagli abitanti di Taranto, “però ci dà da mangiare”. Una struttura logica che pone in antitesi, fin dai primi segni degli effetti dell’inquinamento, occupazione e salute: un aut-autsoggiacente ad un mix tra rassegnazione e accettazione del rischio, in virtù di benefici più tangibili, concreti ed immediati, in virtù di quella “soggettività” insita nel concetto stesso di “rischioso” (Douglas M., 1991). Facendo riferimento agli elementi che influenzano la percezione del rischio (Cori L., 2011), il rischio per la salute a Taranto è apparso per lungo tempo tollerabile, minore rispetto a quello reale, perché era conosciuto, portava vantaggi, era uguale per tutti e non immediato né tangibile nel presente.

Le parole pronunciate sono state spesso cruciali nella definizione di tale percezione, si sono intrecciate profondamente con le decisioni e l’evoluzione delle dinamiche politiche, di riconoscimento e rappresentazione degli interessi presenti sul territorio, l’espressione di paure o speranze.

IMPEGNO E STRUMENTALIZZAZIONE POLITICA

La questione ambientale, infatti, entra prepotentemente nelle parole degli esponenti politici, a cominciare già dalla campagna elettorale di Giancarlo Cito, esponente di un gruppo populista di destra e sindaco di Taranto nei primi anni ’90. Voleva entrare nell’impianto con le telecamere della sua televisione locale per filmare e denunciare le condizioni di lavoro degli operai e ii funzionamento dell’impianto, ma “pressioni” di vario genere non glielo permisero. Negli stessi anni il siderurgico passa nelle mani del Gruppo Riva, diventando privato, diventando parte dell’impero Ilva. E dopo essersi consumato il primo default finanziario di un Comune italiano, da un lato cominciano ad emergere i gruppi di cittadini informati e consapevoli, dall’altro i gruppi ambientalisti, spesso sovrapposti, mentre diventa sindaco Ippazio Stefàno, un pediatra. E proprio sui gruppi più vulnerabili, i bambini, si intrecciano le preoccupazioni dei Tarantini alla luce dei casi sempre più frequenti di malattie anche in questa fascia di popolazione. E i Tarantini si chiedono sempre più spesso negli ultimi anni se le pressioni ambientali esercitate dal complesso industriale sono dannose non solo per le pecore, abbattute a migliaia in un raggio di 20 km dall’area industriale, ma anche per le persone.

Sono gli anni in cui sono andate mutando le priorità di una fascia della popolazione del capoluogo jonico, come anche le poste in gioco e la distribuzione costi benefici, a causa di licenziamenti e gestioni aziendali dell’Ilva (si veda in merito il caso della Palazzina LAF e il mobbing sugli operai sindacalizzati). L’attenzione ritorna sul rischio, su cosa è e su cosa è ritenuto accettabile e, quindi, sulle sue dimensioni percepite e reali. Il collegamento tra malattia e inquinamento è per alcuni ovvio, per altri fantascientifico, e diventa argomento di interesse diffuso, di proteste, di approfondimento tecnico-scientifico, di dibattito politico. E giuridico.

È, infatti, proprio il processo in corso tra i pastori –  quelli danneggiati economicamente dagli effetti di un inquinamento ambientale di cui non sono responsabili, appoggiati dalle associazioni ambientaliste di Taranto – e l’Ilva a puntare le luci sulla questione “ambiente-salute-lavoro”. Finalmente il non detto viene messo nero su bianco, le responsabilità sull’inquinamento vengono formalizzate in accuse, le supposizioni sul legame inquinamento-salute diventano il punto di partenza di un’approfondita indagine epidemiologica richiesta dal GIP. Non a caso questo è stato l’argomento cardine dell’ultima campagna elettorale a Taranto: la battaglia elettorale è stata vissuta come decisiva per le sorti dell’impianto siderurgico, e della città stessa. Il destino del capoluogo è percepito come ontologicamente legato a quello dell’Ilva, sia in termini positivi per l’indotto economico e l’occupazione, sia in termini negativi per gli impatti sull’ambiente, sulla salute e sui comparti economici primario e terziario (agricoltura, pesca, mitilicoltura, turismo), secondo la dicotomia già descritta e che si è andata rafforzando negli ultimi anni. Questa sorta di referendum era legato alle figure di Ippazio Stefàno, sindaco uscente sostenuto in particolare da Partito Democratico e Sinistra Ecologia e Libertà, orientato verso una conciliazione dei temi ambiente-lavoro per difendere l’occupazione, e Angelo Bonelli, leader nazionale dei Verdi sostenuto da liste civiche ambientaliste, rappresentante di quella parte della popolazione che vede nella chiusura dell’area a caldo dell’Ilva l’unica soluzione per la tutela della salute pubblica.

La comunicazione ambientale è, in questo caso, strumento di quella politica: da un lato si parla di ambiente e sviluppo come paradigma possibile ed auspicabile di sostenibilità, ma non si fa riferimento alle questioni relative alla salute, al contrario si accusa l’avversario politico di “speculare sul dramma ambientale, mettendo a repentaglio la sicurezza economica di centinaia di famiglie”(Francesco Parisi, in Giornale di Puglia); dall’altra parte si punta tutto sul binomio fondamentale ambiente e salute, parlando esplicitamente di ricatto occupazionale che tiene in scacco la città, proiettandola in una dimensione di futuro e alternativa che va al di là dei tempi consueti della politica e fors’anche nell’immaginazione dei Tarantini.
In questo contesto ad esprimersi sulle questioni occupazionali e ambientali non sono  solo i candidati: anche l’arcivescovo di Taranto, monsignor Filippo Santoro, nel periodo dei Riti della Settimana Santa, evento atteso e particolarmente sentito nella Provincia jonica, invita i Tarantini ad un voto secondo coscienza per difendere il bene comune. Il comitato Unicef di Taranto punta invece l’attenzione sui diritti dei bambini chiedendo impegni ed azioni concrete. Ma ad imporsi nello stesso periodo è soprattutto la massiccia campagna pubblicitaria istituzionale dell’Ilva: televisioni locali, giornali, radio, web e, per la prima volta, cinema e bus urbani ed extraurbani riportano lo slogan: “Non fermarti alle apparenze. Ilva. C’è un mondo dentro”. Negli spot si sottolineano gli investimenti in modernizzazione e “ambientalizzazione” dell’impianto per adeguarsi alle normative europee e regionali e rientrare nei limiti imposti per legge poiché oggetto dei crescenti controlli e monitoraggi effettuati dall’ARPA Puglia. Lo scopo delle iniziative di marketing dell’Ilva è promuovere l’immagine dell’Ilva, fornire il punto di vista aziendale contro i “pregiudizi” e le valutazioni “superficiali” dell’agire d’impresa dal punto di vista ambientale e di responsabilità sociale, rassicurare sul controllo e la gestione degli eventuali rischi legati alla produzione d’acciaio, rafforzare il legame di fiducia con la comunità ma soprattutto con i proprii dipendenti, di cui l’azienda vuol dimostrare di prendersi cura, assicurando un bene quanto mai prezioso in tempo di crisi, il lavoro, che nessuno garantisce. Nemmeno le istituzioni pubbliche.

“Padre e padrone” si suol dire nel Mezzogiorno con riferimento al capofamiglia dei nuclei patriarcali. Padrone e padre si potrebbe azzardare per descrivere il sentimento della marcia degli operai Ilva su Taranto del 30 marzo scorso: alcuni remunerati, altri volontariamente scesi in piazza per difendere l’azienda e il lavoro, come diritto inalienabile davanti all’incertezza dei dati epidemiologici potenzialmente causa della chiusura dell’impianto. Proprio davanti allo stabilimento siderurgico Ippazio Stefàno decide di chiudere la sua campagna elettorale: altro messaggio forte di comunicazione politica e ambientale, paragonabile per certi versi alla traversata dei mari interni di Taranto da parte di Giancarlo Cito ai tempi del suo mandato.

L’affluenza alle urne, di poco superiore al 60%, non ha solo rappresentato il disinteresse politico dei Tarantini, quando la diffusa sfiducia nella classe politica, la disillusione e la sensazione che nulla sia mutabile e che le promesse elettorali non possano che restare tali: una rassegnazione interiorizzata anche dalle nuove generazioni. Tuttavia quella parte della popolazione che vota sceglie la continuità, piuttosto che la rottura rappresentata dai Verdi, descritti spesso come “estremisti” per le loro proposte o “estranei al territorio” e quindi incapaci di comprenderne e interpretarne esigenze, interessi, valori dello stesso. Al ballottaggio, infatti, non giunge Bonelli ma, con meno del 20%, Mario Cito figlio dell’ex-sindaco della città, tele-predicatore e condannato per concussione Giancarlo Cito, di cui prima.

IL RUMORE DEI DATI ROMPE IL SILENZIO

Conclusa la tornata elettorale, i riflettori della politica locale sulla questione Ilva si spengono, mentre le opposizioni tra cittadini attivi e operai sembrano inasprirsi, in mancanza di un vicendevole riconoscimento di valori, aspettative, scelte, legittimi interessi. L’assenza di strumenti di partecipazione e inclusione e il silenzio delle Istituzioni locali, occupate a contenere i conflitti interni, lasciano spazio alla presenza tangibile delle autorità tecniche, in particolare l’ARPA Puglia, e alle Istituzioni regionali. Il Presidente della regione Nichi Vendola è proprio l’attore principale di una nuova legge regionale, oggetto di avverse interpretazioni, che egli stesso ha infelicemente definito “salva-Ilva” (sembra che con l’introduzione della Valutazione del Danno Sanitario per legge l’impresa sarebbe in condizione di adeguare la produzione di inquinanti dell’impianto siderurgico ad un livello considerato accettabile per un SIN come Taranto).

Ancora una volta la comunicazione ha un ruolo centrale nella vicenda tarantina. Si parla di “danno” anziché di “impatto”, con una prospettiva che è quella di gestione dei rischi per la salute piuttosto che di prevenzione. Ma si attende la definizione del regolamento per comprendere se questa interpretazione delle parole non sia superata dai criteri metodologici fissati dalla Giunta regionale pugliese coadiuvata da consulenti tecnici. I danni per la salute che l’Ilva dovrebbe minimizzare sono quelli descritti dall’indagine epidemiologica richiesta dal GIP Todisco nell’ambito del processo al siderurgico. I dati epidemiologici, infatti, producono un terremoto politico e sociale senza precedenti a Taranto: si chiarisce la metodologia utilizzata, la gestione e minimizzazione dell’incertezza (aspetto ontologico in epidemiologia) e si diffondono i dati che associano alla produzione industriale e ai relativi prodotti inquinanti i loro impatti sull’ambiente e sulla salute in termini di morbosità e di mortalità.
L’indagine risponde alle domande esplicite e a quelle non espresse dei cittadini di Taranto di comprendere le dimensioni di quel rischio che avevano valutato come accettabile prima della crisi economica ed ambientale. L’incertezza diventa il tema centrale della comunicazione politica, ambientale e aziendale: utilizzata per negare la validità dei risultati o l’autorevolezza e affidabilità, oppure criticata perché percepita come “calata dall’alto”, “da lontano” perché prodotta da esperti e tecnici non Tarantini, o, ancora, vista come superflua o tardiva poiché fornisce numeri ed evidenze su un’equazione già conosciuta, su un tema già ampiamente trattato da medici del territorio.

In merito l’assenza e il silenzio dei rappresentanti della Provincia e, soprattutto, del Comune di Taranto, che erano stati percepiti come ipostasi di una soluzione tra ambiente-salute e lavoro, diventano tangibili e significativi durante il workshop organizzato dall’ARPA Puglia nel borgo antico della città dei due mari, sulla valutazione economica del danno ambientale e della salute: occasione nella quale si è ampiamente discusso il caso di Taranto, cercando di affrontare tutti i temi più importanti in un caso di estrema complessità e crisi, quasi “riaccesa” emergenza. Nel silenzio politico, anche in quest’occasione esplode il conflitto sottoforma di incomunicabilità tra attivisti ambientalisti e operai dell’Ilva: “le situazioni di conflitto generano lo sviluppo di un discorso schematico e banale, in cui la realtà viene appiattita e i giudizi di valore tendono a non distinguersi dai fatti, dagli impegni o dalle conclusioni scientifiche” (Battaglia F., Bianchi F., Cori L., 2009), e le posizioni si estremizzano cristallizzando definitivamente la dicotomia tra ambiente-salute e lavoro, come due beni inconciliabili, due soluzioni non integrabili.

Nelle motivazioni del GIP di Taranto, che accompagnano il provvedimento di sequestro senza facoltà d’uso dell’area a caldo dello stabilimento siderurgico, questa dicotomia non appare così netta, e viene soppiantanta dall’idea che lo sviluppo debba essere sempre sostenibile socialmente ed ambientalmente, e che a provocare i danni ad ambiente e salute non sia stata l’impresa in termini assoluti, ma una sua gestione incurante delle esternalità negative della produzione. Ma contemporaneamente, lontano dalle manifestazioni degli operai, dal blocco di Taranto e da chi cerca di difendere l’operato della magistratura,  si manifesta e si rivela (anche in Senato di fronte al Ministro Clini) l’apparente inconciliabilità di due visioni che ricordano gli estremi verso i quali Gfk Eurisko indicava il procedere della società: solidarietà ed etero-direzione da un lato, evolutesi con lo sviluppo in benessere consumistico ed edonismo post-materiale, e individualismo e auto-direzione dall’altro, evolutesi in qualità della vita (Gfk Eurisko, 2009).

Una dicotomia cui, tuttavia, è necessario trovare una soluzione positiva, win-win, anche a partire da quanto viene comunicato e come. È indicativo che nell’udienza in Senato sopra menzionata il Ministro dell’Ambiente Clini abbia parlato di Taranto e di Ilva in termini prettamente produttivi e di sviluppo, senza menzionare i dati delle indagini epidemiologiche, il legame tra ambiente e salute, la tutela di beni e diritti fondamentali insieme all’occupazione, la prevenzione degli impatti oltre alle azioni di bonifica e risanamento.

L’EMBLEMA DI UNA CRISI

Crisi economica globale da un lato, ma dall’altro anche crisi ambientale, crisi sociale, crisi del lavoro. Taranto si pone quale un caso emblematico di come si intreccino questioni fondamentali per l’essere umano all’interno di un sistema di per sé profondamente complesso, nel quale la situazione contestuale genera fenomeni di ulteriore complessità.

Affrontare la complessità semplificando è rischioso e può generare delle situazioni critiche nella gestione delle emergenze, così come delle questioni ambientali in genere. La sfida appare, dunque, quella di confrontarsi con i singoli contesti, includere i rappresentanti di tutti i valori e gli interessi in gioco, riconoscendoli e legittimandoli sul tavolo delle decisioni, dar conto a tutti gli attori interessati ex-ante, comunicare l’incertezza senza nasconderla o strumentalizzarla.

Se davvero Taranto può ambire ad essere il laboratorio italiano dello sviluppo sostenibile in una regione che intende porsi in pole position nella gara della sostenibilità, allora bisogna prendere in considerazione l’importanza della comunicazione, della condivisione delle conoscenze, della partecipazione inclusiva e deliberativa, quali strumenti per integrare la complessità, senza semplificarla o negarla, ma facendola diventare un valore, un’opportunità.

Riferimenti Bibliografici

Anselmi P. (2009) “I comportamenti e i valori globali” in GfK Eurisko, Social Trends 106, pp. 12 – 19, febbraio 2009. Risorsa disponibile online

Battaglia F., Bianchi F., Cori L. (2009), Ambiente e salute: una relazione a rischio, Il Pensiero Scientifico Ed., Roma

Cori L. (2011), Se fossi una pecora verrei abbattuta?, Scienza Express, Milano

 

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