TARANTO – Ieri vi abbiamo mostrato cosa avviene all’interno dell’Ilva, nell’area ghisa dell’impianto di agglomerazione dello stabilimento di Taranto, dove si svolge la specifica attività di sinterizzazione. Dimostrazione lampante di come la realtà dei fatti sia lontana anni luce da quella descritta non solo dall’azienda, ma anche da istituzioni e sindacati.
Abbiamo potuto vedere con i nostri occhi quello che i periti chimici hanno scritto nella loro relazione in merito all’inquinamento proveniente da quelle aree. Oggi, però, vi mostriamo, se possibile, qualcosa di ancora più grave. Perché che l’Ilva inquini o che alcune aree non siano poste ad alcun controllo, se vogliamo, è un qualcosa di tristemente scontato. Ma quando si parla di vite umane, della loro sicurezza sul luogo di lavoro, allora il discorso cambia. Perché in questo paese siamo sempre stati bravissimi nel piangere dopo l’accadimento di fatti che tutti conoscevano.
L’impalcatura che sostiene uno dei due, appare tutt’altro che stabile. E come si evince dai vari scatti che li riprendono da lontano, sono posti a più di qualche metro di altezza. Sotto il sole cocente di questi giorni. Le altre due foto, invece, rasentano ciò che in italiano possiamo definire con un solo termine: inumano. E’ la sera del 4 luglio. Altri operai, sempre su impalcature di fortuna, arrugginite, instabili. Almeno questi, paiono avere una cintura collegata ad un impianto di sicurezza. Il problema però qui è di altra natura. Perché lavorare a stretto contatto con impianti altamente inquinanti, proteggendosi con una semplice mascherina, è semplicemente assurdo.
Ci piacerebbe sapere se quando parlano di “diritto al lavoro” intendono che pur di salvaguardare quest’ultimo, sono disposti a tollerare tutto o a girarsi dall’altra parte, perché non possiamo credere che tollerino che gli operai Ilva lavorino in certe condizioni. Evitiamo di tirare in ballo le istituzioni che entrano nel siderurgico solamente per inaugurare nuovi impianti o per assistere alle brillanti presentazioni dei rapporti annuali di “ambiente e sicurezza”. Così come ci piacerebbe sapere in base a cosa l’Ilva ha ottenuto nel 2011 per il secondo anno consecutivo il “Premio Missione Sicurezza”. O come sia possibile che in un’azienda dove i lavoratori operano nelle condizioni ritratte in queste foto, in un convegno di studi “Capitale Umano d’Impresa, organizzazione e flessibilità” sia stato assegnato allo stabilimento di Taranto il Premio “Aldo Fabris” per le politiche aziendali in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro.
Coloro che hanno prestato servizio presso l’impianto siderurgico negli anni ‘70-‘90 con la qualifica di operaio, mostrano un eccesso di mortalità per patologia tumorale (+11%), in particolare per tumore dello stomaco (+107), della pleura (+71%), della prostata (+50) e della vescica (+69%). Tra le malattie non tumorali sono risultate in eccesso le malattie neurologiche (+64%) e le malattie cardiache (+14%). I lavoratori con la qualifica di impiegato hanno invece presentato eccessi di mortalità per tumore della pleura (+135%) e dell’encefalo (+111%).“Il quadro di compromissione dello stato di salute degli operai della industria siderurgica – si legge nella perizia – è confermato dall’analisi dei ricoveri ospedalieri con eccessi di ricoveri per cause tumorali, cardiovascolari e respiratorie. L’esame dei dati di incidenza tumorale ha mostrato un aumento, anche se basato su pochi casi, dei tumori del tessuto connettivo sia negli operai (3 casi) che negli impiegati (3 casi) del settore siderurgico ed un coerente incremento di casi di mesotelioma”.
Siamo anche disposti a battagliare sul rispetto delle leggi. Ma non saremo mai disposti a tollerare che gli operai dell’Ilva lavorino in certe condizioni. Perché la loro salute è la prima che va tutelata. Ancora prima del loro posto di lavoro. Senza se e senza ma. “Erano in tre e si doveva eseguire un lavoro; il più forte decise che avrebbe diretto le varie fasi dell’esecuzione, il più furbo disse che avrebbe controllato il buon esito dell’operazione e al più debole non rimase altro che iniziare” (Carl William Brown, 16 settembre 1928 – 16 marzo 2005).
Gianmario Leone (dal TarantoOggi del 6 luglio 2012)
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