Arpa Puglia interviene su scarichi Ilva: “Nulla di nuovo”
TARANTO – La direzione scientifica di ARPA Puglia, l’ente regionale per la protezione ambientale, ha redatto una relazione in merito alle “Criticità ambientali nell’area marino costiera interessata dallo scarico ILVA” degli ultimi giorni, firmata dal direttore scientifico dott. Massimo Bionda, dal direttore generale prof. Giorgio Assennato e dal dirigente ambientale dott. Nicola Ungaro.
Una relazione che riprende molto da vicino lo studio redatto dal CNR (Consiglio Nazionale delle Ricerche) e dall’IAMC (l’Istituto per l’Ambiente Marino Costiero di Taranto su “Inquinanti prioritari nel Mar Piccolo e nel golfo di Taranto: analisi di rischio”, di cui abbiamo riparlato anche ieri.
La relazione, infatti, ricorda come l’area che interessa lo scarico ILVA “sia inserita nel SIN (Sito di Interesse Nazionale) Taranto, cosi come definito dal Programma Nazionale di Bonifica e di Ripristino Ambientale (D.M. 18 settembre 2001 n. 468); la stessa area, come peraltro l’intero SIN, è stata caratterizzata (anni 2008-2010) ai fini della individuazione degli opportuni interventi di messa in sicurezza e bonifica”.
Il piano di caratterizzazione dei differenti lotti, prevedeva il prelievo dei sedimenti, tramite campionamento realizzato mediante l’esecuzione di carotaggi o bennate superficiali, al fine di determinarne le caratteristiche granulometriche, chimiche, ecotossicologiche e microbiologiche, ed il prelievo e l’analisi chimica di organismi (prevalentemente mitili), al fine di valutare sia il grado di contaminazione ambientale sia l’eventuale rischio legato al consumo alimentare.
Nell’area ad Ovest di Punta Rondinella, i sedimenti caratterizzati in questa area hanno evidenziato più di una criticità, risultando contaminati da rilevanti concentrazioni di IPA e Idrocarburi (pesanti e totali), soprattutto tra il Molo V ed il primo scarico ILVA e nella parte interna della Darsena Polisettoriale. Anche i metalli pesanti quali Mercurio, Rame ed Arsenico, nonché Piombo, Cadmio e Zinco, hanno sovente superato i valori di intervento e quelli tabellari normati. La contaminazione è anche attribuibile a composti organici quali PCB (vedi figura successiva), pesticidi organo clorurati e composti organostannici.
“La situazione di diffusa contaminazione evidenziata con la caratterizzazione conferma alcune precedenti informazioni già acquisite dal C.N.R.-ISMAR di Taranto e dalla ASL di Taranto negli anni 90. Si ribadisce inoltre che l’intera area in questione è preclusa alla pesca e a qualsiasi altra attività di raccolta e, allevamento; tutta la zona è inoltre inibita alla balneazione”. Così come le criticità ambientali di questa area marino costiera “sono comunque note agli organi competenti, e questa Agenzia le ha sempre evidenziate, non ultima la relazione di sintesi sull’argomento prodotta per la Procura di Taranto ed inviata in data 31/01/2012 con n. prot. 5193”.
Infine, la direzione scientifica redatta da ARPA Puglia, si occupa dei filmati girati in questi giorni dal dott. Matacchiera, pubblicati in rete e relativi all’area marina interessata dallo scarico ILVA, a cui ha fatto seguito anche un esposto alla magistratura. Or bene, dopo il nostro critico articolo di ieri, che ha suscitato più di qualche veemente dissapore nel mondo ambientalista, la stessa ARPA trae le seguenti considerazioni, che è bene tenere tutti a mente per il prossimo futuro, specie se si vorrà davvero combattere seriamente in materia di inquinamento ambientale.
“Il colore del materiale campionato, nonché la sua consistenza, sono facilmente riconducibili ad un comune sedimento in condizioni ridotte a causa di processi anaerobici, tale tipologia di sedimento è riscontrabile anche in ambienti acquatici non sottoposti a pressioni antropiche, e pertanto non può essere considerato indicatore di contaminazione massiccia da idrocarburi o altro, riscontrabile peraltro solo a seguito di accurate analisi chimiche”.
“La tecnica di campionamento utilizzata dal Matacchiera, con retino a sacco, non è quella corretta per la raccolta dei sedimenti, che deve essere effettuata con benna o carotiere. Utilizzando il retino a sacco si raccoglie solo una parte del materiale di fondo, e quindi i risultati analitici che deriveranno saranno viziati da tale procedura e dunque non confrontabili con altri”. “Ulteriori controlli da parte di ARPA non aggiungerebbero nulla a quanto già noto sullo stato di contaminazione dell’area, anzi sarebbero destinati a fornire risultati diversi da quelli che probabilmente otterrà il Matacchiera (per le motivazioni di cui sopra), favorendo l’innesco di sterili ed inopportune polemiche”. Più chiaro di così, proprio non si può.
Gianmario Leone (dal TarantoOggi del 28 giugno 2012)