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Se questo lo chiamate diritto al lavoro

Riportiamo un nuovo articolo pubblicato dal TarantoOggi corredato da altre immagini, ricevute dallo stesso quotidiano, che meritano grande attenzione.

TARANTO – Ieri vi abbiamo mostrato cosa avviene all’interno dell’Ilva, nell’area ghisa dell’impianto di agglomerazione dello stabilimento di Taranto, dove si svolge la specifica attività di sinterizzazione. Dimostrazione lampante di come la realtà dei fatti sia lontana anni luce da quella descritta non solo dall’azienda, ma anche da istituzioni e sindacati.

Abbiamo potuto vedere con i nostri occhi quello che i periti chimici hanno scritto nella loro relazione in merito all’inquinamento proveniente da quelle aree. Oggi, però, vi mostriamo, se possibile, qualcosa di ancora più grave. Perché che l’Ilva inquini o che alcune aree non siano poste ad alcun controllo, se vogliamo, è un qualcosa di tristemente scontato. Ma quando si parla di vite umane, della loro sicurezza sul luogo di lavoro, allora il discorso cambia. Perché in questo paese siamo sempre stati bravissimi nel piangere dopo l’accadimento di fatti che tutti conoscevano.

Dunque. Sono le 9 del mattino del 3 luglio. La nostra eco-sentinella è nuovamente appostata all’esterno dell’Ilva e viene attirata da strani movimenti su una struttura: punta l’obiettivo della sua macchina fotografica aiutandosi con lo zoom e quello che vede e fotografa ha dell’incredibile. Oppure, visto che parliamo del più grande siderurgico europeo, dell’indecente. Ci sono due operai che lavorano senza alcun tipo di protezione, oltre che in bilico sulle rispettive strutture. Non portano nemmeno il casco. Indossano semplici cinture non collegate ad alcun supporto di sicurezza alla base dell’impianto su cui stanno intervenendo.
L’impalcatura che sostiene uno dei due, appare tutt’altro che stabile. E come si evince dai vari scatti che li riprendono da lontano, sono posti a più di qualche metro di altezza. Sotto il sole cocente di questi giorni. Le altre due foto, invece, rasentano ciò che in italiano possiamo definire con un solo termine: inumano. E’ la sera del 4 luglio. Altri operai, sempre su impalcature di fortuna, arrugginite, instabili. Almeno questi, paiono avere una cintura collegata ad un impianto di sicurezza. Il problema però qui è di altra natura. Perché lavorare a stretto contatto con impianti altamente inquinanti, proteggendosi con una semplice mascherina, è semplicemente assurdo.

Perché chi ha lavorato in Ilva sa perfettamente che in quelle circostanze è d’uopo indossare bombole d’ossigeno, proprio per evitare al massimo l’inalazione degli inquinanti emessi dai vari impianti su cui gli operai fanno manodopera. Per non parlare del fatto che gli stessi non indossano tute adatte, visto che si può notare lo scollamento che c’è tra le stesse e i guanti indossati dagli addetti ritratti nella foto. Ora. Sono anni che ci sentiamo ripetere da ogni dove che, oltre a tutelare il diritto alla salute e all’ambiente, in primis va tutelato il diritto al lavoro. Il che è già di per sé un controsenso, come più volte abbiamo sottolineato, visto che senza salute ottimale, nessuno può svolgere il suo lavoro. Ciò detto, ci piacerebbe sapere dai sindacati se sono a conoscenza o meno delle condizioni nelle quali operano i lavoratori dell’Ilva e quelli dell’appalto (visto che dalle foto in questione è difficile stabilire a quale categoria appartengano).

Ci piacerebbe sapere se quando parlano di “diritto al lavoro” intendono che pur di salvaguardare quest’ultimo, sono disposti a tollerare tutto o a girarsi dall’altra parte, perché non possiamo credere che tollerino che gli operai Ilva lavorino in certe condizioni. Evitiamo di tirare in ballo le istituzioni che entrano nel siderurgico solamente per inaugurare nuovi impianti o per assistere alle brillanti presentazioni dei rapporti annuali di “ambiente e sicurezza”. Così come ci piacerebbe sapere in base a cosa l’Ilva ha ottenuto nel 2011 per il secondo anno consecutivo il “Premio Missione Sicurezza”. O come sia possibile che in un’azienda dove i lavoratori operano nelle condizioni ritratte in queste foto, in un convegno di studi “Capitale Umano d’Impresa, organizzazione e flessibilità” sia stato assegnato allo stabilimento di Taranto il Premio “Aldo Fabris” per le politiche aziendali in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro.

Ma queste foto ci parlano anche e soprattutto di altro. Riportano alla famosa manifestazione dello scorso 30 marzo, quando oltre ottomila tra dirigenti, quadri e operai scesero in strada a manifestare sotto “consiglio” dell’azienda, con la giornata di sciopero pagata come fosse una lavorativa. Ciò che scrivemmo il giorno seguente, lo ribadiamo con forza ancora oggi: parlare di uomini servi del padrone e telecomandati dalla famiglia Riva, è un’ottusa e limitata visione politica. Perché in mezzo a quelle migliaia di operai scesi in piazza il 30 marzo scorso, il filo conduttore che legò la stragrande maggioranza delle dichiarazioni degli operai, fu una ricetta tanto semplice quanto “demoniaca” per i nostri politici: dateci un’alternativa economica e lavorativa, ché noi lasciamo immediatamente l’Ilva; viceversa, pur sapendo che inquina, ammala e uccide, ci dà lavoro e pane per sfamare noi e le nostre famiglie. Ed é sempre quello il motivo che li porta anche a lavorare in condizioni di assoluta precarietà come dimostrano queste foto. Che ci riportano, ancora una volta, alla perizia epidemiologica dei periti proprio nel capitolo relativo alla salute degli operai Ilva.

Coloro che hanno prestato servizio presso l’impianto siderurgico negli anni ‘70-‘90 con la qualifica di operaio, mostrano un eccesso di mortalità per patologia tumorale (+11%), in particolare per tumore dello stomaco (+107), della pleura (+71%), della prostata (+50) e della vescica (+69%). Tra le malattie non tumorali sono risultate in eccesso le malattie neurologiche (+64%) e le malattie cardiache (+14%). I lavoratori con la qualifica di impiegato hanno invece presentato eccessi di mortalità per tumore della pleura (+135%) e dell’encefalo (+111%).“Il quadro di compromissione dello stato di salute degli operai della industria siderurgica – si legge nella perizia – è confermato dall’analisi dei ricoveri ospedalieri con eccessi di ricoveri per cause tumorali, cardiovascolari e respiratorie. L’esame dei dati di incidenza tumorale ha mostrato un aumento, anche se basato su pochi casi, dei tumori del tessuto connettivo sia negli operai (3 casi) che negli impiegati (3 casi) del settore siderurgico ed un coerente incremento di casi di mesotelioma”.

Siamo anche disposti a battagliare sul rispetto delle leggi. Ma non saremo mai disposti a tollerare che gli operai dell’Ilva lavorino in certe condizioni. Perché la loro salute è la prima che va tutelata. Ancora prima del loro posto di lavoro. Senza se e senza ma. “Erano in tre e si doveva eseguire un lavoro; il più forte decise che avrebbe diretto le varie fasi dell’esecuzione, il più furbo disse che avrebbe controllato il buon esito dell’operazione e al più debole non rimase altro che iniziare” (Carl William Brown, 16 settembre 1928 – 16 marzo 2005).

Gianmario Leone (dal TarantoOggi del 6 luglio 2012)

 

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