Ilva, una giornata storica

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TARANTO – E venne il giorno. E ad intuirlo per primi, anche per via delle tante indiscrezioni diffusesi dalla tarda mattinata di ieri, sono stati proprio loro: gli operai Ilva. Che ogni giorno, da decenni, varcano i cancelli di una fabbrica la cui storia, da ieri, volente o nolente, è cambiata. Dovrà cambiare. A migliaia, a cavallo tra il primo e il secondo turno, sono usciti dallo stabilimento per incamminarsi sulla statale 100 che porta direttamente in città. Hanno oltrepassato il ponte di Pietra attraversando prima la città vecchia, poi il ponte Girevole: punto d’arrivo la Prefettura, per avere un confronto col Prefetto. Che ha garantito loro la massima attenzione per la loro situazione.

Poi, una volta arrivata la notizia ufficiale della notifica dei provvedimenti del GIP Todisco, la decisione di entrare in sciopero permanente, mantenendo per tutta la notte vari blocchi: sul ponte Girevole, sul ponte di Pietra, sulla statale 100, sulla statale 7, per finire al blocco dei binari della Stazione. In attesa dell’assemblea generale convocata per questa mattina alle 7 dai sindacati confederali. Che nella serata di ieri sono stati convocati d’urgenza dalla proprietà, per discutere sul da farsi. Una riunione “conoscitiva”, visto che le 600 pagine del provvedimento del GIP non erano ancora arrivate in azienda, perché notificate via fax a Milano, alla sede centrale del gruppo Riva.

Di certo c’è che per quanto riguarda i sigilli agli impianti, sono state individuate tre figure tecniche (due funzionari dell’Arpa Puglia e uno dei Dipartimenti di prevenzione dell’Asl di Bari) che dovranno sovrintendere alle operazioni e garantire il rispetto delle norme di sicurezza. Della gestione delle fasi che attengono al personale si occuperà un commercialista e revisore contabile. Al momento, gli impianti implicati nel procedimento d’inchiesta resteranno in marcia di sicurezza: per capirci, gli altiforni saranno alimentati con il coke, ma non ci sarà alcuna produzione attiva. Il tutto, in attesa di conoscere il destino degli stessi: perché è chiaro che dare il via allo spegnimento degli impianti dell’area a caldo, vorrà dire che per la loro riaccensione ci vorranno dai due ai tre anni. Nella riunione di ieri sera, di più non è stato detto.

Non si è accennato né a futura cassa integrazione, né alla messa in libertà degli oltre 5 mila operai che operano nell’area a caldo. E’ dunque scontato sostenere che al momento, la vera parte lesa di tutta questa situazione, siano in primis proprio loro, gli operai: stretti nella morsa dell’incubo della perdita del posto di lavoro da un lato, con la consapevolezza oramai nero su bianco dall’altro, di aver lavorato per anni per un’azienda che “ha continuato nell’attività inquinante con coscienza e volontà per la logica del profitto, calpestando le più elementari regole di sicurezza”. Non solo ambientale, ma anche lavorative. Dunque, anche e soprattutto per gli operai. Non sarà infatticompito loro il dover trovare una soluzione immediata e credibile ad un qualcosa che è stato denunciato, invano, per anni. Certo è che da oggi, saranno soprattutto loro a dover pretendere un cambiamento radicale nella gestione dell’azienda. Perché continuare sulla strada dei ricorsi, non avrebbe alcun senso logico. Né alcuna giustificazione.

Dovranno pretendere anche loro il rispetto della loro salute e della loro sicurezza. Perché non osiamo immaginare cosa proveranno quando leggeranno, nel dispositivo del GIP, che “l’attuale gruppo dirigente insediatosi nel maggio ‘95, periodo in cui erano assolutamente noti non solo il tipo di emissioni nocive che scaturivano dagli impianti ma anche gli impatti devastanti che tali emissioni avevano sull’ambiente e sulla popolazione’, così come gli effetti subiti dalle aziende agricole, e che già nel 1997 e poi a seguire fino ad oggi, gli accertamenti dell’Arpa evidenziavano i problemi per la salute che determinavano le emissioni del siderurgico, l’intero gruppo dirigente ha sottoscritto degli atti d’intesa volti a migliorare le prestazioni ambientali che si sono rivelati la più grossolana presa in giro compiuta dai vertici dell’Ilva”. Atti d’intesa che sono stati firmati e difesi strenuamente per anni da quegli stessi sindacati che ieri marciavano al loro fianco come se niente fosse.

Così come gli operai dovranno chiedere ai sindacati ed alla politica, oltre ai vertici della loro azienda, cosa fare di questa benedetta eco-compatibilità, principio cardine che prevede che rispetto dell’ambiente, della salute e del lavoro, procedano di pari passo. Per anni abbiamo invano tentato di convincerli che ciò non fosse assolutamente logico, oltre che possibile. Perché di fronte al diritto alla vita e alla salute, non c’è ragione che tenga. Ritroveranno queste nostre parole nella tesi del GIP Todisco, che ricorda a tutti come “la salute e la vita umana sono beni primari dell’individuo, la cui salvaguardia va assicurata in tutti i modi possibili”. Il che vuol dire che il miliardo di investimento nell’ambientalizzazione dell’Ilva, non è bastato a cambiare le cose. Anzi: chi ha diretto lo stabilimento doveva farlo “salvaguardando la salute delle persone e adottando tutte le misure e utilizzando tutti i mezzi tecnologici che la scienza consente, al fine di fornire un prodotto senza costi a livello umano”.

Dunque “non si potrà mai parlare di inesigibilità tecnica o economia quando è in gioco la tutela di beni fondamentali di rilevanza costituzionale, quali il diritto alla salute, cui l’art. 41 della Costituzione condiziona la libera attività economica”. E’ da qui che da oggi si dovrà ripartire. E’ questo che gli operai dovranno pretendere. Ieri è stato un giorno cruciale per la storia di Taranto. Il nostro pensiero, oltre che per gli operai e il loro futuro, è soprattutto per tutti coloro che oggi soffrono per i loro cari ammalati. E per tutti coloro che non ci sono più. Forse, è arrivato il momento di capire, una volta e per tutte, che siamo tutti parte di una stessa comunità. Che il futuro possiamo deciderlo e cambiarlo tutti insieme. Sprecare oggi questa immensa opportunità sarebbe davvero imperdonabile.

Gianmario Leone (dal TarantoOggi del 27 luglio 2012)

 

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