Sostanzialmente, la premessa dalla tesi alquanto “originale” sostenuta dal buon Clini, è la seguente: “il blocco degli impianti attuali dell’Ilva che sono in fase di risanamento ambientale, avendo in mente l’effetto di quelli che c’erano prima, sarebbe una contraddizione”. Clini, di fatto, dà per prima cosa una notizia assolutamente inedita: ovvero che gli impianti finiti nel mirino della magistratura e sui quali sono state redatte una perizia chimica ed una epidemiologica (cokeria, agglomerato e parchi minerali) sarebbero a tutt’oggi in fase di “risanamento ambientale”. In cosa consisterebbe quest’opera di “restauro” il ministro però non lo dice. D’altronde, si sa, in questi casi il “segreto di Stato” è d’obbligo. Ma tanto basterebbe, secondo il ministro, per evitare il blocco degli impianti. Strano: perché non sapevamo che un impianto industriale potesse essere risanato mentre è in fase di produzione.
Pensavamo che un impianto, a prescindere da chi o da dove arrivi la decisione di bloccarlo, dovesse essere comunque fermato per essere risanato. Ma il ministro va ben oltre nella sua analisi: ricalcando “stranamente” quando sostenuto più volte dallo stesso Gruppo Riva. Ovvero che “L’acciaieria di Taranto, che è la più grande d’Europa, per effetto delle normative ambientali nazionali ed europee negli ultimi cinque anni ha sostenuto investimenti importanti che ne hanno migliorato la produttività, riducendone l’impatto ambientale. C’è ancora molto da fare, c’è un ultimo miglio di investimenti che va accompagnato con le norme e sostenuto con investimenti”. Premesso che la storia del miliardo di euro investito per l’ambientalizzazione degli impianti è ancora tutta da dimostrare, non vorremmo guastare i sogni del ministro Clini, che di fatto ignora come quel miglio di cui lui parla, rischia di diventare un percorso ad ostacoli infinito.
Visto che negli ultimi anni l’Ilva, in assoluta tranquillità, ogni qual volta lo ha ritenuto opportuno, ovvero quasi sempre, ha puntualmente presentato ricorso al TAR di Lecce per evitare qualsiasi tipo di fastidio. Basterebbe ricordare al ministro Clini che l’Ilva ha anche presentato ricorso, peraltro vincendolo parzialmente, anche contro l’AIA rilasciatagli lo scorso 4 agosto dal ministero presieduto dallo stesso Clini, proprio su quelle pochissime prescrizioni che richiedevano interventi come l’installazione di nuovi sistemi di abbattimento di macro e microinquinanti o l’adozione delle tecniche necessarie per il rispetto dei limiti di emissione per ciascun camino. Ma il bello arriva quando Clini “redarguisce” l’opera della magistratura, sottolineando l’errore di fondo commesso dalla Procura di Taranto: “La magistratura sta intervenendo sull’attuale acciaieria avendo però in mente gli effetti dannosi degli impianti precedenti. L’intervento si basa su una valutazione epidemiologica dei danni per la salute provocati da 15 anni di attività. La contraddizione potrebbe essere un blocco degli impianti attuali in fase di risanamento ambientale, avendo in mente l’effetto degli impianti che c’erano prima”.
Per Clini infatti, la magistratura ha avviato un’indagine non rendendosi conto che alla base della stessa non ci fossero fatti oggettivi sui quali indagare, ma un pregiudizio mentale sull’inquinamento prodotto dall’Ilva in 15 anni di attività. Ovvero dal 1995 al 2010. Casualmente proprio l’arco di tempo su cui è spalmato il lavoro dei periti epidemiologi. Un tentativo alquanto goffo e bizzarro di sostenere l’insostenibile. Un modo come un altro, alquanto diplomatico, per preparare il terreno migliore in vista dell’incontro di domani con i vertici dell’azienda. Per fortuna, almeno alla fine della sua intervista, una cosa semi seria il ministro Clini la dice: “lo stoccaggio dei minerali dovrebbe essere gestito con procedure che limitino le polveri prodotte”. Dovrebbe: il condizionale la dice lunga su quello che ci attende.
Gianmario Leone (dal TarantoOggi del 23 luglio 2012)
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