Questi fantomatici “alcuni soggetti industriali”, altro non sono che Eni e Cementir, visto che l’Ilva ha abbandonato i tavoli tecnici sull’argomento in tempi non sospetti. Ma questo, visti i tempi che corrono, non si può assolutamente dire. Poi, improvvisamente, si entra nel tecnico. Pur rimanendo in una vacuità assoluta. Leggiamo insieme il testo del piano: “Nei giorni di particolare criticità climatica, i cosiddetti ‘Wind Days’, all’attività di cokeria viene prescritto di ridurre le operazioni di caricamento, sforamento e spegnimento di un 10%”: e chi mai dovrebbe entrare nell’Ilva e controllare che nel reparto cokeria si riduca il tutto del 10%? Come si fa a stabilire quando un giorno viene considerato effettivamente un “wind days” e quando invece no? Poi, improvvisamente, si torna nel vago: “a tutte le attività industriali presenti nell’area e soggette ad AIA che presentano materiali polverulenti stoccati in aree esterne, viene prescritto di ridurre la movimentazione dei materiali stoccati all’esterno, filmare o bagnare in maniera doppia rispetto al solito le materie prime, ridurre del 50% la velocità dei mezzi su pista all’interno degli stabilimenti e, infine, di ridurre del 10% il flusso di massa di emissioni in aria per gli inquinanti del Piano”.
Ora, qualcuno potrebbe dirci oltre all’Ilva quale altra azienda presente sul territorio tarantino presenta le caratteristiche su citate? Non solo non si nomina il siderurgico, ma si ha anche timore nel parlare chiaramente di parchi minerali, di nastri trasportatori e quant’altro. Per non parlare del riferimento, l’ennesimo, a questo fantomatico 10% di flusso di massa di emissioni da ridurre all’istante. Poi, per consentire “la progressiva e definitiva diminuzione delle concentrazioni di PM10 in aria ambiente”, il piano prevede qualcosa di assolutamente indefinito: ovvero che le aziende (quali?) “provvedano alla completa copertura degli stoccaggi esistenti all’aperto. In attesa che ciò avvenga, gli accumuli di materiale dovranno essere delocalizzati in zona sufficientemente lontana dal centro abitato e dalla strada che separa il rione tamburi dallo stabilimento Ilva o ridotti del 19% rispetto alla giacenza media del 2011 allo scopo di limitare l’altezza massima dei cumuli e la conseguente asportazione di polveri per l’azione del vento”. Ma per completa copertura degli stoccaggi esistenti per caso s’intende la copertura dei parchi minerali dell’Ilva?
Ne dubitiamo, visto che un provvedimento del genere andrebbe inserito come prescrizione AIA e non all’interno di un piano regionale di risanamento dell’aria. E poi, come si fa a coprire i parchi minerali se gli stessi, prima ancora di essere coperti, possono essere spostati “in zona sufficientemente lontana” (quanto lontana? Chi stabilisce il metro?) oppure, opzione alternativa a scelta, si possono ridurre del 19% rispetto alla giacenza media? Dunque, da un lato si intima una fittizia copertura dei parchi, per poi al rigo successivo offrire la scappatoia della riduzione dell’altezza di essi: un incredibile gioco di parole degno di nota a cui ci inchiniamo anche noi. Immediatamente dopo aver deciso se coprire, spostare o ridurre gli accumuli di materiale, il testo prevede che “all’entrata in vigore del piano le aziende dovranno presentare una relazione tecnica, la cui validità sarà esaminata da ARPA Puglia, che descriva le modalità di adeguamento entro un termine specificato”. Qualcosa ci dice che anche in questo caso, come per la Valutazione del Danno Sanitario prevista dalla legge regionale approvata sempre martedì scorso, i tempi saranno decisamente molto, ma molto lunghi.
Nel piano è presente anche il “tocco inconfondibile” del Comune di Taranto, che ha proposto e ottenuto che “la circolazione dei veicoli pesanti nell’area con particolare riferimento a quelli superiori ai 35 quintali, di tipo Euro 0, 1 e 2 sarà interdetta la circolazione all’interno del quartiere Tamburi, ad eccezione dei mezzi pubblici o di pubblica utilità che dovranno garantire servizio durante le ore notturne”. Peccato che l’ARPA, in una relazione tecnica proprio sugli IPA e il benzo(a)pirene presenti nell’aria del quartiere Tamburi del giugno 2010, avesse chiaramente scritto come l’impatto del traffico veicolare in termini di emissioni era dello 0,2%. Infine, nel piano è prevista una misura per le emissioni relative alle attività portuali in relazione allo stazionamento ed alle manovre dei mezzi, “per la cui riduzione è auspicabile l’elettrificazione delle banchine per il funzionamento dei sistemi a navi ferme”. Attenzione però. Perché il trucco c’è, si vede e si legge alla fine del testo.
Quando dopo aver definito il provvedimento “di natura epocale per l’area di Taranto”, si afferma candidamente che “si è ritenuto di focalizzare alcune misure nei cosiddetti “Wind Days”, che concentrano in se gran parte delle criticità ambientali per quanto riguarda la qualità dell’aria”. Lasciando a mezz’aria l’idea che tutto questo valga soltanto nei famosi giorni di vento. Con la speranza che “vi sia una forte collaborazione di tutti gli attori al fine di far rientrare i parametri emissivi e poter così programmare una sorta di exit strategy dall’impasse ambientale che stringe Taranto in questo momento”. Peccato che coloro i quali hanno presentato alla stampa nella giornata di ieri il piano, l’assessore alla Qualità dell’Ambiente, Lorenzo Nicastro, il direttore dell’Arpa Puglia, Giorgio Assennato, il presidente della Provincia di Taranto, Gianni Florido e il neo assessore alla Sanità e alla Qualità della Vita del Comune di Taranto Vincenzo Baio, abbiano dimenticato un piccolissimo quanto fondamentale particolare. Ovvero il decreto legislativo n.155 del 13 agosto del 2010 del Ministero dell’Ambiente che ha spostato il limite di tempo entro il quale rispettare la legge sulle emissioni del benzo(a)pirene (1 nanogrammo per m/c) al 1 gennaio del 2013.
Gianmario Leone (dal TarantoOggi del 19 luglio 2012)
CLINI SU ILVA: “PROBLEMATICHE LEGATE ANCHE AI DEPOSITI DI MATERIALI”
“Ci sono state informazioni aggiuntive sulle emissioni degli impianti per questioni che erano rimaste aperte nella procedura di Via (Valutazione dell’impatto ambientale) e di conseguenza abbiamo riaperto la procedura per affrontare queste tematiche”. Questo quanto affermato dal ministro dell’Ambiente, Corrado Clini, al termine di un’audizione in commissione Ambiente alla Camera, parlando del caso dell’Ilva di Taranto, alla vigilia dell’incontro odierno a Palazzo Chigi tra sindacati, governo e Regione Puglia. Si tratta, ha aggiunto Clini, “di un’integrazione perché lì c’è un problema aperto che riguarda valutazioni diverse che si leggono sui giornali sulla procedura di AIA (Autorizzazione Integrata Ambientale) e qui lo verifichiamo nel merito”. Le problematiche di Taranto, ha concluso, “non sono connesse solo agli impianti ma anche ai depositi di materiali che al momento non sono regolamentati al livello europeo”. Un riferimento sin troppo esplicito ai parchi minerali dell’Ilva, finiti nel mirino della magistratura tarantina.
G.L.
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