Ilva, Michele Riondino: “I tarantini sono sempre stati merce di scambio”
TARANTO – «Avrebbero dovuto produrre benessere e non solo acciaio. In realtà, a Taranto si è prodotto soprattutto disagio alimentando anche una certa paura: il famoso ricatto occupazionale. Si vive in una situazione agghiacciante: non posso dire che sto male, altrimenti qualcuno mi dice che potrei stare peggio. Non è così che dovrebbe funzionare, non è così che funziona nel mondo». Anche una serata apparentemente leggera, come quella organizzata ieri allo Yachting Club di San Vito può diventare un’occasione per parlare del controverso rapporto tra Ilva e Taranto. Ciò è inevitabile quando il protagonista, intervistato dal giornalista Michele Tursi, è l’attore Michele Riondino, tarantino doc, rimasto profondamente legato alle sue radici.
Qualche giorno fa ha approfittato del suo ritorno in città per partecipare ad un’assemblea pubblica del comitato “Cittadini e lavoratori liberi e pensanti”, nel quartiere Tamburi. «Erano circa duecentocinquanta persone – ha raccontato Riondino – e tutte hanno voluto parlare, testimoniare il loro disagio. Io non me la sentivo di intervenire. Preferisco parlare di Taranto quando sono fuori, con gente che non la conosce. Quando sei di fronte ai tuoi concittadini devi stare attento, devi essere preciso, non puoi permetterti di sbagliare o dire cavolate perché loro la conoscono bene la situazione».
Alla fine, però, quella sensazione di imbarazzo che rischiava di bloccarlo ha lasciato il posto all’esigenza di prendere la parola. Con una sola grande finalità, però: dimostrare la vicinanza alla sua gente, il suo essere parte integrante di una comunità stanca di subire soprusi e pronta ad alzare la testa, a marciare con la schiena dritta. Una benefica complicità, dimostrata sia durante le apparizioni televisive che nelle diverse interviste rilasciate alla stampa nazionale. Attore di talento e trentenne dotato di buon senso, Riondino ieri sera ha nuovamente puntato il dito contro i responsabili e i complici del disastro ambientale (e sanitario) che da decenni devasta il territorio ionico.
«Purtroppo, è la politica che ci ha messo in queste condizioni – ha continuato Riondino – Taranto e i tarantini sono sempre stati una merce di scambio: numeri che valgono solo quando c’è da votare. Quando invece c’è da alzare la voce, abbiamo tutti contro: dalla politica ai sindacati. Non si è mai visto da nessuna parte ciò che accade a Taranto: le tre sigle sindacali più importanti alimentano la logica aziendale – frase quest’ultima accolta da applausi scroscianti, ndr – “non dobbiamo pretendere l’adeguamento degli impianti altrimenti ventimila lavoratori perdono il posto di lavoro”. Questo è il ricatto. Ok, ci sono ventimila persone che lavorano per lo stabilimento, ma sono rimaste 190mila persone a Taranto che ci vivono, mentre trent’anni fa erano molte di più. Questo vuol dire che la politica ha deciso di rinunciare a Taranto e di sacrificarla. A questo punto bisogna prendere coscienza di una serie di delusioni politiche e non solo. Io ho manifestato con la Cgil a Melfi, sono stato insieme agli operai, ma qui i sindacati non vogliono sapere cosa sta succedendo veramente. Quindi è meglio che ne se stiano a casa loro».
Un messaggio semplice e chiaro già recapitato ai leader sindacali nazionali e locali durante la manifestazione dello scorso 2 agosto, quando una parte della cittadinanza ha protestato in modo eclatante ma pacifico. Una giornata storica per una comunità che troppe volte ha chinato la testa. Una giornata in cui, usando le parole dello stesso Riondino, un minuscolo e innocuo “apecar è riuscito a trasformarsi, agli occhi di tanti, in un carrarmato”. Il simbolo di una svolta che non può e non deve fermarsi a quel 2 agosto.
Alessandra Congedo