Amo e, soprattutto, rispetto il Sud, la Puglia ed in particolar modo Taranto, mia città adottiva. Per essa ho condizionato la mia vita e la mia carriera professionale. In uno dei miei ultimi rientri, percorrendo il Ponte Punta Penna Pizzona, mi è corso un desiderio. Ripercorrere le strade, i sentieri, i viottoli, i pontili di gioventù insieme alla mia Canon per rendere omaggio e condividere le mie sensazioni col mondo. E’ stata la dichiarazione definitiva, la certificazione che Taranto è una città morta. Ci ho pensato tanto prima di scrivere queste mie parole in testo ed immagini. Lo faccio col cuore triste e deluso.

Sono sceso giù, a metà dei due seni del Mar Piccolo, sotto il Ponte Punta Penna. Là dove sfocia il Galeso, là dove si immergono i piloni di quel ponte che negli anni 70 abbiamo tanto agognato ed è stato orgoglio nazionale per l’opera e l’ingegno espressi. Tutto morto e spettrale, tutto abbandonato. La Fincantieri di Buffoluto, le gru cadenti appese nel vuoto, i pontili distrutti dal tempo, i pali di cozze abbandonati, barche e barconi lasciati sulla riva a marcire, e ovunque cani randagi abbandonati chissà da chi. Ho dovuto vedermela con loro nella speranza di non essere morso, scheletri di ossa che non ho avuto neanche il coraggio di fotografare.

E su tutto l’abbraccio mortale dell’Ilva, posta lassù sull’altura dei Tamburi, a vigilare sul Mare Morto, pieno di diossina e catrame. L’Ilva che ha posto il ricatto del lavoro contro la partita della morte, ricchezza effimera in cambio della distruzione di una delle più belle città al mondo. E poi, per finire, la civiltà, il senso civico. Frigoriferi di Birra Raffo abbandonati, cassette di polistirolo del mercato del pesce, bottiglie di plastica, bidoni di plastica e persino in questo periodo estivo una palla dell’albero di Natale. Come la dobbiamo leggere questa presenza? Un luccichio in un’acqua senza ossigeno e senza vita, un oggetto simbolo di vita e di festa. Un augurio. Sì, quella palla di Natale non l’ha gettata nessuno in mare, si è materializzata davanti ai miei occhi come unico testimone di una vita che verrà! Contro la logica di Facebook, non condividere, non cliccare su “Mi piace”, ma guardati nello specchio e chiediti: cosa faccio io per evitare tutto ciò?

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La lettera del signor Sabatino pubblicata sul TarantoOggi del 27 giugno 2012

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