Mar Grande, i dati e i colpevoli dell’inquinamento

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TARANTO – Non amiamo essere antipatici. Né autoreferenziali. Ma siamo costretti a diventarlo per vicissitudini a noi contingenti. Termine che in filosofia indica ciò che non è necessario e quindi si contrappone a ciò che è essenziale. Cosa che in questa città avviene oramai a cadenza quotidiana, il che non lascia presagire nulla di buono per il prossimo futuro. Anche perché, ancora oggi, non siamo riusciti a capire bene, ma forse è un nostro limite, quanti siano i giocatori seduti al tavolo dell’ambiente e quali i loro reali obiettivi. E sì, perché tutto ad un tratto, Taranto scopre che la grande industria utilizza degli scarichi in Mar Grande in cui riversa, da sempre, ogni genere di elemento inquinante. Di più, si scopre che “stranamente” i fondali e la qualità dell’acqua di quel tratto di mare antistante gli scarichi, è incredibilmente poco confortante e rassicurante.

E così, alla fine dei conti, accade che nella nostra società in cui oramai Facebook regna sovrano, si eleva quasi alle stelle l’indignazione e la protesta generale. Si grida alla scandalo, ogni due parole usate c’è il termine vergogna, s’incolpano politici e organi di controllo assenti dallo svolgere il loro dovere, si giura vendetta e si promette guerra totale alla grande industria. Si creano gruppi, sottogruppi, si condividono foto, video, volantini, si procede con esposti alla magistratura, si annunciano ulteriori prelevi che riveleranno un qualcosa che in realtà tutti sanno da sempre: ovvero che i nostri Due Mari sono profondamente inquinati. Il tutto, mentre la Capitaneria di Porto assicura che la zona è stata bonificata dall’Ecotaras e che le immagini mostrate nei video sono meno preoccupanti di ciò che sembrano: perché non trattasi di idrocarburi, bensì di elementi di origine vegetale. Il che ci lascia quantomeno increduli. Il tutto, mentre ARPA Puglia conferma che nonostante siamo di fronte ad un sito “super inquinato”, tuttavia non bisogna lasciarsi troppo impressionare dalle immagini.

Dalle immagini no. Ma dai dati ufficiali, da quelli sì. Anche perché, nonostante più di qualcuno in questi giorni sta indossando come al solito i panni del martire o della bocca della verità, i dati sull’inquinamento prodotto dagli scarichi della grande industria sono ben noti. E questo giornale ne ha scritto e denunciato appena ne è entrato in possesso. Solo che in questa città, a tutti i livelli, sono in troppi quelli che soffrono di protagonismo e primogenitura: se non sono loro i primi a parlarne e a denunciarne, il tutto resta ben nascosto. In questa pagina, infatti, trovate quello che pubblicammo il 14 settembre del 2011. Ovvero ciò che avvenne il 9 maggio del 2008, quando si tenne un convegno indetto dall’Arpa Puglia, in occasione del “Salone Mediterre” presso la “Fiera del Levante” a Bari, dal titolo “Taranto sotto la lente“.

L’incontro riunì importanti scienziati e professori universitari, i quali illustrarono le ricerche condotte sullo stato dell’ambiente (acqua, aria e suolo) di Taranto. Quel giorno, il CNR (Consiglio Nazionale delle Ricerche) e l’IAMC (l’Istituto per l’Ambiente Marino Costiero di Taranto), presentarono uno studio su “Inquinanti prioritari nel Mar Piccolo e nel golfo di Taranto: analisi di rischio“. Essendo uno studio scientifico, vi risparmiammo i dati puramente tecnici, per andare all’essenziale: e cioè capire chi e quanto ha inquinato la rada di Mar Grande e la rada di Mar Piccolo. Nello studio del CNR e dell’IAMC, vennero analizzati i contaminanti prioritari stabiliti dalla Convenzione di Stoccolma del 2001, tra cui i famosi IPA (Idrocarburi Policiclici Aromatici) e il PCB (policlorodifenili). Lo studio del CNR e dell’IAMC aveva come base di partenza i sedimenti marini, che sono una fase di accumulo di inquinanti e sede di importanti processi chimico-fisici che influenzano la biodisponibilità e la speciazione. Le attività svolte dallo studio sono state tre: la caratterizzazione degli scarichi industriali, la distribuzione degli inquinanti nei sedimenti marini e le valutazioni eco tossicologiche.

Solo per chiarezza, vi riproponiamo qualche numero. I principali scarichi industriali sono tre: due appartengono all’Ilva ed uno all’Eni. La portata oraria dei due scarichi Ilva riportata nello studio, è di 3.480.000 metri cubi al giorno (1450.000 ogni ora), mentre quello dell’Eni di 240.000 metri cubi al giorno (10.000 ogni ora). Partendo da questi dati, è stato calcolato che nel Porto di Taranto in totale sono stati mediamente scaricati ogni ora 13,2 kg di idrocarburi alifatici, di cui il 7% proveniente dallo scarico Eni ed il 93% dagli scarichi Ilva. Per quanto riguarda gli IPA, invece, fu calcolato che i reflui Ilva scaricano 3,46 kg/ora di IPA, per un totale di 83 kg al giorno che fanno 30.309 kg all’anno. Per quanto riguarda la distribuzione degli inquinanti nei sedimenti marini, vennero individuate tre aree di studio: Mar Grande, Mar Piccolo e Porto di Taranto.

Nello studio del CNR e dell’IAMC, presentato quel 9 maggio del 2008 attraverso la proiezione di 29 slide, la mappa della distribuzione degli IPA nei sedimenti dei Mari di Taranto era inequivocabilmente chiara: le maggiori concentrazioni furono individuate nelle aree prospicienti i tre scarichi industriali. Vi risparmiamo, perché non interessano in questa sede, i dati sull’inquinamento del Mar Piccolo, sull’aria e sul suolo di altri inquinanti. Dunque, gli studi scientifici esistono. Come esistono anche i dati. E i relativi colpevoli. Eppure, ancora oggi, c’è chi finge di non sapere e di scoprire all’improvviso cose abbondantemente conosciute e denunciate da tempo. Questo giornale non vuole nessun premio, sia chiaro. Non parteciperà mai a ridicole gare sul chi “arriva prima”. Ma ci piacerebbe che almeno si facessero le cose in maniera seria, onesta e costruttiva.

Gianmario Leone (dal TarantoOggi del 27 giugno 2012)

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