Ilva, un decreto per un atto inutile
TARANTO – Dopo la ratifica di giovedì 26 luglio a Roma tra governo centrale, regionale e locale, nella giornata di ieri il Consiglio dei Ministri ha dato il via libera al Decreto Legge su Taranto, che per le nostre istituzioni consentirà un’accelerata nella realizzazione degli interventi previsti in materia di bonifica e ambientalizzazione all’interno del Protocollo d’Intesa. Sono stati dunque sbloccati i 336 milioni di euro “necessari” per il sito d’interesse nazionale di Taranto, che il 30 novembre del 1990 venne dichiarata area ad “elevato rischio di crisi ambientale”. Nelle intenzioni del governo, così come di Regione, Provincia e Comune di Taranto, questo decreto servirà finalmente a rendere disponibili le risorse e semplificare le procedure di accesso ad esse, affinché gli interventi previsti siano attuati in tempi certi.
Sempre ieri, il CIPE ha sbloccato con una delibera 21 mld di euro destinati al Sud: tra gli interventi di manutenzione straordinaria del territorio, sono presenti misure per il risanamento ambientale e la riqualificazione di Taranto, in particolare per quanto riguarda il quartiere Tamburi, il più esposto alle emissioni del siderurgico: ma questo nella delibera non è specificato, il che vuol dire che siamo ancora alle intenzioni. Nella delibera del CIPE, si legge infatti che è “approvato il finanziamento, per complessivi 1.060,5 milioni di euro, di interventi prioritari nel Mezzogiorno per la manutenzione straordinaria del territorio (bonifiche/rifiuti/sistema idrico integrato, difesa del suolo e forestazione)con onere a carico delle risorse regionali 2000-2006 e 2007-2013 del Fondo per lo sviluppo e la coesione”. Stando a quanto riportato nelle tabelle del protocollo d’intesa per Taranto, i fondi sbloccati dal CIPE dovrebbero servire al completamento della copertura finanziaria dell’accordo del 5/11/2009 per la realizzazione degli interventi di dragaggio dei sedimenti nel molo polisettoriale di Taranto, alla rimozione dei sedimenti contaminati da PCB nel I seno del Mar Piccolo nelle aree di mitilicoltura e alla messa in sicurezza delle Aree PIP del Comune di Statte.
Ora però, bisognerà vedere in che modo si sceglierà di operare, con quali tecniche e modalità. Della qual cosa si inizierà a discutere lunedì mattina, rigorosamente in quel di Bari, dove avrà luogo la prima riunione della cabina di regia affidata alla Regione Puglia, che dovrà coordinare il tutto grazie al controllo di un Comitato di Sottoscrittori. Certo è che sarà molto interessante capire se ed in che modo i nostri prodi riusciranno a rendere possibile il paradosso che giovedì hanno urlato a gran voce anche i sindacati: ovvero avviare la bonifica in un territorio in cui le principali sorgenti inquinanti (Ilva, Eni, Cementir) continueranno ad insistere e ad inquinare con le loro emissioni. Lo stesso Clini del resto, sempre ieri ha affermato come “il decreto legge non dà indicazioni specifiche nel merito, ma attiva procedure per velocizzare gli interventi”. Il ministro ha anche ricordato poi un qualcosa che solo in un paese come l’Italia può avvenire: e cioè che qualora venissero attuate dall’azienda una serie di innovazioni tecnologiche nel breve periodo, “l’Ilva potrà accedere ai fondi pubblici”.
Quindi non solo lo Stato interviene con i soldi dei contribuenti per riparare ai danni di un privato che inquina dal 1995, ma rende anche possibile l’assurdità secondo cui un privato vada premiato con soldi pubblici qualora investa sulle migliori tecnologie, quando fare ciò è previsto dalle direttive dell’Unione Europea. Ciò detto, è bene ricordare ancora una volta come il protocollo d’intesa in questione preveda nella maggior parte dei casi, lo sblocco di fondi per progetti già approvati da tempo e destinati all’area di Taranto. In pratica, come denunciammo in solitaria lo scorso 27 luglio, un autentico bluff. Lo stanziamento complessivo previsto dal protocollo di 336.668.320 euro, di cui 329.468.000 di parte pubblica e 7.200.000 di parte privata (non l’Ilva ma la TCT, che gestisce il traffico dei container nello scalo ionico), è così suddiviso: 119 per ‘interventi di bonifica’, 187 per ‘interventi portuali’ e 30 per ‘interventi per il rilancio e la riqualificazione industriale’.
Ma tutto questa divisione altro non é che una rendicontazione sia di progetti da anni in itinere per lo sviluppo di Taranto sia di cifre prive di copertura economica a carico dello Stato. Dal Mar Piccolo ai Tamburi, dai dragaggi al potenziamento delle banchine del molo polisettoriale, vengono elencati una serie di interventi già annunciati o stanziati anni addietro. Del resto, istituzioni, sindacati e azienda, non possono certo indignarsi oggi per l’azione della magistratura né per la totale mancanza di fiducia di cui godono presso i cittadini e gli operai. Perché quel poco che stanno facendo oggi, tra l’altro in tutta fretta e per questo decisamente inutile, non potrà mai essere la sostituzione di ciò che avrebbero dovuto e potuto fare. Perché la storia non si può cancellare o dimenticare a proprio piacimento. Mai. Ad esempio, sul supplemento ordinario della Gazzetta Ufficiale n.380 del 30 novembre 1998, fu pubblicato il “Piano di disinquinamento per il risanamento del territorio della provincia di Brindisi e Taranto”.
L’Enea nel 1994, quindi quattro anni prima, predispose uno studio per l’area a rischio di Taranto con il quale fu poi redatto il Piano di Risanamento approvato con Dpr 196 del 23 aprile 1998, istituendo Comitati Tecnici di Coordinamento per l’attuazione del Piano. Il decreto “Bassanini” del 1998 delegò alle Regioni il compito di individuare le aree alterate che comportavano rischi per la popolazione. Con Ordinanza n.3077 del 2000 del ministero dell’Interno, la gestione dell’area a elevato rischio ambientale fu affidata al Commissario Delegato per l’Emergenza Ambientale in Puglia con la funzione di sovrintendere e coordinare gli interventi e le attività contenute nei Piani di Risanamento. Eppure, nonostante ciò, a tutt’oggi non è stato elaborato il piano di bonifica e di messa in sicurezza per il sito di Taranto. Organismi come l’Osservatorio Regionale della Puglia, l’Enea, l’Istituto Superiore di Sanità e l’Organizzazione Mondiale della Sanità, attraverso vari studi epidemiologici, negli anni hanno verificato l’incremento di gravi patologie nell’area di rischio che comprende i Comuni di Taranto, Crispiano, Massafra, Montemesola e Statte. Parliamo di un’area di circa 560 chilometri quadrati e su ogni chilometro quadrato ci sono mediamente 1705 abitanti (dati Istat 2001). Appare chiaro dunque come i pochi milioni stanziati, non solo non basteranno a bonificare alcunché, ma soprattutto dimostra come sia del tutto assurdo pensare che il gruppo Riva non debba risarcire il territorio ionico per i tantissimi danni apportati, chiedendo all’azienda semplicemente di ammodernare i suoi impianti.
Dimenticando peraltro come sino alla settimana scorsa, istituzioni, politici e sindacati non abbiano fatto altro che difendere gli investimenti realizzati dall’azienda, la cui storia a Taranto è stata fatta a pezzi dalle ordinanze del GIP Todisco. Che conosce molto bene quanto sopra. E che nelle pagine delle sue due ordinanze, ad un certo punto scrive testualmente: “Trattasi di un disastro ambientale inteso chiaramente come evento di danno e di pericolo per la pubblica incolumità idoneo ad investire un numero indeterminato di persone. Non vi sono dubbi sul fatto che tale ipotesi criminosa sia caratterizzata dal dolo e non dalla semplice colpa. Invero, la circostanza che il siderurgico fosse terribile fonte di dispersione incontrollata di sostanze nocive per la salute umana e che tale dispersione cagionasse danni importanti alla popolazione era ben nota a tutti”.
Ecco perché nessuno, oggi, può recitare la parte di chi non sapeva o di chi un qualcosa lo ha comunque detto e scritto. Perché a Taranto andavano realizzati i fatti. Ed invece abbiamo perso anni e anni in omertà o in chiacchiere. Sino a che la magistratura non ha deciso di scrivere la parola fine. E con loro tanti cittadini e operai che in queste ore si stanno alleando per ottenere finalmente giustizia. “Io dico addio a tutte le vostre cazzate infinite, riflettori e paillettes delle televisioni, alle urla scomposte di politicanti professionisti, a quelle vostre glorie vuote a chi si nasconde con protervia dietro a un dito, a chi non sceglie, non prende parte, non si sbilancia o sceglie a caso per i tiramenti del momento curando però sempre di riempirsi la pancia” (“Addio”, Francesco Guccini).
Gianmario Leone (dal TarantoOggi del 4 agosto 2012)